Nulla è inventato, in questo come negli altri film di carattere storico, nel cinema di Florestano Vancini, se non la costruzione narrativa del film, poiché egli è sempre attento alla verità storica, da studioso che avrebbe amato fare lo storico, se non fosse diventato regista.
Alla storia della sua città si è ispirato sin dal suo primo documentario con il quale, nel 1949, ha esordito nel cinema: Amanti senza fortuna, diretto insieme ad Adolfo Baruffi, in cui rievoca la tragica vicenda d'amore di Ugo D'Este e Parisina Malatesta. E alla storia di Ferrara ritorna con il suo primo lungometraggio La lunga notte del '43 (1960), rivelandosi come uno dei talenti più interessanti del periodo: alla Mostra di Venezia di quell'anno ottenne il Premio "Opera prima".
Nel film, il regista rievoca un tragico episodio del periodo fascista, l'eccidio di undici antifascisti presso un muretto del Castello Estense per vendicare la morte di un federale, ucciso, secondo la tesi di Vancini, per una faida interna, dagli stessi fascisti.
La ricostruzione del clima che si respirava nel periodo del regime fascista, e che condizionava anche i sentimenti, è poi rievocata in Amore amaro (1974), mentre le lotte dei contadini ferraresi ai primi del Novecento sono ricostruite in La neve nel bicchiere (1984), tratto dal romanzo di Nerino Rossi e sceneggiato anch'esso insieme a Massimo Felisatti.
Da una ventina d'anni, Vancini pensava a un film sul Rinascimento ferrarese. L'ha affrontato, dapprima nel 2002, nel mediometraggio Lucrezia Borgia: un'intervista impossibile di Maria Bellonci e, finalmente, nel 2004, dopo tante difficoltà di carattere produttivo, trattato in maniera più ampia, in E ridendo l'uccise.
In questo film si racconta la faida che, fra il 1505 e il 1506, vide contrapposti, da una parte, i fratelli Alfonso (Ruben Rigillo) e Ippolito (Vincenzo Bocciarelli), dall'altra Giulio (Giorgio Lupano) e Ferrante (Carlo Caprioli), per una questione di potere, dopo la morte del Duca Ercole I d'Este.
Sullo sfondo, è descritta la vita alla corte estense di Ferrara, in cui si muovono, fra gli altri, personaggi storici come Lucrezia Borgia (Marianna De Micheli), Ludovico Ariosto (Fausto Russo Alesi) e il giovane Tiziano (Gianantonio Martinoni).
Attraverso la figura del giullare di Corte (un bravissimo Manlio Dovì, qui trasportato dal cabaret a un personaggio d'intensa attorialità) e la storia della sua amicizia con una contadina (Sabrina Colle), viene raccontata la vita quotidiana della povera gente, vittima di un totale dispotismo esercitato dai sovrani sul popolo ridotto a condizioni di dura miseria.
Un ruolo di rilievo nel film lo ricopre anche il Conte Boschetti (Mariano Rigillo) che affiancava Giulio e Ferrante nella congiura e che finirà letteralmente squartato in piazza: un episodio che si trova nella letteratura e nell'iconografia dell'epoca, e non una concessione splatter alla moda cinematografica di oggi.
I fratelli saranno graziati e condannati al carcere a vita. Il giullare di corte, Moschino, coinvolto suo malgrado nella congiura, viene invece riconosciuto non colpevole di lesa maestà e lasciato libero.
Passato dal servizio di Giulio a quello di Alfonso, morirà in seguito a uno scherzo. Infatti, dopo aver salvato il Duca da un fastidioso singhiozzo, gettandolo nell'acqua di una fontana, riceve in cambio una condanna per impiccagione.
Al momento dell'esecuzione, che troppo tardi si rivela una burla di Alfonso, Moschino muore per la paura.
Come un romanzo storico, il film mescola realtà e fantasia in una ricostruzione che è anche commedia, tragedia, farsa e il cui titolo, come sottolinea Vancini, vuole rispecchiare una metafora della vita: scherzare, ridere, morire.
Alla riuscita del film, prodotto da Renata Rainieri e distribuito dall'Istituto Luce, contribuiscono anche le musiche d'ispirazione rinascimentale di Ennio Morricone e la precisa fotografia di Maurizio Calvesi.
Particolarmente ben riuscita la ricostruzione scenografica da parte di Giantito Burchiellaro, effettuata negli studi di Belgrado e nella Villa D'Este di Tivoli sia per questione di costi sia per la "modernità" della Ferrara d'oggi che avrebbe richiesto una città quasi del tutto coperta da fondali.
Una ricostruzione storica, quella di Vancini, non sfarzosa, bensì ricercata che rianima con raffinatezza lo scenario del Rinascimento ferrarese.
Un regista, Florestano Vancini che a quasi ottant'anni (li compirà nell'agosto 2006) conferma doti di grande spessore, mantenendo quel rigore stilistico che lo ha sempre contraddistinto e una visione della storia legata al presente, non consegnata irrimediabilmente al passato: la storia come maestra di vita.
In E ridendo l'uccise il suo intento, infatti, è quello di raccontare le due facce del Rinascimento: quella dei nobili e dei governanti, pronti a tutto per conquistare il potere, e quella del popolo, dei sudditi e dei contadini, una condizione sociale che ha portato continui momenti di violenza. Situazioni che si ripetono a tutt'oggi.
In occasione dell'uscita del film è stato pubblicato, anche con il contributo della Cassa di Risparmio di Ferrara, un volumetto In omaggio a Florestano Vancini, maestro del cinema italiano che, oltre a un intervento dello stesso regista, riporta scritti di Vittorio Sgarbi e di alcuni critici di importanti quotidiani nazionali e contiene un compact disc con le musiche composte e dirette da Ennio Morricone.