Ab insomni non custodita dracone

Scritto da  Carlo Bassi

Prospettiva della Giovecca di Guido Marussig.Dentro la poesia di Ferrara. Ferruccio De Lupis e la grande impresa editoriale del 1921

Credo che sarebbe di significativo interesse, non solo per gli addetti ai lavori o di chi in modo specifico si interessa di Ferrara, riproporre alla attenzione della critica e alla lettura degli appassionati i testi dedicati alla città da Ferruccio De Lupis in una stagione letteraria dominata da D'Annunzio e, in particolare, dal Notturno prima e dalle Faville del maglio dopo, nel cuore di avvenimenti politici ai quali le ricerche letterarie di De Lupis sembrano totalmente estranee, ma che saranno destinati a determinanti e tragiche conseguenze.

 


In realtà, qualche tentativo è stato fatto, qualche programma avviato con poco successo: non si è inquadrata la rilettura di testi determinati, non si è soprattutto pensato ai testi poetici.

 

Credo anche che se si arrivasse a poter rileggere quelle pagine avremmo sotto gli occhi argomenti che ci  offrirebbero un modo, per molti totalmente sconosciuto, di interpretazione della città e della sua realtà poetica. Leggeremmo, cioè, il passaggio dalla Ferrara proclamata da De Lupis a quella raccontata da Bassani, passaggio che avviene quasi in sequenza e che potrebbe servire a farci intendere di quale diversa intensità e di quale  differente grana possa essere la voce che racconta la città.

Il motivo che mi sollecita a queste considerazioni e a quell'auspicio è un "oggetto", un "monumento", che si colloca all'interno del ciclo dedicato alla poesia di Ferrara di De Lupis e sul quale vorrei fermare l'attenzione dopo che ho avuto la fortuna di vederlo, di toccarlo, di sfogliarlo, quasi di annusarlo.

Esso è custodito in un apposito contenitore nella casa-studio di Claudio Gualandi e Linda Mazzoni, luogo favoloso di due carissimi amici, grafici di talento, con vasti interessi a testimonianza di qualità riferite a Ferrara.

E' inutile precisare che si tratta di un libro, un grosso libro in-folio, progettato scritto ed editato da Ferruccio De Lupis, e dalla sua bottega d'arte "La Cisterna", nel 1921, insieme a un nome di grande eccellenza nella editoria d'arte di quegli anni, operoso a Milano: Alfieri & Lacroix.

Antiporta del volume.Ha un titolo araldico, in lingua latina, il cui significato, certamente una citazione classica, ha un sapore criptico ed ermetico alla comprensione: AB INSOMNI NON CUSTODITA DRACONE e, sotto l'aquila estense, la scritta FERRARA. La traduzione: "Non custodita dal dragone insonne" riferita alla città apre a pensieri di luogo senza difesa, quindi penetrabile, percorribile, permeabile, tutto da scoprire nella sua realtà fisica e poetica,  inerme davanti alla poesia perché esso stesso poesia.

Attraverso le immagini che compongono il volume e i testi poetici che le commentano (sono 146 le pagine in carta pesante, ordinate in dodici capitoli), si può cogliere la qualità che ho chiamato "monumentale" dell'opera.Essa è costituita in prevalenza da tavole litografiche di Guido Marussig che si soffermano su monumenti simbolo della città ai quali è dedicato un commento sempre di scrittura ad alta tensione poetica dettato da De Lupis.

Abbiamo citato Guido Marussig e dobbiamo ricordare che è un nome importante e per certi versi fondamentale del Novecento pittorico e artistico italiano, con Carrà, Funi, Sironi (la grande mostra dedicatagli nel 2004 a Trieste, dal Museo Revoltella, ha testimoniato di questa rilevanza).

Ma De Lupis è anch'egli illustratore in questa sua grande performance: ventiquattro sono infatti le lito di  Marussig, quattro quelle di De Lupis, tre di Carlo Parmeggiani pittore liberty ferrarese. 

E' da notare (e lo ha rilevato anche Vittorio Sgarbi) il taglio delle immagini dei monumenti rappresentati: taglio propriamente fotografico, intenzionalmente "scorretto" dal punto di vista della pura illustrazione del monumento stesso, ma capace di caricare l'immagine di tensione e di forza.

