Mimì Quilici Buzzacchi

Scritto da  Lucio Scardino

Mimì Quilici Buzzacchi, Le mele, 1925.A cento anni dalla nascita, un ricordo dell'artista ferrarese.

Esattamente cent'anni fa, il 28 agosto 1903, nasceva a Medole, nella provincia mantovana, Mimì Buzzacchi, destinata a segnare fortemente l'arte del Novecento ferrarese.

Trapiantata nella nostra provincia sin da ragazza, appartenente a una famiglia della facoltosa borghesia agraria, Emma, detta Mimì, prese le prime lezioni di pittura da Edgardo Rossaro, un bizzarro artista piemontese che viveva per lunghi mesi dell'anno a Bondeno, nella villa di Ferdinando Grandi, industriale delle fornaci e suo generoso mecenate.
Per la sensibile sedicenne, importante risultò questa "libera accademia", soprattutto per apprendere l'uso della tavolozza e la tecnica del disegno, esercitati sul tema della natura morta: anche se, a dire il vero, nei suoi primi paesaggi (ferraresi e cesenaticensi) trapela più di un ricordo della maniera di Rossaro.



L'artista le fece poi studiare l'opera del cognato, Umberto Ravello, pittore morto in guerra, mediante riproduzioni fotografiche: e l'adolescente confessò nei suoi diari di esserne rimasta particolarmente colpita, poiché egli «fin dall'inizio sentì il bisogno di semplificare, di eliminare dagli oggetti i particolari superficiali, di ricostruirli in una forma spoglia di eccessi inutili, circoscritta in un contorno scrupolosamente studiato, di rendere esattamente i volumi delle cose senza ricorrere alle esagerazioni di chiaro-scuri, perchè le molte luci facilmente distruggono ogni armonia del colore».

La ricerca esasperata della sintesi e dei "misteriosi rapporti che intercorrono fra le percezioni sensuali e la sensibilità lirica" contraddistinguono la giovane Mimì, che nel contempo frequenta a Firenze lo studio di un parente, il bibliofilo Tammaro de Marinis. Il coltissimo zio le fa conoscere la tecnica degli incunaboli e delle cinquecentine: la ragazza si impegna con accanito fervore ed esegue le sue prime xilografie, da tenace autodidatta.

Mimì Quilici Buzzacchi, Luci monotone in canale, 1927.Il 1925 diventa per lei anno-spartiacque: a giugno partecipa alla sua prima mostra, una "regionale" allestita nelle sale del Castello Estense di Ferrara, dove tra gli espositori conosce vecchi maestri (Longanesi, Pisa, Forlani) e futuri sodali (De Vincenzi, Virgili, Cattabriga, il coetaneo Nenci). Mimì vi presenta vedute di Ferrara, Chioggia, Fiesole, che la fanno definire da G. E. Mottini, sul Corriere Padano, «acuta di pennello e tersa di linea».

Ma la pittrice teme sempre di scadere nel "decorativo", di realizzare paesaggi conchiusi nel cloisonnè, ossia in un segno grafico accentuato, come la rimprovera, in un certo senso, Filippo de Pisis, dedicandole un articolo sul Padano nel Natale di quell'anno e che, a proposito dei suoi studi paesaggistici, giunge a evocare il sapore neoclassico-dannunziano di De Carolis e Moroni, notevoli xilografi.

Assai matura per la sua età e fortemente autocritica, la Buzzacchi riesce finalmente a dipingere i suoi primi ritratti, cimentandosi in un genere impegnativo, e gradualmente si libera di una tecnica cromatica troppo semplificata, quasi che usi il pennello alla stregua di un bulino. È però anche vero che in quel periodo realizza interessanti incisioni dedicate alla città estense, raccolte in una cartella titolata Dove si dice qualche cosa di Ferrara (1927), in cui dal «nudo e quasi povero gioco dei tratti», per dirla con Mottini, si sprigiona un piacevole senso lirico, lontanissimo sia dall'aulico taglio alla De Carolis sia dal gusto fortemente chiaroscurato di Enzo Baglioni, incisore ferrarese che par quasi una reincarnazione di Piranesi.

