Ferrara e l'Altrove

Scritto da  Maria Cristina Nascosi

Marisa Carolina Occari, Villa Camerini, acquaforte del 1981.Breve viaggio lirico visivo attraverso parole e immagini di Donna.

Accade a volte: le immagini suggeriscono più delle parole, anzi suggestionano, se si vuole, giocando sul falso/vero significato del termine inglese suggestion.

Eppoi il tutto si interseca, in una sorta di collaborazione artistica tra Muse Gemine come la Pittura, vista in tutte le sue accezioni, e la Poesia, concepita in parallelo, polifonicamente, a 360 gradi.

E allora acqueforti e puntesecche come quelle di Marisa Carolina Occari facilmente raccontano e s'accompagnano a liriche di autrici della nostra terra, in italiano e in lingua dialettale, tradotte - tràdite(e)tradìte - interpretate (meglio) in un'altra lingua come quella inglese, altrettanto ricca, ricchissima e puntuale rispetto alle due che fungono da idea-madre. La polifonia di cui sopra diviene, dunque, ulteriore motivo di comunicazione filtrata, a sua volta, dalla sensibilità femminile.


Apre l'iter lirico-visivo "Al Po", di Liana Medici Pagnanelli, che ben s'accompagna a "Villa Camerini", un'acquaforte del 1981 della Occari, raffigurante una splendida e ben nota casa sul Po, che suggerisce a chi già lo sa (e a chi non lo sa) che davanti alla sua facciata più intima, gli alberi e la verzura s'intrecciano, per divenire tra loro un tutt'uno, anche se non appare, ma lo si intuisce - frontale occhio fuori campo - con il fiume Po, il re della nostra vallata, colui che dalle origini domina le sue genti padane che da esso mai possono prescindere, come già narrava, prima su carta, poi per immagini, Michelangelo Antonioni nel suo primo lavoro "Gente del Po", tra il 1943 e il 1947.

Poi la memoria individuale domestica prevale e "Le mie sorelle che cuciono", acquaforte/reale sermo familiaris dell'autrice, dà visiva nuova vita a "Rusìna" di Vanna Cavallina, una lullaby - ballata sul lavoro certosino di una madre che riporta con tenerezza a un tempo che fu.

Marisa Carolina Occari, Le mie sorelle che cuciono, acquaforte.Le immagini di Carolina Occari si stilizzano e divengono simbolo con pregnanza ulteriore, se possibile: così "La rosa - poesia Bemporad" che come il "Fiore di Shakespeare" non cambierebbe, nemmeno se cambiasse nome, è una magnifica puntasecca del 1980 che, più che natura morta, è una still life, ancora in vita, come letteralmente e letterariamente, con un calembour, la si potrebbe translare dalla lingua inglese cui ben s'addice la poesia immortale "Altra rosa" di Giovanna Bemporad, che la glossa marginalmente sullo stesso proprio supporto, vaga, sensuale, vivificante.

Conclude il poetico/visivo viaggio su carta, l'esaltazione del simbolo che si fa trasfigurazione: un volto di giovane donna, il Futuro, diretta emanazione del Passato, una puntasecca del 1983 della Occari, "Laura con orecchini", che nell'eterno femminino che rappresenta pare raccontare, idealmente accompagnata alla poesia omonima di Antonietta Massari Scabbia, l'Aurora del mondo, ma anche la rinascita perenne di un'ideale "Madòna Frara" che risorge continuamente dalle ceneri della bella Città Estense, femmina/madre/figlia, natura primigenia, fecondità d'Artista: Donna, naturalmente.

Un grazie particolarissimo e affettuoso alla grande artista Carolina Marisa Occari per le preziose opere prestate, imprescindibili glosse alla redazione di questo articolo e per aver messo a disposizione, per lo stesso fine, l'ottimo baedeker rappresentato dal recente catalogo delle sue Incisioni, edito nel novembre del 2004 dalla Marsilio Editore di Venezia.

AL PO  
di Liana Medici Pagnanelli

Ech 'l al mié Po, un nàstar d'aqua ciàra
ch'al ss'intrézza e 'l cór tra 'na gran scaviàra
ad siév, ad piòp, ad sàlas e rubìn
chi 'gh créss e i ss'agh multìplica d'avsìn.
Mo cum ch'l'è bèl, lì, chiét int al ssò lèt,
(quand ch'a n'agh prìla 'd fàrass un qualch dzzpèt)
che sól alóra a par ch'al dvénta brut,
ssciumànd al ruz e a par ch'al spàca tut.
Passà la ràbia, la pìna e l'aluvión,
èco ch'al torna a scórar quiét e bón,
purtànd in mar con l'aqua i ssò segrèt
ch'la sunà su par strada in tant dialèt.
Mi, che dal Po a són inamurà
e in pèt a lu am sént cum'è incantà,
am piasrév tant, 'na vòlta, par pruàr,
d'èssar 'na gózza 'd cl'aqua
e...andàr...andàr...andàr...

Marisa Carolina Occari, La rosa - poesia Bemporad, puntasecca del 1980.Ecco il mio Po, un nastro d'acqua chiara
che s'intreccia mentre il cuore si rimescola
tra siepi, pioppi, salici ed acacie
che d'accanto
gli crescono e s'aggiungono.
Ma come è bello lì, calmo, nel suo letto
(quando non gli salta in mente di farci un dispetto),
poiché solo allora sembra divenir brutto
e schiumando ruggisce e pare spaccare tutto.
Passata la rabbia, la piena e l'alluvione,
ecco che torna a scorrere quieto e buono
portando a mare con l'acqua i suoi segreti
che ha raccolto per strada insieme coi dialetti.
Io, che dal Po son presa
ed incantata
vorrei tanto, solo per provare,
essere una goccia d'acqua
e...andare...andare...andare...

