Dov'era e com'era

Scritto da  Vittorio Chiari

La facciata della chiesa di San Benedetto come si presentava la mattina del 29 gennaio 1944.La rinascita di San Benedetto, tempio di vita spirituale e di memorie storiche

 

Guerra e arte non sono mai andate d'accordo, quasi che l'uomo in guerra non sopporti il bello, il vero, il nobile che si nasconde nell'opera d'arte. Nel tempo, studiando la storia dell'uomo, fatta di guerre vinte e perse, di paci precarie e sofferenze, miste a speranza e gioia, ci appare in tutta la sua evidenza l'odio che il guerriero scatena sulle opere d'arte: il colto, per impadronirsene come trofei di vittoria e adornare i propri musei; il rozzo, il violento, l'ignorante, per distruggere non solo l'arte sacra, instrumentum Evangelii, ma anche l'arte che esprime l'oltre dell'uomo, come suggerisce Montale in una sua poesia: "Sotto l'azzurro fitto/ del cielo qualche uccello di mare se ne va/ né sosta mai, perché tutte le immagini portano scritto più in là".
L'oltre sono le immagini, segno dello spirito, profezia di futuro, annuncio di pensiero, di un animo gentile e intelligente, che sa leggere intus, dentro le cose, la natura, le persone, la storia.

 

Corso Porta Po in una foto degli anni 1930, con il caratteristico campanile pendente di San Benedetto. Che guerra e arte non possano andare d'accordo, lo leggiamo anche nel piccolo tratto di storia del tempio di San Benedetto, di cui quest'anno ricordiamo i 50 anni dalla ricostruzione e consacrazione, alla quale la Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, per prima in città, ha dato un importante contributo per i lavori urgenti di manutenzione della copertura.

28 dicembre 1943: gli aerei sono arrivati all'improvviso, segnalati dall'urlo straziante delle sirene d'allarme. Altrettanto rapidamente se ne sono andati, lasciando dietro di sé decine di morti. I giovani erano sotto le armi, qualcuno approfittando dell'8 settembre 1943 aveva disertato e si era dato alla clandestinità.

Il parroco di San Benedetto, Don Michele Gregorio, sul suo registro ne segna sessantadue. Accanto alla lunga lista di nomi, una breve nota scritta in un latino facile, che tutti possono comprendere: "Dies magna, amara valde", che riassume lo smarrimento e il dolore del quartiere, allora periferia popolare della città. I giovani erano sotto le armi, qualcuno approfittando dell'8 settembre 1943 aveva disertato e si era dato alla clandestinità.

Ragazzi e famiglie della parrocchia avevano raccolto l'invito di Don Gregorio a portare in canonica vestiti borghesi per i militari, che stavano lasciando la città e il vicino distretto, che aveva sede nei chiostri di San Benedetto.

 

Il transetto come si presentava la mattina del 29 gennaio 1944.Senza preavviso, gli aerei ritornano il 28 gennaio 1944, alcuni giorni dopo il primo attacco che ha seminato morti e distruzione.

Questa volta non mietono vittime umane, ma colpiscono tragicamente una delle chiese più familiari nel panorama di Ferrara, il tempio di San Benedetto, che sorgeva su via dei Prioni, oggi corso Porta Po.

Fotografie dell'epoca e cinque dipinti della pittrice Mimì Quilici Buzzacchi rappresentano i cumuli di macerie, che circondano lo scheletro dei pilastri rimasti in piedi, alberi senza foglie, tragico simbolo di bellezza profanata e violentata: affreschi, quadri, statue, arredi distrutti per sempre.

Nel bombardamento, un episodio quasi buffo, che non finisce in dramma solo per l'intervento di persone amiche: le divise militari e le armi, nascoste con tanta cura nelle volte del tempio, riappaiono alla luce mettendo in grave pericolo il parroco Don Gregorio. Per fortuna tutto si risolve prima che la notizia arrivi al comando militare tedesco.

San Benedetto era una chiesa stupenda, facilmente riconoscibile per il campanile pendente come la Torre di Pisa, progettata su disegni dell'Aleotti nel 1621 e completata nel 1646. Era la chiesa dei monaci dell'Abbazia di Pomposa, che nel 1553 la malaria aveva costretto a emigrare in città, a Ferrara.

Pomposa era un importante centro di spiritualità e di cultura: vi aveva insegnato San Pier Damiani, dottore della Chiesa; tra le sue mura per la prima volta, a opera del monaco Guido d'Arezzo, erano risuonate in scala le note musicali, che favoriranno la comunicazione di sentimenti ed emozioni, attraverso il canto, il suono e l'armonia della musica.