Frontespizio del volume.Questa singolarità è propria di tutte le tavole che compongono il volume e viene da pensare che sia stata voluta esplicitamente dal regista dell'opera, De Lupis stesso, che era abile fotografo e non certo dilettante (non a caso aveva scritto fin dal 1905 un testo su "L'anima della fotografia").

Sono significative, sempre in questa ottica, le sue immagini fotografiche del libro Attraverso la poesia di Ferrara, libro che possiamo considerare il fratello minore del "monumento" di cui stiamo parlando: minore, però, solo per la dimensione, ma di uguale, anche se meno distillata, carica poetica.

Nell'opera i testi hanno una rilevanza fondamentale perché si inscrivono in quel filone di ricerca che partiva da noi dalle pagine di D'Annunzio (per finire nelle 'parole in libertà' di F. T. Martinetti) e che i critici hanno definito "prosa d'arte": "oro liquido senza forma" secondo Renato Serra. Bisogna dire che De Lupis si nutriva avidamente di queste primizie con risultati eccellenti.

Le sue impressioni, le sue illuminazioni attengono al fascino che certamente suscitarono in lui le intuizioni pittoriche che, nei pressi della sua grande dimora sulla Giovecca, travagliavano ed esaltavano il "marchesino pittore" che sentiva tanto affine nelle parole rispetto ai tocchi di colore da aver modellato il suo nome su quello che si era dato il giovane Maestro che aveva abbandonato il silenzio presago dei Metafisici per la musica squillante del pennello sulla tela: da Luppis, il suo cognome corretto a De Lupis, come De Pisis. È da queste contaminazioni che nascono gli interessi alla rilettura di cui parlavo all'inizio.

Chiesa di San Cristoforo alla Certosa di Ferruccio De Lupis.Sono testi che sarebbero in gran parte da citare: ricordo, per fare un esempio, quello che commenta il disegno di Marussig dedicato alla Prospettiva della Giovecca, la strada della sua casa: "E un arco triforo coronò la Giovecca perché il sole morente inneggiasse al roseo mattino, e nella carezzevole penombra degli archi per l'ora vespertina, uscissero gli amanti a circonfondere del loro amore l'anemia di Ferrara, la triste innamorata".

Sono brani di poesia trascritti in prosa e in questo trasloco si caricano di tensione come le immagini "scorrette" del fotografo raffinato.

Tutto questo dimora entro una rilegatura in cuoio e rame sbalzati a bulino con fregi in oro a opera di un maestro che firma Giovannoni, famoso rilegatore con bottega nella piazzetta davanti alla chiesa del Gesù.

Oltre a queste particolarità che l'oggetto posseduto dai miei amici sontuosamente mostra, è da notare una dedica che Emilio Arlotti, figura massimamente rilevante del fascismo ferrarese e che pare essere stato il motore segreto della grande impresa editoriale, scrive. con calligrafia dannunziana, sul frontespizio decorato. Dona il prezioso volume al caro e illustre amico onorevole Razza "perché ricordi e voglia sempre bene a Ferrara", tutto questo nel centenario ariostesco, alla data
28 IX 1933-XI E.F.

Luigi Razza, prima di diventare membro della Camera dei Fasci e delle Corporazioni era stato direttore del giornale "Il Popolo" fondato da Cesare Battisti. Dieci anni dopo quelle cortesie fra 'camerati' nel nome di Ferrara e delle sue glorie, Emilio Arlotti sarà fucilato nella notte di sangue fratricida del novembre 1943.

Ma non solo questa lussuosa copia del volume ha un imprinting che oggi noi consideriamo tragico, la nascita dell'edizione, nel 1921, si situa in momenti drammatici della storia di Ferrara e del Paese (ne accennavo nell'introduzione): il 1921 cade fra il 1920 e il 1922. Nel 1920 si registra l'eccidio già fratricida del Castello: era il 20 dicembre; nel 1922, va in scena la Marcia su Roma con tutto quello che ne conseguirà. Ma l'oro senza forma della poesia di De Lupis vola su tutto.