Lo straordinario statuto epigrafico del 1173

Scritto da  Gherardo Ortalli
Il portico con le botteghe, lungo la facciata meridionale del Duomo, cela uno dei segreti meglio custoditi di Ferrara.Un tesoro della Ferrara comunale che sopravvive nascosto 

Per chi si trovi a camminare in Ferrara sulla piazza della cattedrale è difficile percepire uno straordinario monumento nascosto a pochi passi di distanza e, guardando la parete meridionale dell'imponente edificio dedicato a san Giorgio, noterà le botteghe che da secoli si collocano sotto l'elegante portico, ma ? a meno che non ne sia già informato - non penserà mai che celino una testimonianza unica, imponente, del medioevo europeo.
Si tratta di un testo di legge epigrafico che, dal 1173, corre per decine di metri, inciso su lastre marmoree murate alla parete della cattedrale, a rappresentare l'orgoglio del Comune ferrarese del secolo XII. In effetti, quello che non si vede rischia troppo spesso
di risultare inesistente e dunque non sarà male richiamarne oggi l'assoluto rilievo, dicendone rapidamente l'età, il contenuto, il significato e, infine, la lunga avventura culturale che ha permesso di meglio conoscere quella segreta presenza.
Tutto ha inizio il 13 maggio 1173, al tempo del papa Alessandro III e dell'imperatore Federico Barbarossa, quando dal populus ferrarese riunito in assemblea venne approvato il decretum messo a punto dal Consiglio dei sapienti e steso «a perenne memoria» dal maestro Stefano da Gaibana, giudice e notaio del sacro palazzo.
Cattedrale, ricostruzione ideale della fiancata meridionale romanica con l?indicazione dei frammenti pubblicati da Adriano Franceschini nel 1969.Quel «decreto» era un vero testo statutario che esprimeva in modo autonomo il volere della comunità cittadina in un momento di particolare fortuna: in quegli anni le tensioni che contrapponevano i fautori delle due grandi famiglie dei Torelli e dei Marcheselli si erano almeno temporaneamente attenuate; il Comune, guidato dai suoi consoli, cresceva in autonomia e manteneva una posizione piuttosto defilata, senza aderire alla Lega Lombarda, ma non rinunciando a qualche parte attiva nelle operazioni antimperiali; e la situazione economica era favorita dal controllo sui traffici del Po.

A segnare il momento favorevole intervenivano poi eventi di particolare rilievo: nel 1170 i ferraresi erano persino riusciti a prendere con le armi il porto e il castello di Argenta, strappandoli ai ravennati. È nel clima di quegli anni che matura il decreto del maggio 1173, accompagnato dalla decisione di 'pubblicarlo' in forma lapidea, destinata a durare per secoli. Il testo venne inciso su tavole marmoree, in parte di recupero, affidate a diversi lapicidi e poi murate ad altezza d'uomo sopra la panca che correva sul fianco della cattedrale, sotto il portico un tempo libero, poi occupato da banchi di mercanti e infine da botteghe e negozi che ancora vi rimangono. Interno di un negozio: si presenta la panca marmorea che correva alla base degli statuti lapidei.In sostanza, chiunque si fosse trovato in quei luoghi, ossia nel cuore politico, economico e spirituale della città, avrebbe avuto sotto gli occhi quel monumento che proclamava a lettere spiegate l'autonomia della comunità ferrarese.
Quanto sia durata questa condizione non è facile dirlo. Certo è che già prima del 1330 sotto i portici addossati alla cattedrale le botteghe che vi si erano insediate occultavano la grandiosa epigrafe.
I tempi erano cambiati e non soltanto quel decretum era cosa di tempi passati. A mutare c'era stato anche l'assetto politico e l'antico Comune retto prima dai consoli cittadini e poi dal podestà forestiero aveva lasciato il campo - passaggio decisivo ? all'esperienza della signoria e al dominio estense.

