Dal grigio alla luce

Scritto da  Angelo Andreotti

Alcune osservazioni sul Tempio di San Cristoforo alla Certosa dopo i restauri

 

La prima impressione che ci accoglieva non appena si entrava era un colore: il grigio. Il grigio era una sorta di emanazione delle pareti della chiesa, delle sue colonne, delle sue lesene; era la tonalità che tingeva il pavimento, l'altare, persino le persone. Il grigio era il colore dell'aria lì dentro, ed era anche lo stato d'animo che avvolgeva la percezione di qualsiasi cosa: le fiammelle delle candele votive, il legno delle panche e delle sedie, addirittura i movimenti ne erano permeati e, senza dubbio, i pensieri. Il grigio sembrava scendere a cascata dagli archi, dalle cupole, dalle volte, e opacizzava la maestosità della navata, unico spazio percorribile di quella architettura complessa, ma poi semplificata dalla tamponatura posticcia delle dodici cappelle laterali, dei transetti, del presbiterio che più niente mostrava del ritmo armonioso dei pieni e dei vuoti, del chiuso e dell'aperto.

 

 

Il Le belle pagine pubblicate da Zevi nel suo omaggio a Biagio Rossetti sul Tempio di San Cristoforo alla Certosa, nel 1960 - quando ancora era possibile intuirne l'antico disegno - sembravano un puro esercizio di stile, quasi il vaneggiamento di una mente imprigionata nell'incanto passionale per un autore presunto, presunto ma non mendace. Ad accoglierci era il grigio, dunque, ma poi anche il freddo, che subito attanagliava in una morsa brutale, esercitando la sua autorità tanto d'inverno quanto d'estate per infilarsi dritto nelle ossa, e ricordare in malo modo che quella chiesa, dal 1816, era destinata alle funzioni funebri. Feroce maniera per accompagnare la tristezza degli animi, e se è vero che la morte è un'esperienza di seconda mano - come ci ricorda Lévinas -, nel senso che chi resta la "vive" attraverso chi se ne va, allora quello spazio così poco accogliente, freddoloso, cupo e indegno, diventava anche un tendenzioso spunto di quel che ci aspetta.

 

 

Ecco, bisognerebbe poter ricordare tutto quel grigio, tutto quel freddo, e bisognerebbe anche ricordare i quadri sparsi tra vari depositi, le ancone smontate decenni addietro in fretta e furia e poi accatastate come legname, sporco, tarlato, incurvato dall'umidità patita e ridipinto per mutato gusto. Poi bisognerebbe ricordare i cori dei transetti e quello intarsiato dell'abside, con gli stalli separati alla meno peggio senza alcun rilievo utile al loro rimontaggio, e anche il ciborio, ammalorato dal tempo e dai frequenti spostamenti.
Ricordando tutto questo, forse i lavori di ripristino dell'architettura, delle opere e degli arredi, si arricchirebbero di un valore che va al di là della restituzione di un bene materiale, e troverebbe il suo senso nel prezioso equilibrio tra estetica ed etica. In fin dei conti il Tempio di San Cristoforo è la testimonianza anche del nostro rapporto con la morte, un tempo indecoroso, trasandato, grigio e freddo, e oggi non più.

 


Decorazioni a tempera delle cornici delle pale tornate da Brera, realizzate dal Bastianino, raffiguranti Sibille, Profeti e Profetesse, Arcangeli.Non è soltanto un esempio di storia dell'arte, ma altresì il segno di un comportamento civico oltre che, per chi crede, di un'attitudine religiosa. Allora, con ciò che rimane di quei ricordi, e consape-voli che questo è uno spazio in cui il Museo convive insieme alla Chiesa, entriamo oggi nel Tempio di San Cristoforo alla Certosa.
A imporsi per prima è l'architettura, intesa nel suo senso più esatto di luogo da abitare, da percorrere con lo sguardo e con il corpo. Un'unica navata davanti a noi, mentre là in fondo si estende la profondità dell'abside appena interrotta dall'ingombro del Ciborio, maestoso per quanto reso incompleto nell'ornamento dall'abuso di mani arroganti, tra le quali, per fortuna, si sono distinte quelle che hanno preservato i rami dei Carracci depositandoli nella Pinacoteca di Palazzo dei Diamanti, dove tuttora sono esposti.

 

 

Decorazioni a tempera delle cornici delle pale tornate da Brera, realizzate dal Bastianino, raffiguranti Sibille, Profeti e Profetesse, Arcangeli.Ai nostri fianchi invece si apre la vasta teoria delle cappelle laterali, che in giornate fortunate alternano luminosità diverse per l'aprirsi, lassù in alto, di finestroni che consentono il passaggio brioso del sole scaldando, soprattutto a sinistra, il ritrovato verde dell'intonaco di un giallo aranciato. Ciascuna di queste cappelle conserva un brano della vita di Gesù, dipinto da Nicolò Roselli e incorniciato da Ercole Aviati, così, come vollero i certosini nel 1565. Aveva ragione Longhi: le pale di Roselli di per sé non possono dirsi magistrali, ma diventano pregevoli non appena vengono abbracciate dalle loro ancone. All'appello manca uno di questi episodi, la Salita al Calvario della quinta cappella destra che il bombardamento del 1944 volle portarsi via. A pensarci bene non è propriamente un'assenza: ovvero lo  è, ma al contempo è un segno a suo modo indelebile, e in qualche modo anche allegorico.

