Nel secondo, una piccola stanza d'angolo, gli affreschi ricoprono invece interamente la volta, che par di legno dorato - in un medaglione centrale, una figura femminile alata, forse Cerere, regge una fiaccola accesa e sparge dei fiori - e le pareti, ove campeggiano vasi di fiori entro nicchie dipinte; tre quadri in trompel'oeil, probabilmente ridipinti successivamente; un medaglione sopraporta con la rappresentazione della Solicitudo.

Anche Giuseppe Facchinetti (Ferrara, 1694-1777) imparò l'arte della prospettiva e dell'ornato presso Anton Felice Ferrari, figlio di Francesco, e superò senza dubbio in bravura il maestro aggiornando i propri modi alle più moderne tendenze della quadratura bolognese. Le fonti documentano un gran numero di commissioni sacre e profane licenziate da Facchinetti durante l'intero arco del Settecento, anche in virtù di quella rinascita culturale che caratterizzò lo Stato pontificio nell'epoca dei Lumi.
In quest'ultimo ambito, il pittore venne impiegato nella maggior parte dei cantieri ferraresi, talvolta affiancando pittori di vaglia, come nel caso del bolognese Vittorio Maria Bigari (Bologna, 1692-1776), attivo nella decorazione di quattro stanze della sontuosa residenza del marchese Gavassini - il cosiddetto palazzo di Renata di Francia, oggi sede del rettorato dell'Università -, tra il 1765 e il 1766.
Degli altri edifici ferraresi che presentano a tutt'oggi alcuni ambienti affrescati avvicinabili ai modi di Facchinetti, non ancora presi in considerazione dagli studi, siamo certi di poter attribuire al quadraturista l'impianto prospettico e gli ornati di quattro stanze al piano nobile di palazzo Riminaldi in via Cairoli 44, grazie al ritrovamento di un documento conservato presso l'archivio privato Saracco Riminaldi di Zocca di Ro Ferrarese.
Si tratta dell'Istruzione per il signor conte Alfonso, composta da 31 carte manoscritte, dettate il 16 dicembre 1763 da Giammaria Riminaldi, allora uditore del Tribunale della Sacra Rota di Roma.
Nel 1763, morto il padre Ercole Antonio, Giammaria Riminaldi venne a Ferrara per occuparsi, in veste di erede universale, delle questioni legate alla divisione dell'eredità tra i suoi tre fratelli, assumendo al contempo la gestione dei beni di famiglia. Poco prima di ritornare a Roma incaricò il fratello Alfonso, attraverso la citata memoria manoscritta, di occuparsi dei lavori di ammodernamento del palazzo di città.
Predisponendo la sistemazione delle camere del suo appartamento e dell'oratorio pubblico, aperto sul medesimo fianco del palazzo, oggi non più esistente.
Le uniche decorazioni sulle quali il prelato pose la sua attenzione furono quelle della «camera d'udienza», da «dipingersi leggiermente con ornati agl'angoli a chiaro, e oscuro, che venghino a far armonia al corpo di mezzo della volta, in cui dovrà dipingersi in forma grande, l'arma di Monsignore con cappello, e fiocchi pavonazzi, e qualche ajuto di puti, purché non facciano confusione, e improprietà», occupandosi piuttosto della sistemazione di mobili, porte e tessuti da parati. A sovrintendere alle decorazioni delle volte venne incaricato il «celebre signor Facchinetti », per la qual cosa «si è convenuto [...], che il pittore, o pittori da lui proposti per dipingere le volte dell'appartamento, e per l'altre pitture da farsi, faranno uno schizetto, o sia picolo abozzo del disegno del lavoro che vorranno fare, il quale sarà spedito a Roma a Monsignore col ristretto dei prezzi, che si concordaranno prima di metter mano al lavoro, e secondo le risoluzioni, che saranno prese da Monsignore con il disegno sotto gli occhi, ed i prezzi da stabilirsi».
Facchinetti, espressamente nominato, dovette dunque scegliere i propri collaboratori, e la sua preferenza cadde sul figurista con il quale aveva più spesso lavorato nel sesto decennio: Francesco Pellegrini (Ferrara, 1707- 799). Attorno al 1750, infatti, i due frescanti avevano dapprima decorato insieme una cappella nella chiesa di San Domenico; poi, nel 1751, la volta dell'oratorio dei santi Crispino e Crispiniano con la Gloria dei due santi titolari; successivamente, nel 1758, Pellegrini aveva eseguito una pala d'altare raffigurante la Comunione degli Apostoli per una cappella nella chiesa di San Paolo, per la quale Facchinetti aveva dipinto la volta.
La presenza del figurista in palazzo Riminaldi ci viene suggerita dalle fonti che documentano la collaborazione dei due pittori nell'esecuzione degli affreschi dell'oratorio pubblico, aperto sul fianco del palazzo.
Al bombardamento del 28 gennaio 1944, che distrusse l'ala di palazzo Riminaldi prospiciente l'attuale via Bersaglieri del Po, sopravvissero le stanze di quello che nel Settecento era chiamato l'"appartamento dei Teatini", ossia la parte del piano nobile affacciata sull'antica via Borgonuovo - attuale via Cairoli - di fronte agli edifici di pertinenza dei padri Teatini.
Nei soffitti di tre delle stanze superstiti - la quarta, una sorta di largo corridoio decorato con lievi quadrature e qualche ornato, si deve al pennello del solo Facchinetti - Pellegrini pose, nello spazio tracciato dalle prospettive del collaboratore, poche figure allegoriche di scarsa sapienza compositiva, ritagliate su un cielo uniforme oppure appoggiate ai cornicioni delle finte architetture.
Anche l'ornato di Facchinetti risulta sotto tono rispetto all'usuale perizia e fantasia del quadraturista ferrarese, forse proprio in virtù della natura della commissione, da eseguirsi in breve tempo e senza un'eccessiva spesa, come specificato nell'Istruzione manoscritta di monsignor Riminaldi. Ciò nonostante la decorazione di palazzo Riminaldi resta la più compiuta testimonianza di Pellegrini frescante, essendo la sua produzione superstite limitata alle due citate cappelle della chiesa di San Domenico, delle quali quella dipinta con il quadraturista Giuseppe Bregola risulta quasi illeggibile.
Residenza signorile di una delle famiglie più in vista dell'aristocrazia ferrarese, legata con continuità alle strategie di potere dall'età estense al governo dei papi, palazzo Riminaldi restituisce inoltre - nella volta del salone d'ingresso - l'unico ritratto ad affresco del futuro cardinale Giammaria che da Roma fece grande la sua Ferrara promuovendone la crescita culturale e artistica.