Stanze della mente

Scritto da  Gianni Venturi

La Sala dei Giochi, nell'allestimento ideato da Gae Aulenti.I racconti, le favole, i sogni del Castello Estense di Ferrara

 

L'intensa attività scientifica e progettuale che ha portato all'apertura di molte sale del Castello estense nella forma e nella disposizione "a racconto" volute dal Comitato scientifico e realizzate dall'architetto Gae Aulenti, ha permesso alla cordata capeggiata dalla Provincia di festeggiare l'apertura con due sontuose mostre che hanno riscosso un'affluenza davvero eccezionale, tale da ambire al record di visitatori nel fittissimo calendario di importanti se non eccezionali esposizioni italiane.

 

 

 

Leon Battista Alberti, De Re Adificatoria.D'altra parte, in questa, per molti aspetti, singolare frequentazione delle esposizioni in tutta Italia si mette in rilievo un aspetto che da molti era stato già indicato come foriero di un limite, oltre il quale è impossibile andare. Una specie di ansia del visitatore di scoprire autori, scuole, movimenti artistici non più nella forma monografica propria ad un autore, ma nella sua connessione con i luoghi, le vicende, la civiltà che hanno permesso lo sviluppo di una certa forma artistica; l'urgenza quasi di riuscire a ristabilire la tramatura di cui si compone il tempo storico, la necessità di ristabilire il contatto tra l'opera e la storia; insomma, la sua contestualizzazione.
Da una parte, allora, si aveva a disposizione l'esperimento appena concluso del Castello, dall'altra, la disponibilità di riempire una tantum quei luoghi e quegli spazi con una selezione raccontata della magnificenza estense che si conclude con la preziosissima e veramente incredibile esposizione del "camerino" d'alabastro.

 

 

Cosmè Tura, Madonna con bambino, San Gerolamo e una santa.Nel progetto, grazie alla disponibilità encomiabile degli Enti promotori tra cui spiccano la Provincia, la Soprintendenza e la Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, si aveva a disposizione il materiale dell'appena conclusa mostra di Bruxelles che aveva così trionfalmente siglato nel 2003 il semestre europeo di presidenza dell'Italia; materiale che diveniva il termine di paragone con la esibizione delle opere che adornavano il camerino dei marmi.

In questo modo, il Castello non mostrava solo più se stesso, ma poteva ospitare alcuni di quei capolavori che nel Rinascimento orgogliosamente gli Estensi potevano esibire come segno del proprio potere e del fasto della loro Corte. L'eccezionalità di questo avvenimento ha prodotto tutta una serie di rilievi che cercheremo di mettere in luce nella loro continuità ideologica e artistica.

 

Antonio Lombardo, La Fucina di Vulcano, San Pietroburgo Ermitage.Allora proprio in questa citazione di un destino ferrarese si potrebbero trarre conclusioni capaci di rintracciare quel filo rosso che lega opere e luoghi secondo quel principio fondamentale della singolarità della scuola ferrarese che prima Adolfo Venturi, poi Berenson, ma soprattutto Roberto Longhi hanno così magistralmente indicato.
Si guardi ad esempio alla Madonna col bambino con San Girolamo e una santa del Tura proveniente dal Musée Fesch di Ajaccio, uno dei capolavori in mostra.

 

 

 

Antonio Lombardo, La contesa tra Minerva e Nettuno per il possesso dell'Attica, San Pietroburgo Ermitage.A un secolo di distanza dalle figure del Bastianino troviamo una descrizione del corpo umano che si fonda su dei canoni di deformazioni fisiche non certo inferiori alla "bruttezza" dei corpaccioni bastianineschi.

