Rinascimenti incrociati

Scritto da  Gianni Venturi

Tiziano, Ritratto di Isabella d'Este, Vienna, Kunsthistorisches Museum.Le corti di Ferrara e Milano fra Quattrocento e Cinquecento

 

 

C'è una parola, Rinascimento, che dice tutto e nulla di un periodo, forse il più complesso della nostra storia e che, a seconda della situazione storica, della geografia culturale, del paesaggio cambia profondamente e produce insoddisfazioni, correzioni di tiro, puntualizzazioni.

E se il "Rinascimento" fosse un'invenzione o un'idea mentale, un'aspirazione, un desiderio, un'utopia? Tutto questo e altro quella parola contiene in sé, lasciando però l'insoddisfatta pretesa di saperne di più. Certo, se si osserva Firenze, in primavera dai giardini dei Tatti, la famosa villa di Bernard Berenson, tra gli "scopritori" del Rinascimento, si potrebbe convenire, come da più di un secolo Inglesi e Americani sostengono, che l'invenzione di quel termine è loro, quasi che Burckardt, Pater Ruskin, James o Lawrence o Berenson, avessero costruito il paesaggio fiorentino come ultimo e segreto sogno non di un Rinascimento ma "del" Rinascimento.

 

È impressionante come l'idea di una città, Firenze, - e in misura minore Venezia o Roma - fatta di spazi, di architetture, di ville e di giardini, venga rielaborata tra Otto e Novecento, nel gusto e nella teoria storica, abbondantemente compromessi con la prassi antiquaria e mercantile, un'idea che si concretizza in una equazione: Rinascimento=Firenze. Chi conosce la casa-museo di Isabella Stewart Gardner a Boston o i Cloisters  vicino a New York, può comprendere che ancor oggi per gli Americani, (forse più che per gli Inglesi che dai primissimi decenni del Novecento crearono il paesaggio rinascimentale di Firenze: La pietra di Harold Acton, L'ombrellino di Violet Trefusis, I Tatti di Bernard Berenson, Villa Medici di Iris Origo, solo per citare i più famosi), Firenze è il Rinascimento.

 

Attribuito a Leonardo, Beatrice d'Este (?) Milano Pinacoteca Ambrosiana.Occorrerà la luciferina e immensa intelligenza di Roberto Longhi per capire che altri Rinascimenti, altri luoghi, altre culture componevano il mosaico di quel nome e di quella età. E come lui, Adolfo Venturi, padre delle memorie estensi, o in qualche modo lo stesso Berenson, capirono che la linea rinascimentale con capolinea Firenze transitava non solo da Roma o da Venezia, ma che l'"eurostar" delle idee e della cultura rinascimentali faceva tappa e raccoglieva molti passeggeri in corti "minori", ma splendide e assolutamente all'avanguardia nel nuovo modo di rappresentare il mondo e l'uomo.

 

E saranno i lavori sull'officina ferrarese, sulla pittura lombarda fino a quel Caravaggio che, oggi, insieme agli Impressionisti riempie e continua a riempire gli occhi e le sale delle dissennate mostre che alimentano la transumanza del turismo d'arte.

E proprio per capire il segno e il senso di una complessità di istanze, motivi, realizzazioni che le corti del Rinascimento hanno prodotto (e che rappresenta il tema proposto per un nuovo legame Ferrara-Milano provocato dall'apertura della sede milanese della Cassa di Risparmio di Ferrara), tre donne intorno al cor mi son venute - e la citazione dantesca in questo caso ben si adatta al ruolo che, appunto, tre donne, dominae, signore hanno esercitato tra Ferrara, Mantova, Milano.

Gian Cristoforo de' Ganti, detto Giancristoforo Romano, Busto di Beatrice d'Este, Parigi, Musée du Louvre.Tre donne che portano due nomi spagnoli per sottolineare la loro parentela con la stirpe reale degli Aragona: Isabella e Beatrice, sorelle; e uno romano, Lucrezia, la figlia del Papa, cognata delle due prime e sposa ad Alfonso I d'Este.

