Cosmè Tura e Francesco del Cossa

Scritto da  Andrea Buzzoni

Ercole de' Roberti, L'arte a Ferrara nell'età di Borso d'Este: cronaca di una mostra straordinaria

 

Quando il Sindaco di Ferrara mi chiese di organizzare, oltre tre anni or sono, una mostra su un tema che rientrasse nel progetto "Ferrara. Città del Rinascimento", ricordo di aver provato da un lato un grande entusiasmo dovuto a una vecchia passione per l'arte antica in generale e ferrarese in particolare, dall'altro un altrettanto grande timore.
Allora non si era ancora chiusa la mostra "Gli Este. Una corte del Rinascimento" (tenutasi a Bruxelles e Ferrara nel 2003-2004) che aveva delineato a grandi tratti oltre due secoli di storia culturale e artistica della casata estense, ed era tutt'altro che facile individuare un argomento e un taglio che giustificassero, a così breve distanza di tempo, un ritorno all'arte ferrarese. Inoltre, eravamo ben consci della difficoltà di ottenere prestiti importanti in un settore, quello dell'arte antica, dove i manufatti hanno maggiori problemi di conservazione e i cataloghi degli artisti contano un numero di opere infinitamente minore rispetto a quello dei loro colleghi moderni o contemporanei.

 

 

Pisanello, Quando, dopo una riflessione su diverse ipotesi, Mauro Natale, specialista dell'arte estense del Quattrocento, mi propose di affrontare l'argomento forse più difficile fra tutti - l'età di Borso d'Este e cioè il ventennio che vide la nascita e la maturazione di quel linguaggio figurativo peculiare che ha reso nota l'arte ferrarese nel mondo - il timore è cresciuto a dismisura, ma anche l'entusiasmo, cosicché insieme decidemmo di buttarci in questa avven-tura mettendo da parte dubbi e paure. Componente fondamentale di quella decisione fu l'imminente conclusione del decennale restauro del Salone dei  Mesi di Palazzo Schifanoia, i cui esiti davano risultati rilevanti.

 

L'idea di unire in un unico percorso le sale espositive di Palazzo dei Diamanti e gli affreschi di Schifanoia è stata così, sin da subito, una delle ragioni principali della mostra. In breve abbiamo individuato con Mauro Natale un Comitato Scientifico ampio e di prestigio internazionale dove fossero rappresentate tutte le competenze necessarie alla messa a punto e alla realizzazione del progetto: le conoscenze scientifiche, ma anche una solida esperienza nel campo delle mostre internazionali. Il lavoro di questo Comitato è stato intenso e ha prodotto esiti determinanti da entrambi i punti di vista.

 

Jean du Vivier (?) e orafo veneto (Diomede Vanni), Quindi, definita la lista delle opere, abbiamo cominciato quel lavoro poco noto al pubblico, ma di fondamentale importanza e di enorme difficoltà, che sono le vere e proprie trattative diplomatiche che accompagnano la richiesta di un prestito. A ogni risposta positiva l'entusiasmo si accendeva; poi, di fronte a qualche rifiuto doloroso, tornavano dubbi e timori. Questa altalena di emozioni è proseguita nel modo più intenso per un paio d'anni; poi, poco meno di un anno fa, ci siamo resi conto d'un tratto che il raccolto era stato buono e avremmo potuto presentare in Palazzo dei Diamanti una mostra, criticabile naturalmente, ma per noi ben più che dignitosa. Non nascondo che, come sempre accade, non siamo riusciti a ottenere qualche opera per noi molto importante.

 

E' però altrettanto vero che a tali assenze fanno riscontro prestiti clamorosi, molti dei quali di capolavori che mai erano tornati in precedenza a Ferrara, luogo nel quale furono concepiti e realizzati, e qualc uno addirittura relativo a opere che prima d'ora non erano state concesse in prestito ad alcuna mostra.
Anche l'allestimento della rassegna è stato un compito assai più difficile del solito, perché materiali fragili e preziosi richiedono standard conservativi e di sicurezza molto elevati, mentre l'adeguamento del percorso espositivo di Palazzo Schifanoia e del Salone dei Mesi è stata una sfida che ha comportato un impegno straordinario, in particolare del Direttore dei Musei Civici d'Arte Antica, Angelo Andreotti, e dei suoi colleghi.

