Nell'introduzione alla guida di mostra, Angelo Andreotti - che oggi dirige l'istituzione museale - dà ragione della scelta di principio che pone l'accento sulla memoria, come strumento necessario per conservare la coscienza dell'identità individuale e anche collettiva, ed espone le finalità concrete dell'operazione, "utile e palese pretesto per conservare nel tempo quel materiale che costituisce una delle ricchezze di Ferrara, e cioè restaurarlo, documentarlo, fotografarlo, schedarlo, studiarlo e, infine, pubblicarne il catalogo".
Le cospicue collezioni civiche sono, infatti, in parte poco conosciute perché non esposte da gran tempo e, in alcuni casi, addirittura inedite.
Come è noto, il Museo Civico nasce nel 1735 con la fondazione del lapidario romano e viene formalmente stituito in seguito all'acquisizione della importante raccolta di monete dell'eminente studioso ferrarese Don Vincenzo Bellini, nel 1758.
L'istituzione, per intenzione delle magistrature locali, è destinata a custodire le testimonianze storiche della comunità cittadina - un ruolo che si intende sostenere ancora, anche con questa iniziativa - e trova posto all'interno del Palazzo Paradiso, che raccoglie in sé l'esercizio delle principali funzioni dello Studio.
Il primo assetto museografico, connotato da una forte componente storicistica e teso a documentare i diversi campi del sapere tramite raccolte di carattere anche naturalistico, viene grandemente potenziato e per molti aspetti modificato dall'azione di Gian Maria Riminaldi, il nobile ferrarese che, su incarico del Pontefice Clemente XIV, ispirò e condusse in prima persona la storica riforma dello Studio di Ferrara, nel 1771.
Tra 1763 e 1781, il prelato, che manteneva la propria residenza a Roma, ove per molti anni sostenne il prestigioso incarico di Uditore della Sacra Rota, elargì continue donazioni al museo.
Molte delle opere che inviava a Ferrara provengono dalle sue raccolte private, altre furono acquistate sul mercato antiquario romano; tutte sono di notevole qualità e riflettono il gusto raffinato del donatore, segnato dalla passione per la riscoperta dell'antico che anima la cultura della capitale negli anni cruciali in cui Johann Joachim Winckelmann concepisce i criteri su cui si sarebbe basato lo studio dell'antichità nei secoli a venire.
Aperto all'arte, alla storia e alla letteratura e attento alle nuove esperienze della cultura europea, Gian Maria Riminaldi si muove da protagonista nel cuore della cultura romana, intessendo una rete di rapporti con i maggiori intellettuali e collezionisti del tempo e legandosi ad artisti di fama, in particolare con Anton Raphael Mengs e con il suo allievo Anton von Maron, autore del pregevole dipinto che lo ritrae in veste di cardinale, inviato a Ferrara nel 1785.
Il primo tra i doni in ordine di tempo è la splendida litoteca, una raffinata console, con profilo sinuoso e zampe leonine che esibisce all'interno un campionario di marmi rari e pietre dure. L'oggetto, commissionato a Roma dallo stesso Riminaldi, testimonia in modo emblematico il coniugarsi della passione antiquaria per le tessiture e la policromia delle pietre antiche con la nuova consapevolezza "scientifica" del secolo illuminista, che si manifesta nella puntuale classificazione litologica.
Il Cardinale, nella sua veste di Riformatore, dà particolare impulso anche alla Biblioteca e all'Accademia considerate, come il Museo, momenti essenziali della rinnovata struttura universitaria, destinati a interagire e concorrere insieme alla formazione degli studenti.
Molte sono le connessioni tra le istituzioni suggerite dal percorso espositivo; tra le più significative lo splendido busto di Cicerone, donato dal segretario del Riminaldi, il dotto Giuseppe Carli, insieme alla sua biblioteca personale.
L'opera, tratta da un prototipo della ritrattistica tardo-repubblicana, denota la straordinaria padronanza tecnica di Bartolomeo Cavaceppi, copista e restauratore sensibile e, al contempo, personalità dominante del mercato antiquario romano.
Filo conduttore importante per la comprensione della collezione riminaldiana è la costante attenzione per l'aspetto didattico, confortata da scritti autografi in cui il cardinale si raccomanda di dare opportuno spazio ai pezzi in mostra, in modo da favorirne lo studio e l'osservazione e per consentire l'esercizio di disegno e copia da parte degli allievi dell'Accademia del Disegno.