Tre donne che hanno dominato l'immaginario rinascimentale e, in fondo, hanno condizionato la storia di quel periodo non perché fossero particolarmente intelligenti, belle, e colte (a dispetto dell'encomio cortigiano che così le voleva e le interpretava), ma perché tre stati, Ferrara, Mantova, Milano, costruiti attorno a quella consapevolezza ideologica e intellettuale che "forma" il Rinascimento, ne hanno fatto l'immagine di uno stile del potere che ha usato l'arte della guerra per costruirsi uno stato, anzi, tre stati, la cui piccolezza territoriale è stata inversamente proporzionale alla grandezza culturale.

Quel che più conta è che, quando gli echi delle guerre si spengono e rivelano la loro vera essenza non di cause ma di mezzi di un potere effimero, ciò che resta - i nomi di quei piccoli stati, i nomi di quelle piccole donne - vengono innalzati in una specie di eternità storica che si affida alla letteratura, all'arte, all'intelletto. E così diventano grandi modelli di un sapere e di una conoscenza che espunge da sé il contingente e l'effimero.

 

Anonimo Lombardo, (fine secolo XV) Pala sforzesca, Milano, Brera.A Ferrara c'era in quel periodo,  il "divino" Ariosto e a Milano c'era Leonardo, il nuovo Apelle. Ed è la poesia che tra le arti sorelle sa e vuole eternare il valore dell'arte in quel parallelo con gli antichi (i maestri che stanno per essere superati dall'età presente) che li rende compagni in una età dell'oro perseguita e voluta e ordinata dal signore e dalla Corte.

L'antichità, il classicismo, la lezione assoluta degli antichi sta per essere eguagliata dai moderni in un paragone che trionfalmente accosta pittori e scultori considerati un tempo irraggiungibili con le glorie dell'età presente:

«Timagora, Parrasio, Polignoto/Protogene, Timante, Apollodoro/Apelle, più di tutti questi noto,/E Zeusi, e gli altri ch'a que' tempi foro;/Di quai la fama(malgrado di Cloto/Che spinse i corpi e dipoi l'opre loro)//Sempre starà, fin che si legga e scriva,/mercè degli scrittori al mondo viva:/E que' che furo ai nostri dì, o sono ora,/Leonardo, Andrea Mantegna, Gian Bellino/ Duo Dossi, e quel ch'a par sculpe e colora/Michel più che mortale Angel divino/Bastiano, Rafael, Tiziano ch'onora/Non men Cador, che quei Venezia e Urbino;/E gli altri di cui tal opra si vede/Qual che la prisca età si legge e crede» (Orlando Furioso. Canto XXXIII, ottave 1-2).

Come si vede dal catalogo ariostesco è Leonardo il primo della lista degli artisti moderni, come Apelle è il più noto tra quelli antichi. Così il divino Ariosto (e si noti che lo stesso appellativo è qui usato per Michelangelo) può rendere immortale la fama e l'opera del "nuovo" Apelle.

 

 

Leonardo, Dama con l'Ermellino (1485 - 1490) Cracovia, Czartoryski Museum.A questo punto è, però, necessario ricollegare il filo storico che unisce le vicende di Milano con quelle di Ferrara, nel momento affascinante e terribile, tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento, il 1530 per esattezza, quando Carlo V di Spagna detta le dure condizioni del nuovo sistema politico che sancisce la fine delle cosiddette "libertà" italiane e la nascita della super potenza spagnola che in Europa primeggerà almeno per un paio di secoli.In questo panorama, la politica matrimoniale, già sperimentata con successo dagli Estensi ormai duchi, raggiunge il suo apice per merito del cauto e avarissimo Ercole I che, ben consigliato dalla moglie, Eleonora d'Aragona, figlia di re, è decisissimo a sanare attraverso la politica matrimoniale le vacillanti fortune dello stato sempre in bilico tra fedeltà al Papa di cui Ferrara è stato vassallo e la nuova realtà istituzionale.


Ercole, come del resto il figlio Alfonso, pur alleati da sempre con la Francia (e il matrimonio del figlio di Alfonso e Lucrezia, Ercole II con la figlia e la sorella dei re di Francia, Renée, ne sarà la prova più evidente) non sottovalutano il peso sempre più preponderante della casa d'Asburgo tanto da rovesciare nella conclusione della storia estense a Ferrara la stessa politica matrimoniale sancita con il matrimonio di Alfonso II, le beau chevalier, con la bruttina Barbara d'Asburgo figlia e sorella di imperatori.

