Delizie Estensi

Scritto da  Francesco Ceccarelli

Mappa di Ferrara attribuita a Marcantonio Pasi, con il particolare dell'isola di Belvedere e del palazzo estenseArchitetture di villa per una corte errante

La corte estense, tra Medioevo e Rinascimento, non risiede solo a Ferrara. Essa è piuttosto in perpetuo movimento, instancabile nel suo trasferirsi 'di loco in loco', quasi fosse una 'città cavalcante', come scrisse Giovan Battista Pigna nel suo Principe, sottolineando l'acuta propensione itineraria del duca piuttosto che la sua vocazione alla stanzialità.

 

Una corte errante, insomma, pronta a fissare i propri insediamenti nei luoghi nevralgici di un territorio bagnato da larghe distese di acque interne, dove il sovrano si recava per vigilare l'ambiente su cui esercitare il  proprio dominio, o per cercare la quiete, lontano dalle preoccupazioni di una più tumultuosa vita urbana. Lungo un arco di tempo ultracentenario, dai primi del Quattrocento fino alla devoluzione del Ducato di Ferrara, gli Este hanno costellato il territorio ferrarese di una pleiade di palazzi, ville e giardini, che la storiografia avrebbe poi denominato 'delizie', sottolineandone le valenze edeniche e, in un certo senso, disimpegnate, lasciando viceversa più sullo Belriguardo: una fotografia aerea di Michele Fergnani mette in evidenza l?impronta dei giardini rinascimentali nella campagna circostante il palazzo.sfondo le ragioni geopolitiche di quegli insediamenti. Questo vero e proprio sistema di residenze suburbane e, ancor più diffusamente, extraurbane, permetteva infatti di coordinare su vasta scala l'amministrazione dei beni agricoli (le cosiddette 'castalderie') o lo sfruttamento delle foreste e delle riserve venatorie, innervando il territorio di caposaldi del potere estense.
Nel corso degli ultimi anni, sulla scia di un rinnovato interesse della storiografia specialistica nei confronti dell'architettura ferrarese del Rinascimento, anche il sistema delle 'delizie' è stato oggetto di nuovi studi e di aggiornate ricerche, che hanno trovato un primo importante momento di discussione e confronto nel convegno internazionale di studi dal titolo: Delizie estensi e architetture di villa nel Rinascimento italiano ed europeo, organizzato dalla Provincia di Ferrara tra 29 e 31 maggio 2006 nel Castello Estense, a cui hanno partecipato alcuni dei più accreditati storici dell'architettura, concordi nel riconoscere il grande valore storico e architettonico della cultura di villa ferrarese tra Quattrocento e Cinquecento.
Ferrara, cortile della palazzina della Montagna.È proprio presso la corte estense di Ferrara, e non, come si era finora ritenuto, nella Firenze medicea, che nella prima metà del Quattrocento si assiste al diffondersi di una nuova cultura umanistica del risiedere in villa, fondata su richiami antiquari di matrice letteraria e in primo luogo sul contenuto di alcune epistole di Plinio il Giovane, riportate alla luce nel 1419 da Guarino da Verona e poi riproposte all'attenzione dei dotti. È a quest'epoca, infatti, che si comincia ad assistere alla edificazione di residenze dominicali di nuova concezione, destinate sia al principe che ad alcuni membri influenti del patriziato ferrarese. Due casi emblematici sono rappresentati dal grandioso palazzo di Belriguardo, costruito per Nicolò III d'Este nei pressi di Voghenza e della villa di Consandolo per Bartolomeo Pendaglia, di cui purtroppo non è rimasta alcuna traccia materiale.
Il sito della delizia delle Casette nei pressi di ComacchioEdificato a partire dal 1436, il palazzo di Belriguardo va senz'altro riconosciuto come una delle più originali invenzioni architettoniche del primo Rinascimento. Le strutture monumentali superstiti lasciano oggi intravedere solo in parte la grandiosità di un edificio concepito come una villa 'all'antica', il cui nucleo si componeva di due cortili quadrangolari di ampie dimensioni disposti in sequenza assiale e raccordati da un imponente corpo di fabbrica intermedio su due piani, al cui interno era situata una 'magna sala' dove, secondo la testimonianza di Sabadino degli Arienti, 'triumphi se fano'. La delizia di Isola e i suoi 'casini' in un disegno di Luca Danese eseguito poco prima della demolizione degli edifici.A mettere a punto un impianto planimetrico regolare che sembra riallacciarsi alla ricostruzione della 'casa greca' così come questa veniva descritta da Vitruvio nel De architettura, fu Pietrobono Brasavola, un 'inzegnero' la cui azione progettuale a Belriguardo dovette essere senz'altro influenzata dai circoli umanistici ferraresi che ruotavano attorno a Leonello d'Este.
