Con il fondamentale contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara e la sensibilità degli Amici della Biblioteca Ariostea - cui spetta il merito di aver promosso l'iniziativa di recupero dell'intero fondo govoniano -, vede la luce l'inventario dell'Archivio Govoni, formato da oltre 5.000 pezzi archivistici manoscritti della produzione più recente (dagli anni Quaranta in poi), che includono prosa, lirica, teatro e tutte le attività del poeta. Le carte riflettono quasi totalmente il "disordine d'autore" che caratterizzava l'archivio nel momento del suo ingresso alla Biblioteca Ariostea, nel 1972, quando andava ad aggiungersi ai 1.076 volumi della biblioteca privata del poeta già precedentemente versati all'Ariostea nel 1967.
Prima del mio intervento svolto nel biennio 2006-2007, l'archivio era stato sotto-posto alla messa in sicurezza, alla numerazione dei pezzi e alla sistemazione in buste dotate ciascuna di un inventario sintetico del contenuto; il materiale era stato inoltre microfilmato. Ogni più breve scritto del poeta è meditato e rivisto, tanto da lasciare trasparire il timore di non riuscire a trasmettere il suo pensiero. I titoli delle opere, per esempio. Se ne trovano con infinite varianti, frutto di tanti ripensamenti così giustificati dall'autore: «La scelta del titolo di un'opera, prosa o poesia, ha sempre avuto per me l'importanza sostanziale o simbolica della posa della pietra di un edificio. Devo confessare che nel titolo ho veduto sempre il disegno e l'essenza più misteriosa della nascita della mia nuova opera».
Nell'ottica di dare il necessario ordinamento complessivo alle carte, è stata creata una griglia in cui incasellare ogni singolo pezzo secondo cinque macrovoci: poesia, prosa (novelle e racconti), teatro, corrispondenza, archivio personale, ciascuna con un proprio inventario analitico. Una sezione a sé è riferita al romanzo, alla quale ha lavorato la dottoressa Tania Bertozzi nell'ambito del medesimo progetto, identificando le carte ed eseguendo un laborioso spoglio sistematico propedeutico all'inventario. La scelta metodologica ha dovuto tenere conto dei diversi problemi che si sono presentati nell'affrontare l'archivio, e che sono stati risolti con la predisposizione di strumenti di consultazione: indici dettagliati, elenchi con lo spoglio delle opere pubblicate, un apparato di note con riferimento a identificazioni, confronti e verifiche compiute in itinere.
Per la poesia - sezione più corposa e più impegnativa - l'elenco di spoglio delle 2.234 liriche edite comprende l'incipit di ciascuna, per ovviare alla difficoltà di identificazione delle liriche indicate con lo stesso titolo (cinque Allodola, sette Notte, otto Usignuolo, nove Autunno, ecc.) o di quelle il cui titolo è stato variato.
Sono ben documentate le due raccolte inedite Conchiglia sul quaderno (1948) e I canti del puro folle (1959), le cui liriche vennero in parte stampate in Poesie scelte, a cura di Giuseppe Ravegnani (1961) e altre inserite ne La ronda di notte (1959), raccolta pubblicata postuma con la presentazione di Enrico Falqui (1966).
In un'annotazione il poeta precisava: «Ho due grosse raccolte di liriche inedite, Conchiglia sul quaderno e I canti del puro folle; ma non vedranno la luce prima che siano pubblicati il romanzo giallo per bambini Viaggio meraviglioso attraverso l'Italia e il grande romanzo a sfondo crudamente sociale Uomini sul Delta». Raramente datate dall'autore, le carte riguardanti la poesia sono da collocare temporalmente negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, con qualche arretramento al decennio precedente e un'unica data autografa riferita alla fine degli anni Trenta in calce alla poesia Invito al sole, composta a Sanremo nel «Natale 1939». Interessanti le annotazioni sparse del poeta che, nel rivedere i lavori a distanza di tempo, appuntava promemoria («correggere!»), commenti e qualche dubbio («già pubblicata?»).
Lo stesso criterio - spoglio delle opere pubblicate seguito dall'inventario analitico delle carte - è stato adottato per la prosa, dove oltre alle novelle compaiono numerosi brani frammentari scritti tra il 1950 e il 1955 dell'inedito già citato Viaggio meraviglioso in Italia. Anche in questo caso, oltre alle 188 novelle edite in nove raccolte, sono stati rilevati altri titoli appena menzionati dall'autore tra le carte dell'archivio. Si tratta di revisioni riedite a distanza di anni come Il ritorno del fante dalla raccolta Le rovine del Paradiso (1941) ripresa nel periodico «Giustizia» del 23 aprile 1958, o di racconti già pubblicati come Scorcio di paese comparso su «Il secolo» del 4 maggio 1926, quindi nella raccolta Bomboniera (1929).
Si incontrano ancora novelle con il titolo variato, come Maternità, dalla raccolta Confessione davanti allo specchio (1943), riproposta in «Giustizia» del 23 marzo 1959 «con il nuovo titolo La culla insanguinata». Tra le rare date autografe rilevate nelle carte di questa sezione si ricorda L'urlone, novella ricordata in un programma di lavoro del novembre 1921, «da eseguire a tutti costi entro il 1922».