Bartolomeo Veneto, Lucrezia Borgia in veste di Flora, Francoforte, Staedelsches Institut.Non è stato facile per Ercole destreggiarsi tra i partiti. Non fu una scelta indovinata il primo matrimonio del gaudente Alfonso con Anna Sforza: il macho ferrarese, si suppone non essere stato troppo soddisfatto a sorprendere Anna tra le braccia della bella mora, classico e usuale ornamento dell'orientalismo e delle turcherie così sentiti alla corte estense come ora ci racconta il bel libro di Gianni Ricci, Ossessione turca in una retrovia cristiana dell'Europa moderna. Ma nemmeno troppo contento allorché nel 1502 sposa Lucrezia, la più chiacchierata tra le signore del Rinascimento: dote favolosa, potere e protezione papali ma anche il Valentino, a cui prima o poi i tre cognati, Alfonso d'Este, Francesco Gonzaga, Ludovico Sforza pagarono il pizzo.

Lucrezia, non amata dalle cognate, seppe tuttavia in gara strettissima con Isabella e Beatrice costruirsi un personaggio che si riflette sulla politica di Corte e in qualche misura opera per la gloria dello stato estense.

L'immagine che se ne ricava e che produce il curioso alternarsi del giudizio storico sulla sua figura, è tanto fittizia quanto appunto è soggetta a una propaganda politica che a Roma fa leva sul partito antiborgiano e sui pericoli insiti nell'avventura intrapresa da Alessandro VI e dal Valentino di fare del papato un regno; dall'altra nel più rassicurante clima ferrarese la convinzione sollecitata e diffusa dagli ambienti intellettuali di Corte di una saggia amministratrice, dotata di un lucido sguardo politico e di una generosità sui generis, capace senza esitazioni di impegnare tramite la cognata Isabella i suoi mitici gioielli per fronteggiare una delle endemiche carestie che flagellavano lo stato estense.

Di Isabella tutto sappiamo. La signora del Rinascimento, come titola la sua bella biografia, Daniela Pizzigalli, ebbe un'educazione da sovrana, secondo la politica estense.

 

Scuola Mantovana, Medaglia dell'Amorino Bendato.Allevata tra la corte materna degli Aragona e il raffinatissimo entourage intellettuale della corte estense dove Guarino aveva già predisposto un modello per l'educazione del principe che si diffonderà in tutta Europa, Isabella diventa la pedina più prestigiosa di quella sorta di gioco di scacchi intrapreso in Italia e di cui la politica matrimoniale era uno dei cardini.

La questione aragonese, il conflitto innescato dalla Francia che richiede di tornare in possesso dei diritti dei Valois nel Regno di Napoli, gli Sforza imparentati con gli Aragonesi (il fratello di Eleonora d'Aragona d'Este, l'erede al trono Alfonso, aveva sposato una Sforza  e la loro figlia Isabella fidanzata al giovane e infelice Gian Galeazzo, duca di Milano di titolo ma non di fatto vista l'usurpazione camuffata dello zio Ludovico, futuro sposo di Beatrice d'Este).

La più colta delle Estensi si trova promessa a uno dei tanti capitani o signori delle armi che alimentano il proprio potere, e il proprio stato, mettendosi al servizio delle potenze italiane ed europee più cospicue.

Isabella introduce a Mantova quella raffinata cultura che è ormai "lo stile di fabbrica" degli Estensi. Persegue un'idea di Rinascimento fondata e modellata a Ferrara tra gli umanisti di corte: dalle lezioni di Battista Guarino al segretario Equicola che già per il fratello Alfonso aveva dettato l'iconologia delle stanze di Bacco dei famosi camerini del Duca.

È celebre la sua insaziabile volontà di conoscenza su tutto quello che si svolge alla corte estense e famose sono le relazioni che l'ambasciatore estense le invia ogni sera in periodo di Carnevale per illustrarle le commedie dell'Ariosto o le toilettes della cognata Lucrezia e delle dame di Corte.

Ma forse la grandezza di Isabella, al di là delle sue doti politiche e di governo, sta in quel suo insaziabile desiderio collezionistico che la rende la più ambita e temuta tra i committenti.