Copie di notevole qualità ripropongono alcuni tra i più celebri e apprezzati soggetti della statuaria antica, dall'Apollo esposto nel cortile del Belvedere all'inizio del XVI secolo, ai busti di Niobidi, tratti da un gruppo che il Winckelmann ascriveva alla fase sublime della scultura antica; soggetto di scuola particolarmente importante è considerato l'Ercole Farnese, scoperto nel 1540 durante gli scavi delle terme di Caracalla e immediatamente assurto a simbolo della cultura classica, rappresentato nella raccolta ferrarese da un esemplare in bronzo del XVI secolo di eccellente esecuzione.
Il complesso delle donazioni Riminaldi comprende infatti anche una raccolta di bronzetti di altissima fattura, riproduzioni dall'antico e repliche dei capolavori del Rinascimento, insieme a opere di celebri artisti, quali Gianbologna, Francois du Quesnoy, Alessandro Algardi; ai numerosi busti marmorei di tipo imperiale e a una serie di epigrafi urbane, si affiancano pregevoli sculture in marmo di età barocca e una serie di mosaici minuti, eseguiti da marmorari romani del Settecento, seguendo la tecnica antica.
In sintonia con l'azione dei Riformatori, orientata verso il potenziamento degli istituti culturali cresciuti in seno all'Università, il museo conquistò nel 1771 una sede adeguata alla sua portata e al suo valore, raggiungendo l'apice del suo prestigio. In questi mesi, il Cardinale indirizza all'architetto Antonio Foschini, incaricato della ristrutturazione di Palazzo Paradiso, nonché dell'allestimento museale, innumerevoli lettere con puntigliose istruzioni sulla collocazione delle opere; da queste pagine emerge chiara, oltre alla preoccupazione di rendere fruibili quei capolavori a livello didattico, anche la volontà di suscitare una forte emozione nei visitatori.
Il gusto per l'esposizione a effetto si manifesta nell'intercalare ai bianchi marmi di neoclassica suggestione opere che ostentano colori brillanti, lucide tessere musive, pietre dure, soprattutto marmi policromi. Nelle sale del museo trionfavano con la loro spettacolare varietà di materiali e di cromie "busti di marmi mischi", medaglioni in marmo nero con profili candidi in guisa di cammeo, sculture a tutto tondo con inserti variegati e coppie di obelischi multicolori.
Il quadro museografico concepito dal Riminaldi aveva dunque fortissima connotazione estetica ed era rivolto alla esposizione scenografica di materiali artistici e manufatti di pregio. Ne è espressione eloquente il dettagliato progetto di allestimento per le celebri Colombe che si abbeverano, che si è voluto riproporre nel percorso espositivo di Palazzo Bonacossi, accanto ad alcune citazioni dell'autografo riminaldiano.
L'opera musiva riprodotta a grandezza naturale e utilizzando le medesime pietre dure impiegate nell'originale - venuto in luce nel 1737 nella villa di Adriano a Tivoli ed esposto nelle Gallerie Capitoline - occupa un posto di primo piano, enfatizzato dalla presenza di una grande cartella in ottone, recante l'iscrizione del testo di Plinio.
Come suggerito dal donatore, il mosaico è stato appeso sopra un tavolo "impellicciato di ametista lavorata a mandorla aperta, e fasciato di diaspro sanguigno", al quale fanno cornice due equilibrate sculture in bronzo.
Lo studio della raccolta, attualmente in corso, affronterà in modo sistematico e approfondito i numerosi aspetti già messi in luce in fase espositiva. Attraverso le opere potranno esser meglio letti i tratti del carattere del grande intellettuale ferrarese, più chiaramente individuati i presupposti culturali delle sue scelte, meglio compresi i rapporti con i più eminenti collezionisti privati del tempo e le connessioni con la storia museologica e la formazione dei grandi musei romani.
Ci auguriamo inoltre che attribuzioni anche importanti possano essere assegnate alle molte sculture moderne inedite e che si possano individuare le principali botteghe di restauratori e marmorari frequentate a Roma dal cardinale.
Il recupero e la pubblicazione scientifica dei materiali costituiranno infine i presupposti per la futura esposizione stabile di una selezione rappresentativa della raccolta Riminaldi nel Museo di Palazzo Schifanoia, che del civico museo settecentesco dal 1898 raccoglie l'eredità.