Più comunemente indicato come la "villa della mensa" (ovvero patrimonio appartenente alla "mensa" e cioè alle rendite allora dovute agli alti prelati della Chiesa), si sa che il palazzo-castello ha avuto per committente, nel 1482, l'allora Vescovo di Ferrara Bartolomeo della Rovere, un pio frate francescano ricordato come persona amante delle arti e piena di spirito d'iniziativa ma, probabilmente ancora di più, perché nipote del pontefice in quegli anni regnante, Papa Sisto IV.
Una villa da costruirsi proprio lì, in Sabbioncello, e non altrove - aveva deciso il monsignore - perché lì vi si trovava la gran parte delle proprietà della sua "mensa" (costituita già solo in Sabbioncello da "una castalderia con non meno di cinque possessioni, un bosco, tre decime e cinque case per bracenti e dove anche la caccia e la pesca davan sempre gran frutto a chi le praticava"); poi, perché la si poteva così raggiungere facilmente e in breve tempo da Ferrara, scendendo in bucintoro il corso del Volano.
Poi ancora perché nelle terre a essa confinanti già da tempo si erano venute insediando, con ville o con dimore estive, non poche delle famiglie più nobili della città, come i Fontana e i Pasini, così come gli Strozzi e gli Avogli-Trotti, i Tassoni e i Gualenghi. Ma nel volerla mettere proprio lì, in quel punto, c'era però stato anche il provocatorio proposito - da parte del Vescovo di Ferrara - di voler in tal modo riaffermare i propri irrinunciabili diritti di proprietà-autorità su di un territorio che per secoli era stato invece oggetto, e ancora lo era, di continue liti con il dirimpettaio Arcivescovado ravennate "per via de' la delicata quistione dei confini che l'una parte non riconosceva a l'altra".
Una lite che (iniziata nel IX secolo e risolta solo nel 1735, quando, come già Ravenna - da cui era dipesa da sempre - anche Ferrara verrà promossa a sede arcivescovile e ne verranno di conseguenza definiti d'ufficio i confini territoriali) aveva finito per assegnare a Sabbioncello un'importanza strategica che il piccolo borgo non avrebbe mai avuto se non si fosse trovato ad essere, come invece fu, principale punto di riferimento topografico "nelle interminabili discussioni su quella benedetta zona contestata".
Non altrimenti si spiegherebbe il fatto che in non pochi dei documenti che hanno via via accompagnato "la lunga trafila giudiziaria" della secolare contesa, la località venga tanto spesso citata e lo sia a partire da tempi tanto remoti; come dimostra l'antico rogito datato con l'anno 870 (dove il borgo viene allora indicato con il nome di "Sabulone" o "Sablune") o l'altro, successivo, datato con l'anno 979, dove l'antico nome diventa ora "Sabloncellus".
In un documento datato invece con l'anno 1219, usata ancora una volta la sua chiesa come "giusta sede di giudizio tra le parti", il borgo viene ora chiamato "Sabluncello supter Ecclesia Sancti Victoris", indicazione che nel tempo finirà per trasformarsi in "Sabbioncello di Mezzo" e, quindi, "Sabbioncello di Sotto" (fino ad arrivare all'attuale Sabbioncello S. Vittore). "Di Sotto" per distinguerlo da un secondo borgo omonimo, sorto intorno al X secolo, esso pure a ridosso dell'argine sinistro del fiume e a poche miglia dal primo, tanto da essere per l'appunto chiamato "Sabbioncello di Sopra" e quindi Sabbioncello S. Pietro (come ancor oggi si chiama).
Costruita per dare anche una dimora al fattore e per essere nello stesso tempo "corte di servizio" per tutta la castalderia vescovile, la villa ha però scritto la sua storia per aver offerto per secoli "ristoro al corpo e pace allo spirito" a una lunga serie di personaggi famosi e non (ecclesiastici, ma non solo ecclesiastici), giusto come stanno a documentare le tante cronache arrivate a noi. Personaggi per alcuni dei quali, ben al di là di quello che vi ha costruito sopra la fantasia popolare, la Villa Mensa il più della volte è stata in verità ottima occasione per partecipare a incontri formativi o per dedicarsi ai propri esercizi spirituali; così come per altri ha reso possibile un po' di riposo quando non anche un po' di svago, magari attraverso la caccia e la pesca o magari attraverso gli spettacoli che di tanto in tanto vi venivano organizzati.
Così come, fra i tanti ospiti importanti, non è poi mancato anche chi - come alcune fonti riferiscono - alla villa vi è giunto per trascorrere, proprio perché oasi di pace, gli ultimi giorni delle propria vita (come nel caso - ma non è l'unico - del Cardinale Filippo Filonardi che vi morì nel 1834); e chi, al contrario, della bella e isolata residenza se ne è servito per tenervi invece sfarzosi ricevimenti quando non anche allegre abbuffate.