 

 

Andrea Mantegna, Ritratto di Francesco Gonzaga (particolare della Madonna della Vittoria), Parigi, Louvre.Il celebre episodio di Leonardo che fugge da Mantova senza aver eseguito il promesso dipinto di Isabella a cui resta solo il cartone è forse l'esempio più citato e più conosciuto.

C'è poi la piccola Beatrice, apparentemente la meno dotata, la più adatta a svolgere il ruolo di moglie fedele e acquiescente che deve combattere non solo per ricavarsi il posto che le compete alla corte di Ludovico Sforza, a Milano, che sta mirando a impossessarsi del potere e che lo porterà alla rovina non solo del suo casato; ma del sistema degli stati signorili italiani. Ludovico richiede Isabella a Ercole come sposa ma questa è già promessa al Gonzaga.

Nel 1480 le due sorelle quasi bambine vengono promesse ai due signori di Mantova e di Milano: Isabella sposerà Francesco nel 1490; Beatrice, l'anno dopo Ludovico. Le nozze di Beatrice avrebbero avuto luogo a Pavia e Isabella parte sul bucintoro per raggiungere il luogo delle nozze.

La Pizzagalli riporta una lettera che Beatrice Contrari, dama di Isabella scrive a Francesco Gonzaga per metterlo al corrente dei disagi del viaggio affrontati dalla moglie: è un delizioso squarcio di vita contemporanea che ben illustra la raffinatezza intellettuale delle "ragazze" estensi e del loro circolo.

«Quando venne l'ora del dormire, ricordandomi di avere così triste stanza com'è questo bucintoro tutto bucato, ci fuggiva la voglia di andare a letto. E la poveretta ill. madonna Marchesana, sentendosi fredda e senza fuoco, cominciò a dolersi dicendo che era morta, del che mi venne tanta compassione che non potei trattenere qualche lacrima. Finalmente si mise a letto e mi chiamò appresso perché la scaldassi. Io per ubbidirla ci andai, ma le augurai Vostra Signoria, parendomi triste baratto e male atta a scaldarla come farebbe la Signoria Vostra, non avendone io il modo.» (Pizzagalli, p. 52).

 

C'è un altro tratto che unisce le tre signore e che fa parte della leggenda nera estense. Potremmo dire che Isabella, Beatrice, Lucrezia siano delle malmaritate e nonostante questo ruolo, che hanno saputo affrontare gagliardamente, sono riuscite a far convivere ragioni di stato con una solida unione, fino al caso eclatante di Beatrice che conquista anche il cuore di Ludovico, nonostante la presenza inquietante e predominante della "dama dell'ermellino", Cecilia Gallerani.

Di Lucrezia si può dir tutto e il contrario di tutto. E se gli studi recenti sollecitati dall'anno lucreziano, indetto nel 2002 dal Comune di Ferrara, attenuano l'immagine della dark lady a meno mostruose situazioni, ad arte diffuse dagli storici antiborgiani o da quelli dell'Ottocento libertario, è anche assodato che il cognato Francesco ebbe ricetto nel letto di Lucrezia, virtuosa sì ma con giudizio.

È proprio del 1489-1490 il celebre ritratto che Leonardo eseguì per la favorita di Ludovico, un ritratto che secondo le indagini del "nuovo Apelle" avrebbe dovuto rivaleggiare con la natura. Il "ritratto di spalla", secondo la definizione di Carlo Pedretti fissa quell'ossessione leonardesca a impadronirsi della dinamica del corpo mentre tutta l'impaginazione della figura tien conto di quei referenti metaforici e simbolici che investono la consacrazione della donna a simbolo del potere.

L'anno prima Ludovico aveva scelto l'ermellino, simbolo della purezza, a suo emblema; Cecilia riceve la consacrazione del potere perché tiene in braccio l'ermellino, il cui nome in greco è "galé" con facile riferimento al cognome della Gallerani.

Beatrice è capace di rivaleggiare con la colta e potente favorita fino a metterla in ombra, fino a conquistare il cuore dei milanesi e di Ludovico che per tutta la vita onorerà la giovane sposa spenta in giovane età e che forse avrà avuto anche lei nel meraviglioso quadro dell'Ambrosiana, attribuito a Leonardo, il segno e il senso di un destino che si fa "rinascimento".