Il restauro di un importante affresco rinascimentale apre nuove prospettive storiche
Il soffitto affrescato in una delle sale del piano terreno del palazzo fatto costruire dal conte Antonio Costabili e collocato nella attuale via XX settembre è una punta di diamante della pittura italiana rinascimentale, restituita ora a una piena godibilità dopo il recente restauro. La suggestiva invenzione di ricreare una balconata innalzata illusionisticamente contro il cielo, alla quale si affacciano eleganti personaggi che esibiscono strumenti musicali, cantano e si accompagnano ad animali domestici, al di sopra di un osservatore collocato in basso nella stanza, riflette la piena competenza della tradizione e della trattatistica antiche in fatto di soluzioni architettoniche da parte del suo ideatore e la raffinata padronanza letteraria e artistica del committente. Questo significa uno stretto collegamento con una rete di campagne decorative promosse dalle più prestigiose corti e città della penisola, alle quali Ferrara è legata da vincoli politici e culturali: specialmente Milano, Mantova, Venezia e Roma. La documentazione relativa all’edificio e alle sue decorazioni non è ricca, ma gli storici, da Agnelli, a Padovani, a Calzecchi Onesti, su fino a Zevi, Piconi Aprato, Varese, e, più di recente, a Fedozzi e Ghelfi confermano che l’attuale sede del Museo Archeologico Nazionale di Spina fu progettata da Biagio Rossetti per volontà del Costabili: nel 1502 erano innalzate le pareti e si procedeva alla consegna del materiale lapideo di rivestimento del cortile che nel 1504 risultava però incompleto e dove si avvicendavano lapicidi ancora nel 1517. La mancanza di un supporto cronologico sicuro per gli affreschi della sala ha fatto oscillare la loro datazione tra il 1503 e il 1517, con una maggiore convergenza della critica più recente attorno all’anno 1508. In passato mi sono sembrati rilevanti due ulteriori elementi postquem interni: da un lato, la testimonianza offerta il 6 febbraio 1507 dall’ambasciatore mantovano Bernardino Prosperi che così riferiva a Isabella d’Este:"Da nui se fa feste assai e festini terrazzaneschi pe ogni contrata, ma da honorevole anchora non se ne è visto veruno, ni sento parlare che alcuna se ne abij a fare se non de le noce anci triunpho di Costabili, li quali, ultra il digno apparato de la casa che fano se mettono ad ordine de farse honore grandissimo [...]". Contro l’immediata supposizione che si stesse allestendo il matrimonio di Antonio con la futura moglie Paola, si è precisato di recente che le nozze in vista erano quello di Camillo, fratello di Antonio, con Bianca Martinengo, per i quali Lucrezia Borgia aveva perfino organizzato un banchetto a corte (Fedozzi, Ghelfi); tuttavia il riferimento ad un apparato in via di perfezionamento nel palazzo di famiglia si conferma ancora un dato certo. Dall’altro, la presenza, in una delle diciotto lunette affrescate a monocromo sottostanti la finta balaustra, di una palese citazione dal rilievo di Antonio Lombardo denominato radizionalmente Fucina di Vulcano. Questo era destinato allo studio di marmo di Alfonso I d’Este, la cui datazione dovrebbe essere garantita dalla data 1508 iscritta su un rilievo non figurato della stessa serie, dispersasi dopo la devoluzione di Ferrara alla Santa Sede. Un termine antequem invece è offerto dal ricorrere, in alcune carte recentemente vagliate (Fedozzi, Ghelfi), di una "camera terrena aurata et picta", identificata con la sala del Tesoro, solo a partir
e dal 1512. Una data, questa, che coincide significativamente con quella lasciata da Garofalo (Novembre 1512) sul dipinto della Gemäldegalerie di Dresda Minerva e Nettuno, in cui buona parte della critica riconosce l’affermazione di un classicismo di impronta già raffaellesca ribadito in modo anche più risentito nelle sue opere eseguite nel corso del 1513. Questo stile non è ancora palese nella sala del Tesoro, dove viceversa domina il protoclassicismo ispirato a Lorenzo Costa e Perugino, uno stile dolce che sostiene lo scambio regolato di sguardi e di gesti tra le figure e che aderisce assai bene al repertorio della letteratura cortigiana sentimentale alimentata da una testo cardine come gli Asolani che Pietro Bembo aveva dedicato nel 1505 proprio a Lucrezia Borgia, duchessa di Ferrara. Una datazione tra il 1508 e il 1512 appare dunque la più plausibile e la si è meglio precisata attraverso l’analisi comparata con altre opere giovanili di Garofalo, potendo indicare l’arco 1508-1509 come il più plausibile. È infatti il ferrarese l’esecutore prevalente degli affreschi, come riconobbe per primo Girolamo Baruffaldi, seguendo il quale si è ritenuto per molto tempo di riferire al Tisi tutta l’impresa. Tralasciando i riferimenti erronei ad Ercole Grandi, un nome al quale si attribuirono la m