 

RUSÌNA
di Vanna Cavallina

Quant punciàr, in cla camarìna,
da la matìna prèst a la lus dla lampadìna:
vastì, paltò, vestàli, e camisét ad séda,
stanèl lunghi par la sìra e vastì da spósa,
con póch aiut e tanta tribulazzión
at fasévi bèla figura in tuti gl'ucasión.
Iéra àltar témp, an gh'iéra brìsa la confezzión,
il pronto moda sól par qualcdùn;
at cumpràvi sól grinbialùn e vastì da lavór,
póch quèi e tut dal stéss culór,
ma 'na stanèla fàta su misùra
ta t'la duvévi far fàr con tanta cura.
Al paréva un mastierìn tant mudèst,
ma at iéri brava, al capìss adèss:
quand at vastìvi la pòvra zént,
t'at fasévì pagàr póch e niént
i 't pagàva un puchìn tut i més
e 'l paltò t'al vultàvi slés.
Par cliént, anch l'alta società:
dònn pìni 'd caprìzzi, sénzza pietà,
i pensava sémpàr sól a spianàr
e la tò ricumpénsa i t'la faséva penàr
e méntar lór il géva: Passerà mio marito...,
ti t'antizipàvi il spés per il cucito...
Però che bèi vastì, che bèli stòff,
stanèl lunghi, mànagh a sbùff,
curpìn ricamà, pìn ad brilantìn,
séda, vlud, orgànza, tull e satén,
coi mudié dla Rosany
ch'la gnéva da Firenze sól par ti.
A la màchina da cùsar
quant pedalàr?
a cuntàral la par 'na fòla,
ma int un sgónd at fasévi la spòla,
pò la stòfa sóta a cal pidìn
ed èco fat un bèl vastidìn.
Al paréva tant fàzzil,
quasi un zuglìn,
ma sól quand a i ò pruvà
a i ò capi ch' a t'iéri brava,
brava purassà
e che tròp prèst t'a m'à lassà.

 

Marisa Carolina Occari, Laura con orecchini, puntasecca del 1983.Quanto cucire, in quella camerina,
dalla mattina presto alla luce della lampadina:
vestiti, cappotti, vestaglie e camicette di seta,
gonne lunghe per la sera e vestiti da sposa,
con poco aiuto e tanta fatica
facevi bella figura in tutte le occasioni.
Erano altri tempi, non c'era la confezione
il pronto moda solo per qualcuno;
si compravano solo grembiuli e vestiti da lavoro,
poche cose tutte dello stesso colore,
ma un abito fatto su misura
te lo dovevi far fare con grande cura.
Sembrava un mestierino tanto modesto,
ma eri brava, lo capisco adesso:
quando vestivi la povera gente
ti facevi pagare poco e niente,
ti pagavano un pochino tutti i mesi
ed il cappotto lo voltavi liso.
Per clienti anche l'alta società:
donne piene di capricci, senza pietà,
pensavano sempre solo a sfoggiare
e la tua ricompensa te la facevano penare
e mentre loro dicevano: Passerà mio marito...
tu anticipavi le spese per il cucito...
Però che bei vestiti, che belle stoffe,
gonne lunghe, maniche a palloncino,
corpini ricamati, pieni di brillantini,
seta, velluto, organza, tulle e satin,
con i modelli della Rosany
che veniva da Firenze solo per te.
Alla macchina da cucire
quanto pedalare...
raccontarlo sembra una favola,
ma in un secondo facevi la spola
poi, la stoffa, sotto quel piedino
ed ecco fatto un bel vestitino.
Sembrava tanto facile,
quasi un giochino,
ma solo quando ho provato
ho capito che eri brava,
tanto brava
e che troppo presto mi hai lasciato.

 

ALTRA ROSA
di Giovanna Bemporad

China sul margine del tuo segreto,
o rosa in veste diafana, mollezza
di corpo ignudo, incrollabile tempio
che in vigilanza mi tieni,
non so di che rilievi si componga
la tua bellezza. E all'onda dei profumi
che col ritmo di un alito tu esali
misuro il tuo pallore e il mio languore.
Mi tenta ogni tuo petalo concluso
nel giro di una linea sensitiva,
mollemente incurvato e pieno d'ombra.


AURORA
di Antonietta Massari Scabbia

Una rosea aurora
dipinge a chiazze l'albero di magnolia
bagnato di rugiada,
colora l'aria di tenue tinte,
aleggia sopra gli alberi,
creando un'atmosfera di favola.
È maggio: le piante del terrazzo
si beano della dolce linfa,
aprendosi al tepore del nuovo sole
che sta per affacciarsi.
Fra le fronde degli alberi
gli usignoli si svegliano,
fra un trillar festoso
raccontano sogni
che devon essere molto belli:
lo denota l'allegro frastuono
del loro gorgheggiare.
Le lucertole si rincorrono
sulle pareti e sul selciato
alla ricerca di insetti per cibo.
Un nuovo fiore
apre la sua corolla
a ricordare un nuovo giorno,
la gioia della natura,
la vita che continua.