Stimolata da De Marinis, Mimì realizza nel contempo semplici quanto sofisticati ex-libris, che fanno la gioia dei bibliofili ferraresi e nei quali giunge a riproporre, stilizzandoli con intelligenza, elementi esornativi tratti dalle decorazioni di Casa Romei. Quest'inclinazione verso una colta rilettura del passato sfocia, quasi inevitabilmente, nell'adesione al "Novecento", il movimento fondato a Milano, propugnando il ritorno all'ordine, da Margherita Sarfatti, che Mimì ascolta con ammirazione in una conferenza tenuta nel Teatro Ristori di Ferrara, nel gennaio 1926.

Mimì Quilici Buzzacchi, Castello, 1958.Tra i membri più importanti del movimento, peraltro, era un pittore ferrarese, Achille Funi, che l'artista conoscerà direttamente, restandone quasi folgorata, nel 1928, esponendo con lui alla mostra della "Settimana Ferrarese". La pittrice aveva allestito una vera e propria personale nell'ambito della rassegna: ventiquattro fra olii, disegni e xilografie. I soggetti erano solo paesaggistici: i ponti di Comacchio, il costruendo canale Boicelli, il cimitero ferrarese della Certosa, la chiesa di San Benedetto, vedute della Val Camonica e delle Terme di Caracalla e il bellissimo Luci monotone in canale, quadretto dipinto in Romagna con echi del sapido luminismo di Corot. Questo piccolo dipinto è fra le tante opere di Mimì (una quarantina) che si rintracciano presso l'Università di Ferrara: altre sono nel Museo Civico d'Arte Moderna e Contemporanea, presso la Cassa di Risparmio, la Camera di Commercio, l'Amministrazione Provinciale di Ferrara.

Riconosciuta in patria, apprezzata dalle pubbliche istituzioni, Mimì lo è altresì in campo nazionale: nel 1928 viene invitata a esporre per la prima volta alla Biennale di Venezia, dove parteciperà sino al 1950, presentando sempre incisioni, con un'unica eccezione nell'edizione del 1942. Nel frattempo, ha conosciuto anche l'amore: nel 1929 è convolata a nozze con Nello Quilici, colto giornalista di origini lucchesi, nonché saggista e docente universitario, che a Ferrara dirigeva il Corriere Padano.

Per la testata diretta dal marito, Mimì coordinerà da allora la "pagina dell'arte", impegnandosi talora in prima persona come autrice di testi e in altri casi chiamando notevoli critici, quali Giuseppe Marchiori, Italo Cinti, Carlo Belli e Corrado Padovani, pittore e saggista al quale sarà affezionatissima. La sua pittura si evolve vieppiù in chiave novecentista, ricercando una sorta di primitivismo neo-giottesco, dalla scabra quanto lirica sintesi, sulla scia di Carrà, ma altresì di Carlo Socrate, pittore che frequenta a Roma.

Nel campo dell'illustrazione, indimenticabili risultano le copertine a colori per La Rivista di Ferrara, diretta dal marito fra il 1933 e il 1935: un'intelligente rilettura del secondo futurismo e dell'aeropittura dell'amico Tato, ma con tangenze stilistiche ulteriori, che vanno dall'art déco al vero e proprio astrattismo.


Mimì Quilici Buzzacchi, Castello di notte, 1967.Squisita animatrice del cenacolo culturale promosso dal marito, Mimì fu una delle protagoniste della nuova "officina ferrarese", ossia di quella particolare temperie che voleva resuscitare il clima dell'umanesimo estense, aggiornandolo e contaminandolo con le stilizzazioni novecentiste. Il frutto più maturo resta, in tal senso, l'affresco di Funi per il Municipio, denominato Il Mito di Ferrara, la cui realizzazione ella seguì con trepida attenzione e in cui l'autore giunse al punto di "plagiare" direttamente Cosmè Tura o di eseguire alcuni nudi maschili enfiandoli e deformandoli come se si trattasse di uno dei "sapienti" dipinti da Dosso Dossi.