 



Decorazioni a tempera delle cornici delle pale tornate da Brera, realizzate dal Bastianino, raffiguranti Sibille, Profeti e Profetesse, Arcangeli.Sulle pareti di queste cappelle, su quelle del transetto e della Cappella del Vestiario, quadri di Bastarolo, Scarsellino, Giovan Battista Cozza, Gaspare Venturini, Tommaso Laureti, Giuseppe Avanzi, Niccolò Pisano, Francesco Naselli, Giacomo Masi, Giacomo e Francesco Parolini, Agostino Ridolfi, Lucio Massari, Carlo Bononi, Bartolomeo Cesi, Alberto Mucchiati, Giuseppe Ghedini, in parte di commissione certosina, in parte approdati durante il riallestimento ottocentesco, ciascuno quindi con la sua storia passata alla quale non può non aggiungersi ora la sua storia pre-sente, vissuta a tu per tu con i restauratori. E poi i paliotti, preziosa opera di artigianato seicentesco che nella povertà della scagliola simula (fino al tradimento) l'intarsio marmoreo, mal ripreso dal rifacimento novecentesco di tre andati perduti.

 


Decorazioni a tempera delle cornici delle pale tornate da Brera, realizzate dal Bastianino, raffiguranti Sibille, Profeti e Profetesse, Arcangeli.Percorrendo la navata lentamente si apre la croce del transetto. Pian piano sveliamo quadri e cori, e già potrebbe bastare per la pienezza dello spirito, se lo spettacolo non raggiungesse il suo culmine sugli altari, con le pale del Bastianino nelle stupende ancone di Ercole Aviati. Così come sono adesso le si poteva vedere fino a duecento anni fa, prima che le pale prendessero la strada di Brera (la cui Soprintendenza oggi le ha concesse in deposito a tempo indeterminato), e poi, più recentemente, prima che le ancone si separassero anche dalle straordinarie tempere nelle quali il Bastianino ha voluto raffigurare Sibille, Profeti, Arcangeli, Profetesse.

 


Il transetto del Tempio di San Cristoforo alla Certosa.Soffermiamoci un attimo di fronte a questa vista. Magari torniamo anche più volte nel corso della giornata, o in orari e in giorni diversi. San Cristoforo ha luci per ogni ora. Il transetto di destra, per esempio, splende gli ori dell'ancona in alcuni momenti della giornata, ma può darsi che la luce non sia quella giusta per la pala con le tavole,  leggermente ondulate per naturale propensione, a prendere ingordamente riflessi. Non importa, non è propriamente un museo, dimentichiamocene la logica asettica, la fruizione "purificata", questo piuttosto è un luogo che vive la sua realtà così come viene, dialogando in modo straordinario con l'esterno, con le stagioni, obbligando lo spettatore a muoversi per cogliere il giusto orientamento, e magari scoprire sfumature differenti e irripetibili. Non chiede fretta, ma lentezza; non ferma il tempo, ma ne dà il senso. Lo stesso accade per la pala dell'abside, incastonata nella sua ancona.

 


Il transetto del Tempio di San Cristoforo alla Certosa.Il San Cristoforo raffigurato nel modo impastato dell'ultimo Bastianino che ha così incantato Arcangeli vive bene di mattina, quando i finestroni laterali raccolgono luce da fuori e la irradiano dentro, lambendo con dolcezza la curvatura dell'abside per soffonderla sulla tela, e rivelarne la visione. Torniamo un poco indietro, al centro della crociera. A destra e a sinistra le ancone con le pale del Bastianino e sulle pareti i bei quadri di Massari, Scarsellino, Cesi.
Di fronte il ciborio e laggiù in fondo il gigantesco San Cristoforo. Proviamo a immaginare due grandiose tele dell'Avanzi (autore altalenante, ma qui straordinario) sulle pareti del presbiterio, quaranta metri quadrati di buona pittura ciascuno, e poi immaginiamo ancora addossato alla curvatura dell'abside il coro intarsiato che dalla chiesa di Sant'Andrea fu portato nel 1875 a San Cristoforo. Ecco, avremo la chiesa ultimata che  vedremo in un magnifico giorno del 2008.
Adesso possiamo guadagnare l'uscita lasciando sfilare a una a una le cappelle laterali. Può darsi che nel percorso ci torni in mente tutto quel grigio e tutto quel freddo che imperava fino alla fine del 2003 in questa chiesa. Forse può essere che a questo punto si riesca a comprendere il senso di quell'equilibrio prezioso tra estetica ed etica di cui si diceva. Restituire qualcosa che rimane, che si può contemplare anche attraverso l'"uso", raggiunge il significato più intenso dell'arte.