 

Le rovine della navata centrale.La storia del monastero, affascinante per gli studiosi medievali, si è intrecciata nel Cinquecento con quella della città di Ferrara, dove, il 3 luglio del 1486, Ercole I d'Este e il vescovo di Adria posero insieme, manibus propriis, la prima pietra della nuova abbazia nell'area dell'Addizione Erculea, tracciata da Biagio Rossetti.

Lo stesso architetto, o allievi della sua scuola, come sostengono alcuni esperti, ha realizzato il monumentale tempio, centro di vita spirituale nella città, dove i monaci benedettini rimangono fino al 1797, quando un decreto della Repubblica Cisalpina sopprime l'ordine. La chiesa è profanata e trasformata dapprima in stalla dei cavalli, poi in alloggio dei soldati e ospedale per i feriti delle varie guerre.

Nel tempio era stato sepolto, su suo volere, Ludovico Ariosto, il sublime poeta autore dell'Orlando Furioso. Non c'era personaggio famoso che passando da Ferrara non lo visitasse. Tra gli altri, nel 1769, l'imperatore Giuseppe II e, nel 1782, il papa Pio VI.

Più tardi, dopo gli editti napoleonici, nel 1801, per evitare che venga danneggiato, il monumento con la tomba è trasferito nella Biblioteca Comunale, dove tuttora si trova.

Nel 1812, la chiesa è restituita al culto mentre il monastero continua ad appartenere all'amministrazione militare.

Nel 1912, i Salesiani ottengono parte dei chiostri e nei locali trasferiscono la scuola convitto dell'Istituto San Carlo, che aveva sede in via Brasavola, dove era sorto per opera di monsignor Baldi e affidato ai salesiani nel 1897.

Il San Carlo come scuola e convitto, che ha accolto migliaia di studenti della provincia e della regione, è rimasto aperto fino a una ventina di anni fa, quando, scaduto il contratto, il demanio volle indietro gli stabili, ora in abbandono e in avanzato stato di degrado.

 

L'interno del tempio in una cartolina della seconda metà degli anni 1920.Nel 1930, l'arcivescovo Ruggero Bovelli sollecita i Salesiani ad assumersi l'impegno della parrocchia. Primo parroco è Don Michele Gregorio, un piemontese di grande cultura e umanità, che inizia la sua opera aprendo un oratorio per i giovani e cercando un rapporto diretto con le famiglie più povere e abbandonate della città, per creare un ambiente favorevole all'educazione e all'evangelizzazione.

Il tempio era ritornato all'antico splendore d'arte per l'opera intelligente e coraggiosa del canonico monsignor Benedetto Pavani, che non si è mai fermato di fronte alle difficoltà "vincendo l'apatia dei più e la ostilità di non pochi" per dare nuova veste al tempio.

La guerra continua e il terzo bombardamento del 5 giugno 1944 è "fatale per il Collegio"; racconta la cronaca dei Salesiani: "Diverse bombe si abbattono sui cortili e sui fabbricati e rendono inabitabili tutti i locali... Grazie a Dio nessun danno alle persone, che si erano chiuse nel campanile".
"È inutile piangere! Dobbiamo ricostruire la nostra chiesa", ripete a tutti il parroco Don Gregorio. Non ha dubbi! La chiesa deve essere ricostruita "dov'era e com'era", citando la frase degli abitanti di Venezia, dopo il crollo del campanile della Basilica di San Marco.

Nella sua "testardaggine" trova come collaboratori altri due "testardi": l'arcivescovo di Ferrara monsignor Ruggero Bovelli e l'onorevole Natale Gorini, allora deputato eletto in città.
Non tutti sono del parere: chi suggerisce di progettare un nuova chiesa e abbandonare i disegni del Rossetti; altri invitano a non spendere soldi pubblici perché ce ne sono già troppe di chiese a Ferrara. La gente di San Benedetto è d'accordo con il parroco: il tempio è memoria familiare del quartiere e le memorie non si possono distruggere, azzerandole.

La guerra è stagione effimera, violenta, sanguinante, ma passa e rinasce la speranza, che per la gente sta nel riedificare il tempio.