Come nel caso di Ippolito I d'Este il quale (già famoso perché valoroso comandante delle truppe del duca di Ferrara, suo fratello Alfonso I d'Este, e ricordato anche perché - ma questo allora non era motivo di scandalo - si ritrovò nominato vescovo a soli sedici anni e cardinale a ventisei), viene citato nelle memorie scritte anche perché in uno (ma per lui l'ultimo) dei tanti festini organizzati proprio nella villa (villa di cui era titolare pro tempore in quanto vescovo di Ferrara) "per i troppi gamberi fritti e le troppe pesche che mangiò e per la troppa vernaccia che bebbe, qualche giorno dopo, con la gran febbre di tifo che gli venne, se n'andò a l'altro mondo".
Questo accadeva nel settembre del 1520, mentre poco più di vent'anni dopo un secondo alto prelato estense, il Cardinale Ippolito II d'Este (omonimo e nipote del primo), seppur per diverso motivo, fece anche lui in modo e maniera di riproporre all'attenzione della cronaca la villa sabbioncellese. E questo perché, vescovo lui pure di Ferrara, in accordo con il fratello Duca Ercole II d'Este (ma in totale disaccordo invece con la cognata, la Duchessa Renata di Francia, semplicemente perché lei era di fede calvinista) pensò bene di convocare alla Mensa il giovane nipote Giulio, per indurlo a seguire la stessa sua carriera ecclesiastica. Niente di straordinario in questo, se non fosse poi emerso che lo zio, pur di convincere il nipote (alquanto refrattario alla proposta), usò ogni mezzo a disposizione... al punto che, alla fine, Madre Chiesa ebbe, sì, un cardinale in più, ma un cardinale non molto convinto dei propri doveri e, per di più, con un occhio reso irrimediabilmente strabico da un manrovescio ricevuto dallo zio, proprio in uno dei colloqui avuti con lui in villa (cosa, questa dell'occhio strabico, testimoniata dal ritratto che del Cardinale Luigi d'Este ancor oggi espone al pubblico la Biblioteca Estense di Modena).
Più volte ristrutturata attraverso i secoli (in modo anche molto importante, come accadde per esempio nella prima metà del XVIII secolo, quando il Cardinale Tommaso Ruffo, tra le tante iniziative che realizzò, "volle anco redurre a miglior forma il palagio che possiede la sua mensa in Sabioncelo"), la "Villa Mensa" (che si offre al visitatore con una grande insegna gentilizia e con sotto la scritta in latino: "Regnando il Pontefice Sisto, il di lui nipote Bortolomeo Vescovo di Ferrara dispose che venisse fondata ed eretta questa nuova costruzione e che in questo marmo si scolpissero le insegne Della Rovere, regnante Ercole Estense"), si presenta ancor oggi con una inconfondibile facciata in stile quattrocentesco, prolungata da due muraglie merlate che racchiudono diversi cortili interni. Ha pianta poligonale, con un gran cortile centrale a chiostro, armoniosamente arricchito da una cappella (detta "del Pallegrino") e da un'alta torre di guardia (poi usata come colombaia).
Il portone principale introduce in un ampio porticato a sei archi e, mediante una scalinata, porta al piano superiore dove primeggia la sala d'onore e quel-la di rappresentanza oltre quella che fu la cappella privata del vescovo. I resti di decorazioni antiche, ancor oggi ben visibili in diverse sale, testimoniano che la villa era stata impreziosita da una serie di affreschi, alcuni dei quali - così alcune fonti - eseguiti da Girolamo da Carpi oltre che dai fratelli Filippi. Tra l'altro ricordata anche perché, con la discesa di Napoleone in Italia, essa ospitò per lunghi periodi non pochi dei parroci ferraresi espropriati dalle truppe francesi delle proprie sedi ed anche perché, con la rotta del Po Grande a Guarda nel 1872, diede rifugio a diverse delle famiglie alluvionate, la Villa della Mensa - con l'ultimo suo titolare il Vescovo Luigi Vannicelli Casoni - venne poco dopo espropriata dallo Stato unitario italiano e venduta, nel 1878, ai Conti Scroffa di Ferrara. Acquistata dieci anni dopo dai fratelli Navarra e successivamente trasferita alla Fondazione che porta il loro nome, la villa - ormai quasi del tutto devastata dall'incuria del tempo e dell'uomo (ma nondimeno annoverata tra i "patrimoni da salvare" riconosciuti dall'Unesco) - nel 2002 ha finalmente trovato disponibili al suo acquisto sia il Comune di Copparo che l'Amministrazione Provinciale di Ferrara. Un provvidenziale impegno sinergico, questo, che anzitutto permetterà (come già sta concretamente accadendo) di fermare il processo di degrado e di devastazione del bene monumentale e che permetterà poi, nel tempo tecnicamente dovuto e come già accaduto per l'antico "torrione" di Copparo e per l'ancora più antica Chiesa di San Venanzio in Saletta, di fare anche della quattrocentesca "villa della mensa" una preziosissima quanto funzionale testimonianza ulteriore di quello che la storia ha visto scrivere attraverso i secoli in queste nostre terre e fra questa nostra gente.