 

Rogier Van der Weyden, Non tutti i risultati che si sarebbero voluti raggiungere sono stati ottenuti, ma oggi Schifanoia si presenta con gli affreschi del Salone dei Mesi completamente restaurati e finalmente leggibili; il Museo è stato riallestito per l'occasione; e le ultime sale dell'ala quattrocentesca sono state riaperte al pubblico dopo anni. L'auspicio è che, a mostra finita, l'attenzione per questo edificio emblematico della Ferrara estense non cada e si giunga, in un tempo non troppo lontano, a un suo restauro integrale. Poche opere d'arte che si trovano a Ferrara e che raccontano di quella straordinaria stagione sono state esposte in mostra. E'stata una scelta meditata. Non si disallestiscono interi musei per fare mostre.

 

Così un visitatore attento e appassionato, se vorrà avere un panorama ancor più ricco e completo dell'arte a Ferrara nell'età di Borso dovrà visitare la Pinacoteca Nazionale, che di quegli anni conserva oltre una ventina di opere di gran qualità, riallestite per l'occasione da Luisa Ciammitti; e poi, ancora, il Museo della Cattedrale dove sono rimaste le splendide ante del vecchio organo della Cattedrale dipinte da Cosmè Tura, uno dei capolavori assoluti dell'arte ferrarese nell'età di Borso d'Este; o, per fare un ultimo esempio soltanto, il complesso di sculture di Niccolò Baroncelli e Domenico di Paris in Cattedrale. Venendo alla mostra  organizzata da Ferrara Arte in collaborazione con la Pinacoteca Nazionale, i Musei Civici d'Arte Antica e le Gallerie d'Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, protagonisti dell'esposizione sono i pittori, gli scultori, i miniatori, gli incisori che determinarono una svolta radicale rispetto alla Ferrara di Leonello d'Este (1441-1450), predecessore di Borso.

 

Cosmè Tura, A questi artisti si deve, nel giro di pochissimi anni, l'invenzione di un linguaggio fantasioso ed espressivo, profano e ornato, a tratti persino furente, che ha caratterizzato l'arte ferrarese tra il 1450 ed il 1471 circa. Intento della mostra è approfondire l'indagine attorno a quello stile e ai suoi modelli artistici, tentandone una spiegazione in un catalogo serio, ma senza la pretesa di risolvere ogni problema, anzi nella speranza di stimolare studi e ricerche ulteriori.
La mostra è articolata in sei sezioni distinte, ma intimamente collegate tra loro. Percorrendo le prime due sale, dedicate alla prima sezione intitolata "Gotico padano e gotico internazionale. Ferrara intorno al 1450", il visitatore si trova immerso nel clima cosmopolita della Ferrara di Leonello, vero e proprio crocevia di culture figurative diverse e prive di una matrice comune. Alle medaglie e ai disegni di Pisanello, ai fogli del Breviario di Leonello, al Reliquiario di Montalto Marche, alle sculture di Michele da Firenze e del maestro dell'Altare dei Mascoli, ai capolavori di Jacopo Bellini e Bono da Ferrara, è affidato il compito di richiamare quella premessa fondamentale e, a un tempo, così diversa dall'età di Borso d'Este.

Nell'accedere alle due sale successive, dedicate alla sezione dal titolo "La nascita di un nuovo linguaggio", il visitatore coglie i primi segni del passaggio dalle forme eleganti del gotico internazionale a un nuovo linguaggio caratterizzato da cromie preziose e da una marcata espressività, del tutto specifico della scuola ferrarese.