Alla voce prosa è strettamente legata quella del teatro. Il percorso dello scrittore è documentato dalla fine degli anni Trenta con ampi stralci sia delle opere edite La Madonnina dei pastori (1939), Vernice del presepe di Natale (1939), Il selvaggio padrone (1928, «commedia [...] mai rappresentata», uscita nel 1940 con il titolo Il pane degli angeli), sia di quelle inedite pubblicate nel 1984 in Teatro a cura di Mario Verdone: L'ora del pastore (1921) e La sassata al lampione (1947), «dramma moderno arditissimo» per il quale Govoni cercava una compagnia «coraggiosa» che lo mettesse in scena.
Ci si imbatte anche nella citazione di "Giulio Morgana", pseudonimo sotto il quale il poeta firmò la poesia Agata, primo amore, inserita nell'antologia da lui curata Splendore della poesia italiana (1937).
L'epistolario, riunito nella voce ‘corrispondenza', conta 123 pezzi con destinatario Corrado Govoni tra il 1915 e il 1964; il nucleo principale inizia negli anni Trenta. Le minute autografe del poeta sono 45, spesso non datate, ma a volte collocabili temporalmente nel caso in cui i fogli siano stati reimpiegati per scrivere versi. Ne è un esempio la minuta indirizzata a un'anonima «Gentile amica» dove si legge la lirica Motivetto d'autunno (28 novembre 1960). Il nucleo più corposo è degli anni Cinquanta-Sessanta. È inoltre conservato il carteggio famigliare tra Corrado Govoni, la moglie Teresa Albisetti, i figli Aladino, Ariele, Mario e altri parenti.
L'archivio personale, infine, comprende promemoria dei più diversi tipi, dagli appuntamenti alle liste della spesa, dagli elenchi di libri da acquistare ai numeri da giocare al lotto, oltre a traduzioni di poesie, recapiti, recensioni trascritte da giornali e una serie di 157 fotografie con alcuni corrispondenti negativi fotografici.
Numerose sono le carte autografe in cui Govoni raccontava se stesso e la sua vita, fissando la sua immagine da ricordare insieme alla sua storia di "contadinopoeta". «Corrado Govoni nacque una settantina d'anni fa - scriveva - in un paesuccio che col nome, Tàmara, ricorda il tenace tamerice di cui anticamente la zona del Delta era popolata, al margine della palude in cui la misteriosa città greco-etrusca di Spina dorme da millenni sotto la spessa coltre della melma nella corona della sua favolosa necropoli violata dall'invadente bonifica, stringendosi al cuore l'enorme leggendario ragno d'oro massiccio, simbolo della sua civiltà distrutta dall'alluvione dei nordici barbari e del Po. Egli discende da una famiglia di mugnai, e se ne compiace vivamente, ricordando [...] i suoi sogni di bambino cullati dalla casa palpitante nelle ore della molitura come un immenso staccio di polvere di farfalle [...]».
Più volte compaiono i giudizi sulla sua opera letteraria, che Govoni amava trascrivere: Umberto Fracchia lo definì «il più straordinario fenomeno che sia mai apparso nei cieli astrali della poesia»; Silvio Benco disse che «forse nessuno dei nostri, come lui nelle sue ore felici, ha in sé l'eterna giovinezza»; Lionello Fiumi affermò che «con Govoni si fanno diecimila Ungaretti». La lode più cara rimaneva quella scrittagli da Pirandello: «Ammiro da anni quello che in Lei nasce, ora che tutti fanno». Dai temi delle carte "parlanti" emergono sulle altre tre vene di lettura: la casa di Tàmara, quell'Era mia, quella Casa paterna protagonista di tante liriche, poi venduta per dissesti finanziari; la faticosa ripresa della vita dopo la scomparsa del primogenito Aladino ucciso il 24 maggio 1944 alle Fosse Ardeatine; l'incomprensione generale che lo opprimeva ancor di più nel rimpianto degli anni vissuti lungo la riva del Po mentre, a Roma, svolgeva i compiti di protocollista statale. Anni tormentati, quelli di Roma, come si legge alla fine di una singolare serie di versi scritti in verticale su un piccolo foglio:
«Primavera - Dai / fulmini/ al /
vento / ; / dal / verde / all'uomo /: / tutto / e / ? /
solo / sofferenza / d /' / amore - Roma, 13 maggio
1954. Via di Trasone, 16, interno 4, primo piano, tel.
880582. Picchiare alla porta: il campanello non suona.
Questa lirica è stata concepita stando in letto, alle 5,14
primi, 49 secondi e mezzo del mattino. Il sole non si
era ancora alzato; e il cielo senza stelle prometteva una
bella giornata. La lirica è frutto sudato di dieci anni di
macerazione spirituale e di tormentoso scavo interiore».
Altri momenti di vissuto personale emergono dalla corrispondenza, a volte sfoghi amari solo in parte placati dalle momentanee contentezze offerte alla sua «sbalestratissima vita di poeta», a volte considerazioni e giudizi sul tempo che tristemente stava vivendo. La voce dell'«uomo folle di poesia» fiero di se stesso è riflessa con forza nelle parole della relazione per il "Premio Marzotto" (assegnatogli nel 1953), ritmata ancora dalla «dannazione» dell'essere poeta - «Eppure c'è ancora un italiano che nei riguardi della poesia non è stato visitato dalla sfiducia o dal dubbio: Corrado Govoni...» -, dallo struggente ricordo di Aladino e da quello della terra ferrarese: «Fra gli echi delle Fosse Ardeatine il lamento di Corrado Govoni per il figlio trucidato resterà in risonanze di disperata poesia. La voce di Govoni non aveva mai imprecato, non aveva mai imparato a imprecare: dai vasti orizzonti della campagna ferrarese la sua poesia non aveva mai rispecchiato se non malinconie felici e una ineffabile gioia di vivere...».