E ridendo l'uccise

Scritto da  Paolo Micalizzi

Fotografia di una scena del film.Florestano Vancini torna alla storia di Ferrara con il suo nuovo film.

 

Il regista Florestano Vancini è ritornato alla storia della sua città con E ridendo l'uccise, un affresco del Rinascimento ferrarese attraverso una vicenda ambientata alla Corte Estense. Una storia che il grande scrittore Riccardo Bacchelli aveva raccontato in La congiura di Giulio D'Este e che fa da base, insieme ad altri libri e  documenti, al nuovo film del regista ferrarese la cui sceneggiatura è stata scritta insieme ad un altro concittadino,  lo sceneggiatore e scrittore Massimo Felisatti.
Una congiura raccontata attraverso la figura di un buffone di  corte, Moschino, il cui nome è inventato, ma che fa riferimento a personaggi della letteratura riguardanti il Rinascimento. E che si ritrova in modo particolare in un sonetto di Antonio Cammelli, detto il Pistoia, dal titolo  In morte di un buffone che nell'ultima terzina offre al regista ferrarese il titolo del film.


Fotografia di un'altra scena del film.Nulla è inventato, in questo come negli altri film di carattere storico, nel cinema di Florestano Vancini, se non la  costruzione narrativa del film, poiché egli è sempre attento alla verità storica, da studioso che avrebbe amato fare  lo storico, se non fosse diventato regista.

Alla storia della sua città si è ispirato sin dal suo primo documentario con il quale, nel 1949, ha esordito nel  cinema: Amanti senza fortuna, diretto insieme ad Adolfo Baruffi, in cui rievoca la tragica vicenda d'amore di Ugo D'Este e Parisina Malatesta. E alla storia di Ferrara ritorna con il suo primo lungometraggio La lunga notte  del '43 (1960), rivelandosi come uno dei talenti più interessanti del periodo: alla Mostra di Venezia di quell'anno  ottenne il Premio "Opera prima".

Nel film, il regista rievoca un tragico episodio del periodo fascista, l'eccidio di undici antifascisti presso un  muretto del Castello Estense per vendicare la morte di un federale, ucciso, secondo la tesi di Vancini, per una  faida interna, dagli stessi fascisti.

La ricostruzione del clima che si respirava nel periodo del regime fascista, e che condizionava anche i sentimenti, è poi rievocata in Amore amaro (1974), mentre le lotte dei contadini ferraresi ai primi del Novecento  sono ricostruite in La neve nel bicchiere (1984), tratto dal romanzo di Nerino Rossi e sceneggiato anch'esso  insieme a Massimo Felisatti.

Fotografia di una scena del film.Da una ventina d'anni, Vancini pensava a un film sul Rinascimento ferrarese. L'ha affrontato, dapprima nel  2002, nel mediometraggio Lucrezia Borgia: un'intervista impossibile di Maria Bellonci e, finalmente, nel 2004,  dopo tante difficoltà di carattere produttivo, trattato in maniera più ampia, in E ridendo l'uccise.

In questo film si racconta la faida che, fra il 1505 e il 1506, vide contrapposti, da una parte, i fratelli Alfonso  (Ruben Rigillo) e Ippolito (Vincenzo Bocciarelli), dall'altra Giulio (Giorgio Lupano) e Ferrante (Carlo Caprioli),  per una questione di potere, dopo la morte del Duca Ercole I d'Este.

Sullo sfondo, è descritta la vita alla corte estense di Ferrara, in cui si muovono, fra gli altri, personaggi storici  come Lucrezia Borgia (Marianna De Micheli), Ludovico Ariosto (Fausto Russo Alesi) e il giovane Tiziano  (Gianantonio Martinoni).
Attraverso la figura del giullare di Corte (un bravissimo Manlio Dovì, qui trasportato dal cabaret a un personaggio d'intensa attorialità) e la storia della sua amicizia con una contadina (Sabrina Colle), viene  raccontata la vita quotidiana della povera gente, vittima di un totale dispotismo esercitato dai sovrani sul popolo  ridotto a condizioni di dura miseria.

Fotografia di un'altra scena del film.Un ruolo di rilievo nel film lo ricopre anche il Conte Boschetti (Mariano Rigillo) che affiancava Giulio e Ferrante nella congiura e che finirà letteralmente squartato in piazza: un episodio che si trova nella letteratura e  nell'iconografia dell'epoca, e non una concessione splatter alla moda cinematografica di oggi.
I fratelli saranno graziati e condannati al carcere a vita. Il giullare di corte, Moschino, coinvolto suo malgrado  nella congiura, viene invece riconosciuto non colpevole di lesa maestà e lasciato libero.

Passato dal servizio di Giulio a quello di Alfonso, morirà in seguito a uno scherzo. Infatti, dopo aver salvato il  Duca da un fastidioso singhiozzo, gettandolo nell'acqua di una fontana, riceve in cambio una condanna per  impiccagione.
Al momento dell'esecuzione, che troppo tardi si rivela una burla di Alfonso, Moschino muore per la paura.

Come un romanzo storico, il film mescola realtà e fantasia in una ricostruzione che è anche commedia, tragedia,  farsa e il cui titolo, come sottolinea Vancini, vuole rispecchiare una metafora della vita: scherzare, ridere, morire.
Alla riuscita del film, prodotto da Renata Rainieri e distribuito dall'Istituto Luce, contribuiscono anche le  musiche d'ispirazione rinascimentale di Ennio Morricone e la precisa fotografia di Maurizio Calvesi.

Particolarmente ben riuscita la ricostruzione scenografica da parte di Giantito Burchiellaro, effettuata negli studi  di Belgrado e nella Villa D'Este di Tivoli sia per questione di costi sia per la "modernità" della Ferrara d'oggi  che avrebbe richiesto una città quasi del tutto coperta da fondali.

Fotografia di una scena del film.Una ricostruzione storica, quella di Vancini, non sfarzosa, bensì ricercata che rianima con raffinatezza lo  scenario del Rinascimento ferrarese.
Un regista, Florestano Vancini che a quasi ottant'anni (li compirà nell'agosto 2006) conferma doti di grande  spessore, mantenendo quel rigore stilistico che lo ha sempre contraddistinto e una visione della storia legata al  presente, non consegnata irrimediabilmente al passato: la storia come maestra di vita.

In E ridendo l'uccise il suo intento, infatti, è quello di raccontare le due facce del Rinascimento: quella dei nobili  e dei governanti, pronti a tutto per conquistare il potere, e quella del popolo, dei sudditi e dei contadini, una  condizione sociale che ha portato continui momenti di violenza. Situazioni che si ripetono a tutt'oggi.

In occasione dell'uscita del film è stato pubblicato, anche con il contributo della Cassa di Risparmio di Ferrara,  un volumetto In omaggio a Florestano Vancini, maestro del cinema italiano che, oltre a un intervento dello  stesso regista, riporta scritti di Vittorio Sgarbi e di alcuni critici di importanti quotidiani nazionali e contiene un  compact disc con le musiche composte e dirette da Ennio Morricone.