aggior parte delle opere della giovinezza del Tisi, sappiamo per certo dalle parole dell’umanista Celio Calcagnini che il Costabili aveva richiesto l’intervento di più pittori di fama: "Arcessitis pictoribus primi nominis", infatti, è l’importante indicazione fornita, proprio con riguardo alla decorazione di questa camera, nella orazione funebre scritta e recitata dall’amico per la morte di Antonio nel 1527. Nonostante le forti incongruenze che pesano sulla vita del pittore e teorico d’architettura Cesare Cesariano, attivo a Ferrara, ma anche a Parma e a Reggio Emilia, nel corso del primo decennio del Cinquecento, mi sembra confermabile la sua paternità in alcune zone dell’affresco, se confrontate, anche dopo il recente restauro, con la struttura compositiva e le fisionomie dei santi della pala a lui attribuita in Sant’Eufemia a Piacenza. Altrettanto significativa, inoltre, sembra la più recente individuazione del pittore Girolamo Bonaccioli detto il Gabriletto (Fedozzi, Ghelfi), che porterebbe a tre i collaboratori riconosciuti. Lo stato di degrado di alcune zone del soffitto non permetterà facilmente di innalzare tale numero, mentre nuove precisazioni potrebbero in futuro essere fornite da un esame attento delle lunette. Di Antonio Costabili non si conosce la data di nascita, ma la sua brillante carriera diplomatica e politica, al fianco dei duchi Ercole I ed Alfonso I, è comprovata dalle svariate menzioni nei memoriali estensi e nelle cronache cittadine. Consigliere ducale, ambasciatore, giudice dei Savi, un suo ritratto figurava già nel 1497 insieme a quelli degli stretti cortigiani di Ercole I nella camera del
duca a Belriguardo, residenza estiva degli Este (Giovanni Sabadino degli Arienti); lo stesso anno, in missione diplomatica a Milano, traeva dal carcere Boccaccio Boccaccino, per condurlo a Ferrara, dove avrebbe sostituito Ercole de’ Roberti in qualità di pittore di corte. Tra il 1506 e il 1507 a Mantova si impegnava per ottenere l’estradizione di don Giulio d’Este e certo aveva assistito con curiosità al restauro della volta della Camera degli Sposi ad opera del figlio di Andrea Mantegna, Francesco. Tra il luglio 1507 e l’ autunno 1508 si trasferiva alla corte di Massimiliano d’Austria. Fu definito dal Calcagnini "magnificus urbis tribunus [...] eques splendidissimus". Questa serie di fatti può aiutare a definire i gusti e le scelte figurative del Costabili nel momento in cui si accingeva a decorare la prima stanza del suo palazzo, convocando, almeno, un pittore
estense ormai bene conosciuto, Garofalo, e un attento lettore di Vitruvio, cui dedicherà una traduzione in volgare edita nel 1521, Cesariano. Sull’identità dei personaggi affacciati alla balaustra si sono formulate diverse ipotesi, ma il carattere idealizzato dei volti femminili e le condizioni lacunose di alcuni personaggi maschili, seppure molto caratterizzati, rendono diffcile un pronunciamento, ad esclusione della figura maschile con copricapo rosso a sinistra di una giovane bionda che suona il liuto, che sembra avere tutti i caratteri di un autoritratto di pittore. Sul significato della sala, è degno di grande considerazione
il rapporto con il poemetto Anteros sive de mutuo Amore del menzionato Celio Calcagnini che dichiara di avere composto per l’amico Antonio Costabili diciotto distici ispirati al mito di Eros ed Anteros - intesi stoicamente come amore reciproco -, per la decorazione del suo "cubiculum seu dormitorium". Ogni lunetta illustra infatti una coppia di versi e narra passo passo la nascita, le vicende reciproche e i caratteri dei due amori (Schwarzenberg). La possibilità di disporre di una connessione documentata tra fonte letteraria e decorazione, unitamente alla qualità intrinseca dell’affresco, concorre a determinare la sua unicità e rilevanza culturale nel panorama della pittura italiana del Rinascimento.