Anche la residenza suburbana di Belfiore (poi inglobata entro il perimetro dell'Addizione Erculea a fine Quattrocento e oggi purtroppo non più esistente) fu oggetto di ripetute cure da parte di Leonello che, a partire dal 1447, vi introdusse nuovi ambienti termali e spazi raffinatissimi, come il celebre studiolo, destinato a un uso strettamente riservato al principe. Dopo Belfiore, anche la residenza di Schifanoia venne rinnovata, già regnante Borso, il quale prestò molta attenzione ai palazzi disseminati sul territorio, aggiornandoli nella loro veste architettonica e nelle funzioni, come accadde a Quartesana, Benvignante, Fossadalbero, Ostellato, Copparo e, infine, nel modenese, a Sassuolo, la 'delizia' da lui prediletta per la caccia che oggi conserva solo in minima parte le tracce di quella vivace stagione di trasformazioni edilizie.
Al contrario, il suo successore Ercole I sviluppò soprattutto in città le proprie politiche di magnificenza, dando corpo agli impegnativi progetti di rinnovo e ampliamento di Ferrara che lo avrebbero reso celebre. Attraverso l'Addizione Erculea egli incorporò infra muros parte dei territori del Barco e vaste possessioni, tra cui Belfiore, creando le condizioni per un 'aggrandimento' urbano del tutto inedito, dove palazzi patrizi e più modeste abitazioni artigiane sarebbero state edificate tra ampi giardini, prati e broli. Fu poi soprattutto Alfonso I, ai primi del Cinquecento, a contribuire energicamente alla realizzazione dei nuovi palazzi di rappresentanza con splendidi giardini lungo il perimetro interno del nuovo recinto rossettiano, dalla porta di San Benedetto alla Montagna della porta di Sotto. È a lui che si deve la creazione dei giardini ducali della Ragnaia e del Barchetto, la rifondazione del palazzo della Castellina, nei pressi della porta di San Benedetto, e l'impostazione della cosiddetta delizia della Montagna, che il figlio Ercole II avrebbe poi compiutamente attrezzato quasi vent'anni più tardi. Ed è sempre ad Alfonso che si deve la delizia del Boschetto, meglio nota come Belvedere, edificata su di un'isola sabbiosa del Po allungata nei pressi delle mura meridionali della città. Questa 'vaga isoletta', associata ai nomi di Ariosto e del Tasso, fu un importante centro del potere estense per tutto il Cinquecento e magnifico teatro delle più importanti manifestazioni culturali di corte, come nel caso della prima rappresentazione dell'Aminta (1573). Cinta di mura, essa era occupata solo in parte da un palazzo (opera tarda di Biagio Rossetti), alle cui spalle si sviluppava un vivarium popolato da animali esotici. Queste 'delizie' alfonsine furono poi oggetto di cure architettoniche anche da parte di Ercole II, che si affidò a Terzo Terzi per riordinarne gli ambienti. Due sono gli interventi architettonici in città, ancora una volta nei pressi delle mura, che il quarto duca di Ferrara sostenne con particolare impegno per soddisfare le proprie esigenze ricreative e di magnificentia: la palazzina della Montagna (1538), un raffinato padiglione costruito nei pressi dell'altura artificiale posta a 'cavaliero' del bastione omonimo e circondato da giardini spiraliformi di derivazione serliana, e la cosiddetta Rotonda o 'casin del Barchetto' (1550), rielaborazione sorprendente di una delle torri del recinto rossettiano, congiunta all'acclive Montagnola, dalle geometriche forme pentagonali. Ma la residenza suburbana preferita da Ercole II fu senz'altro quella di Copparo, situata a una ventina di chilometri da Ferrara, in una zona celebre per l'attività venatoria che vi si svolgeva. Qui, a partire dal 1540, Terzo Terzi dette corpo a un progetto che riprendeva l'impianto della residenza di Belriguardo, con la successione di due corti regolari forse circondate da loggiati in opera rustica e dominate da un alto torrione merlato. Ben poco, in effetti, sappiamo dell'assetto originale del palazzo cinquecentesco di Copparo, ricostruito poco fedelmente in seguito ai danneggiamenti provocati da un incendio che ai primi dell'Ottocento cancellò, assieme all'architettura, uno degli spazi più sorprendenti del Cinquecento ferrarese e cioè quel 'salotto in crose' dove Girolamo da Carpi aveva dipinto uno dei più celebri cicli genealogici del XVI secolo.

