Cinque incontri sul Po

Scritto da  Gaetano Tumiati

Il Grande Fiume.La presenza del Grande Fiume nella vita di un ferrarese espatriato emerge nella poesia inedita che un giovanissimo novantenne regala ai lettori di "Ferrara. Voci di una città"

 

Gaetano Tumiati, giornalista e scrittore ferrarese di nascita, ma da sessantanni a Milano, ama vantarsi. Come ben sanno gli amici, si vanta non tanto della notorietà conquistata con la sua attività giornalistica e letteraria, bensì delle lunghe passeggiate su e giù per i colli piacentini della Valtidone, sua seconda casa, che affronta nonostante l'avanzatissima età; o anche della disinvoltura con la quale guida la sua automobile, ormai vecchia (tutto solo, però, perchè nessuno si azzarda a salire a bordo quando lui è al volante); o, infine, dei tuffi di testa che, a suo dire, potrebbe ancora eseguire.
Date queste premesse è inevitaile e certo che ancor più si vanterà per l'ardire dimostrato nel corso del suo novantesimo compleanno, estate 2007, abbandonando la prosa, di cui era esperto cultore, per affrontare - vergine - il cadenzato ritmo dei versi, con una serie di poesie su Ferrara e il ferrarese. Fra queste, "Cinque incontri sul Po", che dedica agli amici della rivista.

1928

Canoisti sul fiume Po.Sconfinata distesa senz'onde
eppur viva di fremiti e gorghi
che scivolavi lentissima
verso tue mete lontane
misteriosa apparisti ai miei occhi
di ragazzino decenne
per la prima volta affacciato
al tuo argine erboso
«Che c'è? Che c'è? Non ti piace?»
s'affrettò premurosa la zia
che m'aveva condotto fin lì
affrontando il periglio
di sei chilometri ed oltre
sul beccheggiante tram color crema
diverso da tutti gli altri
tram della nostra Ferrara.
«Sì, sì,» mormorai sottovoce
«è largo.» E subito mi voltai
portando finalmente alla bocca
il resto di un mandorlino
comprato sotto la cupa
Galleria di Pontelagoscuro.

 

1938

 

Scintillante di mille faville
dei tuoi glorioso tramonti
apparisti dieci anni più tardi
a me e ai miei compagni di voga
a bordo di un agile quattro
tesi nello sforzo comune
di affondare all'unisono i remi
secondo cadenza dettata
dal timoniere là in fondo,
stanchi eppure felici
quando alla fin della corsa
potevam rilassati e ansimanti
abbandonare lo sguardo
al tuo manto di madreperla
a sole ormai tramontato.

 

1946

 

La grande alluvione del Po (1951).Maestoso e solenne
sotto il caldo sole di giugno
primo anno del dopoguerra
avanzavi con reale pigrizia
ignorando le tristi macerie
dei paesi distrutti ai tuoi fianchi
e ogni altra umana tragedia,
quando io e l'amico Luigi
reduci non ancora trentenni
da guerra e priginia
lui dall'India di Gandhi e Mountbatten
io dal texas di Buffalo Bill
nella nostra sete comune
di aria e di libertà
raggiungemmo su lieve canoa
una spiaggia dell'Isola bianca
immobile in mezzo al tuo corso
e lì, sdraiati su tiepida sabbia,
ci perdemmo a evocare episodi
di guerra e di filo spinato
lui insistendo fra l'altro
sul magico metodo yoga
appreso nel camp di Jol.
A un certo punto insistette
perché anch'io provassi ad assumere
quella insolita posizione
seduto a gambe incrociate.
Accettai ma dopo pochi minuti
mi lasciai cadere ridendo
ruzzoloni giù per la sabbia.
«Per lo yoga ci vuole costanza»
sentenziò allontanandosi un po'
perché sentiva il bisogno
di dedicarsi davvero ai prodigi
della sua scomoda cura orientale.
Per mezz'ora infatti rimase
come statua a gambe incrociate
nella speranza prima o poi di raggiungere
il Nirvana improbabile
di una perfetta Serenità.
A me rilassato su sabbia
che avvicinandosi il mezzogiorno
si faceva sempre più calda
bastavano il sole il silenzio la pace
di quest'isola al centro del Po.

 

1951

 

La grande alluvione del Po Cinque anni più tardi
nel novembre del ‘51
mi fu chiesto di correre al Delta
devastato da grande alluvione.
Corsi
e ai miei occhi sconvolti comparve
sconfinata laguna giallastra
che si estendeva fin quasi a Rovigo.
Su piccola barca a motore
di pescatore chioggiotto
navigammo a lenti zig zag
tra drammatiche scene
di dolore e di morte:
intere famiglie su tetti
emergenti dall'acqua fangosa
donne che all'ultimo piano
di sommerse cascine
sventolavano stracci e camicie
in disperata richiesta d'aiuto
campanili solinghi
orfani di lor chiese sott'acqua
gonfie carogne di maiali e di buoi
che galleggiavano immobili
accanto a devastato sfasciume
di povere masserizie.
Così per giorni e giorni
preso dall'ansia ogni sera
di precipitarmi a Rovigo
per sillabar tanto strazio alle orecchie
di scupolosi stenografi.
Così fino a quando la lieta notizia
del tuo primo calar di livello
mi spinse fino a fradici resti
del tuo argine sbrecciato in più punti
dove ristetti seduto
su inutili sacchetti di sabbia
a rimirar con sollievo
le tue acque pur sempre impetuose
che però non riuscivano più
a raggiunger la breccia dell'argine.
Durò a lungo quel mio grande sollievo
sotto vasto cielo indeciso
fra nuvole e azzurro
finché la continua visione
di tua fangosa violenza
e il pensier dell'immane tragedia
m'indussero a meditar con angoscia
se tanto tragico evento
fosse dovuto
a trascuratezza o avidità degli umani
a misterioso segno divino
oppure anche a te, nostro Po,
simbolo di quella forza
incomprensibile eterna
senza scopo e senza valori
che, come diceva Baruch,
continua e continuerà
a sospingere gli universi
per tutti i secoli dei secoli.
Ma tu, violento e giallastro
continuavi la tua corsa imperterrito
verso Comacchio e la foce
senza darmi risposta.

 

2007

 

l grande fiume E oggi? Negli ultimi cinquant'anni
chissà quante volte ti ho visto,
dal finestrino di un treno
della Bologna-Venezia
fuggevole lampo di luce
che desta pur sempre un sorriso
tra altri più gravi pensieri.
Dal Novecentonovanta
addirittura ogni sabato in macchina
nel varcarti su un altro tuo ponte
non più quello vicino a Ferrara
bensì ai piedi di verdi colline
dove passiamo i week end.
«Guardate, ragazze, guardate
com'è largo, gonfio e lucente
per la pioggia dei giorni passati»
o «com'è ridotto dalla siccità»
ripeto con entusiasmo ormai spento
dall'età e dall'abitudine
ma le giovani e brave nipoti
tutte prese dai loro discorsi
su cinema, amori, cavalli
e polemiche coi professori
non ti degnan d'un solo sguardo.
«Siamo quasi arrivati!»
è il loro pacato commento
mentre si stanno scambiando
grandi mazzi di fotografie.
Sempre largo e solenne anche qui
mio povero Grande Fiume
ormai soltanto segnale che annuncia
quanti chilometri mancano
alla nostra solita mèta
Pianello di Valtidone.