 


Cosmè Tura , Un ruolo di guida spetta ai miniatori, tra cui dominano Giorgio d'Alemagna, Taddeo Crivelli e Guglielmo Giraldi che, come nel sontuoso Messale di Borso, fondono il gusto tardogotico con le forme geometriche e luminose del Rinascimento. Analoga commistione formale caratterizza la pittura: dall'eleganza di Angelo Maccagnino alla nobile eccentricità di Michele Pannonio, influenzati, al pari del giovane Cosmè Tura, dalla conoscenza della pittura fiamminga e in particolare dei capolavori di Rogier Van der Weyden. Segue il fulcro della mostra costituito dalla consacrazione del nuovo stile a opera dei due protagonisti dell'età di Borso: Cosmè Tura e Francesco del Cossa.

 

A loro sono dedicate mla terza e la quarta sezione della mostra allestite dalla quinta alla decima sala. E' qui che il visitatore incontra la piena maturità di quel linguaggio figurativo peculiare che Roberto Longhi ha chiamato "Officina ferrarese". Muovendosi tra Mantegna e la pittura fiamminga, Tura inventa, infatti, un linguaggio fantasioso e, al contempo, prezioso, popolare e fortemente espressivo, che non ha precedenti. Ne fan fede capolavori come la Madonna col Bambino in un giardino, della National Gallery di Washington; la Pietà, del Museo Correr; la Madonna col Bambino, delle Gallerie dell'Accademia di Venezia; o i pannelli del polittico di San Giacomo: il Sant'Antonio da Padova del Louvre, il San Giacomo Maggiore di Caen e il San Domenico degli Uffizi. Di contro, Cossa elabora una scrittura più morbida e plastica, naturalistica, felicemente cromatica e potentemente prospettica come dimostrano capolavori quali la Madonna col Bambino e angeli, della National Gallery di Washington; la vetrata con la Madonna col Bambino, del Musée Jacquemart- André; o lo straordinario Ritratto d'uomo, del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.

 

Conclude la mostra, nell'undicesima e dodicesima sala di Palazzo dei Diamanti, la sezione intitolata "Verso e oltre Schifanoia", che racconta la situazione  artistica ferrarese attorno al 1470. Ne è protagonista, in primo luogo, una selezione di splendide opere grafiche, che spazia dai disegni di Cossa realizzati per Schifanoia alle incisioni del Maestro dei Tarocchi Sola-Busca, per proseguire con capolavori assoluti chiamati a documentare il successo delle formule ferraresi al di fuori di Ferrara come il San Giovanni Battista di Cossa a Brera e i Miracoli di san Vincenzo Ferrer di Ercole de' Roberti dei Musei Vaticani, frammenti del polittico Griffoni realizzato dai due artisti attorno al 1473 per la chiesa di San Petronio a Bologna. Il percorso espositivo termina a Schifanoia, con la visita agli affreschi dei Mesi.

 

Francesco del Cossa, Qui, nell'ultima impresa collettiva voluta da Borso, esplode, nel mese di Settembre, «una nuova pazzia nell'arte ferrarese » (Longhi), cioè gli esordi della terza grande personalità di questa stagione, Ercole de' Roberti; mentre Francesco del Cossa, nei mesi di Marzo, Aprile e Maggio, realizza un'abbagliante traduzione visiva della cultura di corte e delle ambizioni politiche del Duca.
Fondendo arte, astrologia, politica, cronaca e propaganda il Salone dei Mesi costituisce il vertice espressivo di questa fase della pittura ferrarese. Ma, mentre Borso celebra se stesso fra le pareti del Salone, la fine di questa stagione è a un passo. Nel 1471, a pochi mesi dalla conclusione della decorazione, Borso d'Este muore. È l'inizio di una nuova fase dell'arte a Ferrara.

 

A eccezione di Tura, che prosegue imperturbabile per la sua strada, gli orizzonti di riferimento mutano e il carattere eccentrico mdella pittura ferrarese comincia a stemperarsi: alcuni tra gli artisti maggiori si allontanano dalla  città - clamoroso il caso di Cossa -, mentre i più giovani, come Vicino da Ferrara e lo stesso Ercole de' Roberti, tendono a regolarizzare il proprio linguaggio in direzione di quella unificazione espressiva, mirante a superare le scuole locali, che Roberto Longhi ha efficacemente definito «italianizzazione dello stile».