Girolamo è stato chiamato in causa anche per la progettazione architettonica del palazzo del Verginese, una possessione estense nei pressi di Gambulaga, che Alfonso I donò nel 1534 a Laura Dianti e che costei fece sistemare negli anni seguenti ricavando un originale edificio dalla pianta rettangolare leggermente allungata con quattro torrette ai vertici, svettanti e merlate, dal basamento a scarpa, cantonali in bugnato e portale rustico, ancor oggi conservato seppur profondamente rimaneggiato nel corso del Settecento.
Ancor più sorprendente doveva essere la residenza di Isola, una delle più originali espressioni della cultura di 'delizia' degli Este, e anche tra le meno conosciute.
Questa singolare creazione architettonica consisteva di un insediamento in miniatura, dominato da un palazzo signorile costruito su di un minuscolo arcipelago di isolette disseminate in una valle a ridosso dell'argine maestro del Po Grande, nei pressi di Pontelagoscuro. Edificata nel secondo Cinquecento da don Alfonso d'Este, marchese di Montecchio, la residenza venne minuziosamente descritta ai primi del Seicento da Federico Zuccari nel suo Passaggio per Italia, rapito dalle qualità fiabesche del luogo, che ne mise in luce ogni 'stravaganteria' da 'castello incantato' e teatro di inganni, come le sequenze labirintiche del palazzo signorile, i padiglioni minuscoli dalle forme bizzarre e dai colori sgargianti o i 'nanini' vogatori che governavano una flotta in miniatura per la pesca in valle. Alla fine del Cinquecento, negli anni di Alfonso II, le residenze extraurbane degli Este furono oggetto di rinnovate attenzioni in conseguenza anche delle nuove politiche territoriali imposte dal sovrano e in primo luogo della Grande Bonificazione Estense, che creò le condizioni per lo sfruttamento agricolo di 'terre nuove' da colonizzare su vasta scala. Le propaggini più orientali del ducato furono sempre più la meta privilegiata di una corte itinerante lungo il fitto reticolo delle vie d'acqua, verso le pescose valli di Comacchio e soprattutto verso i fitti boschi litoranei del delta, popolati di cervidi, lepri e cinghiali, ben tutelati per le cacce ducali. Le più tarde delizie estensi nascono in primo luogo come residenze venatorie e di pesca, ma il loro scopo ultimo resta quello della tutela del territorio, particolarmente sensibile lungo le marine costiere e le frontiere dello stato. Nei pressi di Comacchio venne rinnovato il palazzo delle Casette, su progetto di Alessandro Balbi, con una 'bassa corte', giardini e peschiere, mentre sui vicini cordoni dunosi del bosco Eliceo fu attrezzata la delizia di Vaccolino per la caccia al falcone e ancora più a nord, nel Polesine di Ariano, ai confini con la Repubblica di Venezia, venne recintato il barco di Mesola per creare una delle più estese riserve venatorie dell'Europa del tempo. A Mesola, Alfonso II impiegò risorse ingentissime per costruire una residenza di caccia che guardava ai grandi modelli francesi impostati da Francesco I, in primo luogo allo château di Chambord, fonte ispiratrice della pianta d'insieme degli edifici signorili e di quelli di servizio, oltre che dello stesso 'campo di caccia', concepito per la vénerie ovvero per la caccia al cervo all'interno di un serraglio di enormi proporzioni: il 'barco'. È tuttavia altamente probabile che Mesola fosse stata concepita anche in vista di una finalità insediativa di ben altre proporzioni, quella di costituire il nucleo embrionale di una futura città deltizia, in considerazione della valenza geopolitica del sito, alle foci del Po, che avrebbe potuto essere attrezzato come centro mercantile e portuale, capace di intercettare i traffici marittimi per inoltrarli verso l'area continentale. Almeno così lasciano intendere alcune fonti, soprattutto veneziane, che registrarono con forte preoccupazione le manovre estensi per affermare il controllo territoriale su quei 'lidi estremi'. Le monumentali tracce materiali di quei progetti ducali restano ancora oggi a testimoniare la vastità di un disegno che ha resistito alle ultracentenarie trasformazioni deltizie seguite al taglio di Porto Viro e che va senz'altro riconosciuto, assieme alle altre manifestazioni superstiti della cultura di villa estense, come uno dei capitoli più originali dell'architettura del Rinascimento europeo.