 

Le rovine della navata destra, fotografate nei giorni immediatamente seguenti la distruzione.La questione è portata in Consiglio Comunale, il 7 giugno 1947. Presiede la sessione straordinaria il sindaco, dottor Giovanni Buzzoni.
"La chiesa, dice, era uno dei migliori monumenti di Ferrara". L'onorevole Gorini esprime "l'augurio che questa chiesa risorga con la sua facciata bella come quella di un tempo".
La votazione, 30 voti a favore e un astenuto, conferma la tesi di Don Gregorio: il tempio va ricostruito dov'era e com'era!

I lavori cominciano il 28 maggio 1951, per terminare nel 1954, il 21 marzo, con la solenne consacrazione da parte di monsignor Bovelli alla presenza del cardinale di Milano, Ildefonso Schuster.

Il 4 luglio è, invece, il giorno dell'inaugurazione a lavori ultimati con le autorità civili. Due giornate memorabili per la città e il quartiere di San Benedetto, soprattutto per la presenza del cardinale di Milano, accolto da una folla enorme di cittadini, che riconoscevano in lui l'uomo dal grande carisma spirituale ma anche dalla forte autorità morale, che ha permesso di salvare Milano da disastri ben più gravi durante la guerra.

Non è stato possibile purtroppo riparare le ferite inferte al patrimonio d'arte del tempio, che una ricerca accurata del dottor Giuseppe Gorini, presentata in una mostra fotografica del 2004, ha raccolto in immagini.

Sono andate distrutte opere del Tiarini, del Bononi, l'ancona in legno dorato disegnata dall'Aleotti che racchiudeva La Vergine Assunta dello Scarsellino, anch'essa distrutta, tele e affreschi pregevoli dei più noti artisti ferraresi ed emiliani di quel secolo.

Distrutto pure il magnifico soffitto, decorato da Giannantonio da Chiavenna, e sepolto dalle macerie il grande organo installato nel 1941 e l'altare maggiore, col prezioso ciborio proveniente da Pomposa.

Della chiesa precedente, si sono salvati i pilastri centrali, formanti le tre navate con la relativa trabeazione, i pennacchi delle cupole e quanto delle navate minori è stato possibile recuperare.

 

La chiesa di San Benedetto nella sua condizione attuale.Davvero in tre anni di lavoro, il tempio è risorto nello spazio pensato dal Rossetti: mancheranno solo gli affreschi e le decorazioni, ma il tempio è una realtà recuperata nella memoria delle sue linee, nel rispetto di chi lo ha edificato, continuando a scrivere nuove pagine di storia nella nostra città e chiesa locale.

A San Benedetto hanno soggiornato alcuni santi e beati: San Carlo Borromeo, che lo Scarsellino ha avuto modo di ritrarre dal vivo; il beato Don Michele Rua, il primo successore di Don Bosco che ha accolto l'invito della chiesa ferrarese di aprire una Casa Salesiana in città; infine il beato cardinale Schuster, che in San Benedetto ha celebrato la messa dei suoi cinquant'anni di sacerdozio.

Le memorie, dono di un passato antico e recente, permettono di riconoscere quelle radici, che garantiscono il futuro del quartiere, fatto di persone, di vicende liete e tristi, che non possiamo dimenticare.
È triste il paese che non ha memorie e dimentica il suo passato.

La comunità salesiana, dopo la chiusura del San Carlo, accanto al tempio ha edificato un moderno centro giovanile, che è diventato un punto di riferimento educativo e culturale per i giovani della città, vera casa che accoglie, scuola che avvia alla vita, parrocchia che evangelizza e cortile per vivere in amicizia e allegria. Lo frequentano ragazzi e ragazze della circoscrizione, ma anche famiglie, giovani d'oltre confine, in spazi che favoriscono l'integrazione, la partecipazione nel sociale, nel volontariato più vivo.

L'Opera Salesiana gestisce pure il cinema San Benedetto, che offre un cartellone per grandi e piccoli, a questi ultimi è riservata la fortunata formula di "Cartoonia e dintorni".
Se all'oratorio salesiano è nata la S.P.A.L., oggi è soprattutto il luogo del gioco per tutti nella sua palestra e nei campi ben attrezzati, dove piccoli e grandi si ritrovano per vivere il loro tempo libero.

A San Benedetto tornano volentieri anche gli ex allievi, presenti oggi in vari settori della città e della provincia, come affermati professionisti o generosi lavoratori.
A cuore aperto, San Benedetto accoglie tutti nel segno della carità, come voleva e sognava Don Gregorio, fedele copia di Don Bosco a Ferrara, città dalle mille memorie, che ci impegna a guardare al futuro con grande speranza.