La Bibbia nella pittura ferrarese

Scritto da  Gianni Venturi

Presentazione e un commento dell'opera pubblicata grazie alla Fondazione e alla Cassa di Risparmio di FerraraLa Bibbia nella pittura ferrarese

Prendere l'impresa per assumersi la responsabilità di svolgere un tema come quello che il volume testimonia non è stato da poco. Emiliani ed io siamo stati consapevoli fin dall'inizio che affrontare un testo che ha per protagonista la Bibbia ovvero il Libro divino, significava contestualizzare non solo un percorso della pittura ferrarese del Rinascimento ma riconoscere attraverso la scelta dei soggetti una precisa volontà politica, religiosa, devozionale che quelle pitture esprimevano come precisa norma a cui ogni artista doveva in una certa misura adeguarsi. La grandezza di un'opera si misura poi nello scarto tra la norma e l'originalità dell'artista. È stato necessario tuttavia ricorrere in primo luogo a una serie di cautele di metodo che facessero rispettare il racconto così come si sviluppa nel tempo. Una cronologia particolarmente attiva nelle storie del nuovo Testamento che in questo caso diventava scelta obbligata nel momento che si doveva narrare vita morte e resurrezione del Cristo; meno stringente e obbligatoria per gli episodi del vecchio Testamento. Se questa scelta poteva ingenerare monotonia o sensazione di ripetività è stato poi il confronto tra le diverse "mani" del pittore a permettere un'articolazione del giudizio, aiutata dall'impeccabile stampa delle opere, che ha permesso di dichiararci soddisfatti del risultato e quindi di affidare ai lettori un'opera che va letta secondo diversi punti di vista. Nel momento in cui la committenza – religiosa, politica o privata – affida a un artista un soggetto da svolgere, la volontà dell'esecutore si deve adeguare alle condizioni che gli vengono dettate. D'altronde diversa è la destinazione dell'opera che può essere quella di adornare e illustrare attraverso la storia prescelta o ambienti monastici o chiese o palazzi e diverso, per usare un termine obsoleto, il "messaggio" che essa doveva comunicare. La differenza tra chi è artista e chi noi chiamiamo artigiano è impercettibile, salvo casi clamorosi, nel Rinascimento; si può tuttavia misurare dal modo con cui il primo riesce a trasformare in originale ciò che potrebbe apparire ripetitivo, consunto o perlomeno ovvio. Ciò che osserviamo e ammiriamo è dunque l'opera di chi da una condizione artigiana passa a quella artistica; quasi mai nella piena consapevolezza del proprio valore, salvo casi eccezionali come per Leonardo o Michelangelo o Tiziano. Cosmè Tura ad esempio era utilizzato anche per dipinger stendardi o decorazioni effimere per il passaggio di qualche personaggio illustre. Garofalo dipingeva quasi esclusivamente per monasteri e chiese, perciò alla sua credibilità di pittore e frescante si univa quella di saper interpretare la pietà devozionale come appare in molte sue opere commissionate dagli ordini religiosi. Sono poi gli stessi pittori che organizzandosi in botteghe portano avanti di pari passo, come per la bottega dei Filippi, sia la decorazione del Castello che l'abside del Duomo, dunque un'opera eminentemente di carattere laico e una di carattere sacro. Bastianino tuttavia riesce nel tentativo di interpretare il clima religioso e politico che la scelta del Giudizio universale testimonia. Non è un soggetto molto frequentato quello del Giudizio, ma si pensi al rimando, a livello tematico, al "libro di pietra" che narra quel tema e che il pittore poteva vedere inscritto nella facciata della cattedrale; un libro che era stato scritto con precise indicazioni ideologiche. Il tema rappresentato è comune nel Medioevo ma ripreso dal pittore alla fine del Cinquecento acquista una carica simbolica significativa, nel momento storico in cui viene eseguito, quando l'esigenza della riforma cattolica di dare una risposta incisiva a quella protestante individua in quel soggetto un'efficace arma di propaganda e di assunzione di responsabilità. Nel cielo grigio della padanìa, Bastianino racconta la crisi di un'idea religiosa e un tramonto politico, a preannunciare il nuovo corso del pensiero religioso e la resa del piccolo stato estense alla forza della Chiesa-Stato. Così come nella magistrale lettura di Ranieri Varese le ante dell'organo del Tura aprendosi e chiudendosi riflettono e traducono in forma e colore l'incipit del nuovo patto tra Dio e l'uomo dopo la caduta, nell'episodio dell'Annunciazione, e l'azione fissata nell'attimo dell'eroe guerriero Giorgio che salva la principessa di Trebisonda: una "divisa" del principato estense, genealogia affabulante degli eroi e santi che popolano lo stato e la corte, tra sante vive e monasteri dedicati e retti dalla stirpe regnante. Nello scorrere delle immagini che accompagnano le letture di Ravasi, di Emiliani e mie abbiamo tentato di proporre un secondo livello di interpretazione. Non si contano ormai le proposte di esegesi biblica applicate all'estetica, alla letteratura e alle arti di cui si è tentata un'esposizione seppur nei limiti dell'assunto e riversate nelle indicazioni bibliografiche e nelle preziose schede che accompagnano le opere dove il passo dell'episodio biblico riportato nell'ultima versione proposta dalla CEI viene analizzato nel suo attenersi o discostarsi dalla fonte, seguita a sua volta dal giudizio critico. Le schede rappresentano un agevole e nello stesso tempo completo commento all'opera, che diventa così leggibile anche da chi non sarebbe in grado di conoscere l'intera vicenda critica dell'autore e il contesto storico da cui proviene. Il grande quesito rimane però alla base delle scelte di cui tutti gli autori sono stati consapevoli: è possibile una lettura storica della Bibbia? Si può assumere il libro a fonte primaria di un momento artistico storico ben delimitato nel tempo e nello spazio? Lo scritto di Gianfranco Ravasi, illustre biblista e teologo, ci testimonia che l'operazione non è scorretta ma che in parte è condivisa. Un giudizio che ha rinfrancato gli altri due autori spinti nella loro ricerca da una metodologia "laica". Alcune intenzioni di principio vanno comunque ribadite. La scelta non è avvenuta seguendo il criterio del massimo di esteticità reperibile negli autori e nei loro capidopera, bensì essa si è basata sul grado di comunicabilità della fonte biblica e del "messaggio" religioso prima che artistico esibito. Una lettura che privilegiasse le qualità stilistiche dell'opera sarebbe fuorviante, quella che invece fosse rivolta alla contestualità storica potrebbe riservare maggiori soddisfazioni: almeno per noi questa è stata l'intenzione primaria. Va infine ricordata l'ottima qualità della stampa. Nell'eseguirla si è saputo cogliere tutti i ripensamenti, i dubbi e le non sempre facili pretese dei curatori che sono stati agevolati con pazienza e perizia fino a ottenere un prodotto di cui andiamo fieri. Naturalmente i nostri ringraziamenti vanno all'editore che ha proposto il libro e alla Cassa di Risparmio di Ferrara e alla Fondazione Carife che ne hanno resa possibile l'esecuzione.