Qui la santa (probabilmente Maddalena, se tiene fra le mani il vaso degli unguenti) si presenta con occhi basedoviani, con un collo da tiroidea e con mani, come del resto anche quelle della Vergine, deformati da un'artrite reumatoide. Naturalmente, l'esagerazione di questo dettato non vuol rifarsi a tesi di lettura fisiognomica, ma sottolineare questo aspetto "singolare" di una pittura metafisica e intellettuale che sprezza o deforma il dettato toscano o anche mantegnesco per rivendicare quella sostanza di non amenità, di grottesco, di puntuto, degno di sogni e incubi come potevano cantare i grotteschi, a volte, personaggi di Boiardo, o le creature da incubo che si risvegliano sotto la penna di Tasso.

 

Maestro ferrarese del XV secolo, Tarocchi Sola-Busca, Milano, collezione privata.Questo aspetto della cultura ferrarese, non l'unico ma forse il più singolare, ritma tanta parte delle opere in mostra: dalla Stregoneria di Dosso al Corteo magico di Garofalo. Dai cosidetti Tarocchi di Mantegna al Cristo di Mazzoni e così via.

L'altro aspetto, invece, sottolinea l'adesione a quell'ideale di classicità che Leon Battista Alberti e Guarino Veronese introducono nella feudale e "gotica" Corte estense. Il fondamentale contributo dell'Alberti per la nuova ideologia del classicismo a Ferrara (e il grande intellettuale di cui quest'anno si celebra il centenario verrà ricordato in un convegno internazionale, dal 29 novembre al 3 dicembre 2004, che si svolgerà in Castello con il coordinamento dell'Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara) è ricordato con una serie di testimonianze in mostra che mettono in luce i fondamenti del nuovo pensiero che tanta parte avranno nella costruzione della nuova città ideale; vale a dire la terra nova che Ercole I aggiunge alla città, creando il mito (e la realtà) di Ferrara prima città moderna d'Europa.

 

 

Maestro ferrarese del XV secolo, Tarocchi Sola-Busca, Milano, collezione privata.Un classicismo che armoniosamente si integra con la radicata consapevolezza della cultura nordica a cui una stirpe cavalleresca come quella estense si rifà e che viene testimoniata da tante opere eccelse in mostra: i Dosso, ma soprattutto i Garofalo, i Mazzolino e gli Ortolano: insomma la fulgida bellezza che ha reso quel luogo, il Castello, dimora incantata del principe e segno del suo potere.Un classicismo che nel "divino" Ariosto raggiunge la perfetta misura. E come poteva mancare in mostra l'edizione definitiva dell'Orlando furioso del 1532, messo a confronto con i paesaggi fiabeschi e misurati sul richiamo al classicismo di Dosso? Ecco allora la bellezza fulgida della Laura Dianti di Tiziano o i ritmi pacati di Psiche abbandonata da Amore di Dosso.
Si apre proprio con le sublimi testimonianze tassiane, il più moderno e inquieto interprete di queste due anime del Rinascimento ferrarese, la grande esposizione del Camerino d'alabastro, la più attinente e affascinante nel racconto del Castello; il luogo segreto di un'adesione alla classicità che diventa sostanza e ritmo di un modo non solo di vedere la realtà, ma di coniugarla secondo il ritmo della perfezione antica.

 

 

 

Dosso Dossi, Psiche abbandonata da Amore, Bologna, Palazzo Magnani.Il camerino che raccoglieva, a modo di studiolo e di contemplazione della bellezza, i tesori più "intimi" del duca Alfonso, attiguo a quei camerini dipinti adorni delle abbacinanti tele dei Baccanali di Bellini, Tiziano e Dosso, è ora restaurato nella sua volumetria in quella magica Via Coperta che univa la Corte vecchia con il Castello ed è uno dei risultati, dico il restauro volumetrico, più lodabili in tutte queste proposte legate al "nuovo" aspetto del Castello.

I marmi del Camerino che, grazie alla disponibilità del Museo dell'Ermitage di Pietroburgo, sono approdati in Castello accompagnati da una impeccabile presentazione filologico storica affidata a un fondamentale catalogo, raccontano in una sequenza stupefacente a quale grado di cultura e di raffinatezza artistica la Corte Estense di Ferrara ha saputo nel suo Castello interpretare e coniugare l'idea mentale del Rinascimento.