Un simbolo dei tempi nuovi era stato il complesso e ricco statuto emanato nel 1287 al tempo di Obizzo II d'Este, alta espressione del consolidamento della struttura signorile. Nel nuovo clima, l'oscuramento dell'antica epigrafe della Ferrara comunale può essere assunto a segno dei cambiamenti intervenuti. Di ciò che in specifico venne deliberato nel 1173 sappiamo molto meno di quanto vorremmo. Le condizioni in cui lo statuto epigrafico finì col trovarsi, infatti, ci permettono di ricostruirne soltanto una parte, probabilmente poco più di un quarto. A rendere impossibile la lettura, oltre al chiudersi dei portici con le botteghe che prendevano il posto degli antichi banchi, intervenne il rialzo del livello della piazza verso fine Trecento, con il conseguente interramento della parte inferiore della fascia marmorea iscritta. Dunque soltanto occasionalmente, quando si facciano lavori nei negozi interessati, qualcosa temporaneamente riemerge.
Alcuni frammenti visibili degli statutiIn ogni caso, quel tanto che del testo ci è noto riesce a darci indicazioni di indubbio interesse. Così ci propone fin dalle sue prime righe una particolare sintonia tra le forze del Comune in fase di crescita e l'autorità del vescovo titolare di antichi poteri e sono confermati i benefici concessi dal populus ferrarese alla cattedrale (la cui edificazione, ricordiamo, è attestata al 1135).
Si evidenzia poi il ruolo del collegio consolare, responsabile della conduzione politica del Comune, e ai consoli è affidata la difesa della proprietà e dei possessi. È vietata la cessione dei beni di pertinenza della comunità e l'istituzione cittadina si presenta nella sua piena facoltà di legiferare, di rendere giustizia, di scegliere i propri rettori.
Questo ed altro ancora resta scritto sui marmi, ma il loro rilievo è ben maggiore di quanto propone il loro contenuto. 
A parte l'eccezionalità della monumentalizzazione del decretum, è straordinaria, per esempio, la precocità di questa raccolta di norme, stesa in anni in cui con grande fatica la statutaria muoveva i primi timidissimi passi. Infatti la vera stagione degli statuti sarebbe iniziata solo dopo la pace di Costanza, che nel 1183 mise fine al conflitto tra il Barbarossa e i Comuni, quando i Comuni, nel quadro degli accordi raggiunti, iniziarono a mettere per iscritto le proprie norme, attribuendosi formalmente la capacità di autoregolamentarsi. Lo statuto sarebbe così diventato dovunque il documento-principe delle comunità.
Dunque, le lastre ferraresi si pongono in forte anticipo sui tempi: vien quasi da dire che la decisione di incidere lo statuto per metri e metri sul fianco della cattedrale sia stata l'esito della esatta percezione da parte della Ferrara del secolo XII dello straordinario atto che stava compiendo.
Lo statuto fu totalmente dimenticato, come si è detto, fin dal Trecento. Il primo a recuperarne la presenza, sia pure con qualche confusione, fu l'erudito ferrarese Girolamo Baruffaldi che, in occasione di scavi sulla piazza nel 1696, trascrisse la parte iniziale del decretum.
Qualcosa aggiunsero nel Settecento il canonico Giuseppe Antenore Scalabrini, altro esponente dell'erudizione cittadina, e verso il 1844 i due ecclesiastici Giuseppe Antonelli e Gaetano Cavallini, in occasione di restauri sul fianco sud della cattedrale. Il vero momento del recupero sarebbe però giunto nella seconda metà del secolo XX, grazie all'attenta e appassionata opera del maestro Adriano Franceschini. 
Brani di lapidi negli interni dei negozi.Franceschini assunse silenziosamente il compito di custode di quel che di tempo in tempo sarebbe stato possibile recuperare quando eventuali lavori di restauro nei negozi sotto il portico avessero reso visibile qualche pezzetto dell'epigrafe. Impegno non semplice: se ci fu chi percepì l'importanza della cosa garantendo la visibilità del testo sia pure dietro gli scaffali, proteggendolo con plexiglas trasparente, l'attitudine poteva anche essere quella di sbrigarsi a chiudere tutto per evitare interventi che rischiassero di intralciare i lavori.
Certo è che quanto oggi si sa sullo statuto del 1173 è merito del Franceschini e soprattutto del suo volume su I frammenti epigrafici degli statuti di Ferrara venuti in luce nella cattedrale, uscito nel 1969 per i tipi della Deputazione Ferrarese di Storia Patria e della Ferrariae Decus. In quelle pagine furono proposti e attentamente studiati tutti i frammenti fino ad allora venuti in luce.
Qualche ulteriore frammento Adriano Franceschini (che non interruppe mai il suo prezioso 'servizio di guardia all'epigrafe') lo rese noto in successiva occasione e davvero si spera che altri brani da lui probabilmente trascritti, ma ancora inediti, vengano a integrare i testi finora conosciuti.
Molto, per la verità, resta ancora da sapere; sarà importante per la conoscenza della storia ferrarese recuperare quella parte di normativa ancora mancante. In ogni caso il valore unico e straordinario del monumento è un dato acquisito: non averlo presente in quanto tale sarebbe un'offesa al patrimonio di cultura, di storia e di civiltà che Ferrara ha saputo costruire nel corso dei secoli.