La riscoperta degli artisti locali del Quattro-Cinquecento, giudicati modernissimi da Padovani, era avvenuta nel 1933 grazie all'Esposizione della Pittura ferrarese del Rinascimento, per il cui catalogo Mimì aveva realizzato un icastico frontespizio, con il Palazzo dei Diamanti sapientemente cadenzato attraverso tre diversi piani prospettici.
Ma l'artista irrequieta non voleva fermarsi a Ferrara: lo dimostrano le bellissime xilografie raccolte nel 1939 nel volume Italia antica e nuova, introdotto da Ugo Ojetti.

Tra i paesaggi di Lombardia, del Veneto, di Anagni e di Ferrara, che spesso raggiungono effetti di un potente e quasi "metafisico" senso d'astrazione, compare anche un'archeologica veduta di Leptis Magna, frutto di un recente soggiorno in Libia, in seguito alla chiamata di Funi per affrescarvi la chiesa del Villaggio Corradini.

Nel corso del lavoro sulla sponda africana, Mimì aveva realizzato nel contempo un cospicuo corpus paesaggistico, che gli presenterà Giuseppe Ravegnani, il quale esordisce in catalogo parlando «di cammino ascensionale e liberatore della pittura». La signora Quilici è sempre più moderna: e la sintesi s'accompagna in lei a una maggior felicità cromatica. Questo periodo s'arresta brutalmente nel giugno 1940, quando il marito Nello muore sull'aereo di Italo Balbo, nel cielo di Tobruch: è la fine di un'epoca, non soltanto per lei.

Mimì Quilici Buzzacchi, Paesaggio di Spina, 1958.La cupezza degli anni di guerra non gli impedisce però di realizzare mirabili ritratti ai due figli, come quello di Folco al mare, sulla soglia di una cabina lignea, ripreso con freschezza e quasi con spirito di "pierfrancescano" nitore.
Al termine del conflitto decide di stabilirsi a Roma, dove sembra soltanto allora accorgersi della presenza di un grande pittore ferrarese, Roberto Melli: al tonalismo del conterraneo trapiantato nell'Urbe (ma altresì all'esempio di artisti della "scuola romana" come Mafai), sembrano rifarsi le indimenticabili immagini dei ruderi di San Benedetto (e la chiesa ferrarese era stata uno dei suoi primi soggetti, alla mostra del 1925).

Come Bassani, Mimì reinventa da lontano una Ferrara sul filo della memoria: lo confermano le numerose vedute del Castello Estense e, soprattutto, il ciclo Paesaggio di Spina, che le presenta in catalogo l'amico Giorgio. Siamo attorno al 1958: calzando un casco coloniale, ricordo della Libia, per difendersi dal caldo torrido, quasi fosse una moderna esploratrice, Mimì scopre (o ri-scopre) le possibilità espressive e iconografiche insite nel paesaggio bonificato delle Valli di Comacchio, inquadrandolo in vedute a volo d'uccello che posson persino ricordare Paul Klee.

La Quilici disegna o abbozza nel Comacchiese dipinti idealmente sospesi tra mitiche radici etrusche e moderno tecnicismo, lontanissimo da qualsivoglia retorica: li rielabora poi nel suo studio sul Lungotevere, facendo divenire «il paesaggio forse più spoglio, più grandiosamente spoglio, desolato e atonale d'Italia», un soggetto di notevolissima riuscita poetica, per dirla con Bassani.

Mimì Quilici Buzzacchi torna a esporre un'ultima volta nel Ferrarese, a Comacchio, nel palazzo Bellini, allestendo nel novembre 1987 la mostra Paesaggi miei. L'artista neppure tre anni dopo morirà a Roma, il 16 giugno 1990. Il centenario della sua nascita è stato ricordato con l'allestimento di una mostra retrospettiva in Umbria, sotto le volte dell'antico mercato coperto di Bevagna.