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Florestano Vancini: un ricordo Un colpo di fulmine che diventa carriera e scelta di vita "Essere nati e cresciuti dentro le mura e fuori dalle mura aveva, ai miei tempi, un preciso significato. Ferrara sembrava come arroccata nei confronti di quella sconfinata campagna, povera e bracciantile, e  poi  mio  papà   era  soltanto  il postino di Boara….".   Florestano
Boldini a Parigi (1871-1886) Una grande mostra indagherà il rapporto fra Boldini
e l’impressionismo francese
Attorno alla metà degli anni Ottanta, Boldini realizza un dipinto di grande fascino che esula dall’ambito per cui è rimasto celebre, quello del ritratto. Si tratta della Cantante mondana, un’istantanea della Parigi di fine Ottocento e della vita che si svolgeva, nei caffè e nei salotti musicali che l’artista frequentava assieme ad amici e colleghi come Degas.
È una questione di sangue Considerazione estemporanea di un fotoreporter “dolomito-padano” Mia madre, alta, snella, di una bellezza anche volutamente poco appariscente; mio padre, al contrario, atletico, conscio del suo fascino, abbronzato dal sole di Cortina. Lei di buona famiglia ferrarese, diplomata al conservatorio, tutto tranne che sportiva; lui campione di sci e di hockey su ghiaccio e scalatore di montagne, discendente da una famiglia modesta, pionieri della fotografia in questo remoto angolo d’Italia.
Cronaca di un dissesto Luigi Franceschini e il Piccolo Credito, nei ricordi del figlio Ecco una bella foto “d’epoca” scattata nella nostra città di Ferrara sul piazzale di San Girolamo ( a sinistra si intravede la facciata del palazzo Mirogli-Tassoni ora sede della facoltà di lettere) ottanta anni fa. Pare una foto di turisti in giro per la città per scoprire le bellezze dei suoi angoli suggestivi e silenziosi...
Mistero e fili d’erba in Filippo De Pisis La ricomparsa dell’erbario raccolto in gioventù dal pittore ferrarese Molti protagonisti della cultura hanno allenato la propria sensibilità artistica raccogliendo erbe, fiori, fusti, da allisciare e comprimere tra fogli di carta “sugante”: i grandi naturalisti certo, che ancor oggi fanno ammirare –non solo ai botanici- preziose collezioni di campioni

Mezzo secolo di vita economica

Scritto da  Alfredo Santini

Alfredo Santini ed il Magnifico Rettore , professor Patrizio Bianchi.Economia, cultura, società nel ferrarese nell’ultimo cinquantennio: luci ed ombre, impulsi e freni.

Magnifico Rettore, Autorità, Signore e Signori, Ezio Vanoni, nella presentazione del Suo piano economico al Senato il 14 febbraio 1956, si congedava con queste parole: "…crediamo di aver fatto il nostro dovere presentandoci davanti a voi con il nostro volto, con la somma delle opere compiute, con la somma degli errori e dei meriti accumulati per sentire se voi siete ancora d’accordo nel sostenerci nella nostra opera futura… Noi sappiamo che qualunque cosa facciamo non riusciremo a guarire i mali del mondo; ma sappiamo anche che è nostro dovere operare con tutto il nostro ingegno, con tutte le capacità tecniche che abbiamo potuto accumulare in questi anni, nel senso di venire incontro alle profonde necessità degli uomini che soffrono nel nostro Paese". Non è un caso che, nell’affrontare il tema assegnatomi, abbia voluto esordire con l’ultimo discorso di Ezio Vanoni: la consonanza “spirituale”, la condivisione di un ideale politico, la congruenza di un impegno civile che furono forti richiami per me giovane impegnato in politica. Vanoni tracciava un bilancio degli anni della ricostruzione, difficilissimi per l’Italia: l’inflazione elevatissima; l’aumento vertiginoso del disavanzo dello Stato. Un’azione, quella della ricostruzione, che travalicava la sua persona, anche se ne era stato uno degli artefici principali. Il suo discorso, dedicato all’approvazione di linee di programmazione in materia di economia e finanza, si caricava però di un valore aggiunto. Egli parlava non da teorico, cultore di una disciplina astratta, ma da Ministro di un dicastero economico, al servizio dello Stato con la convinzione che sia l’economia pubblica a servire l’uomo, e non viceversa. In particolare, sosteneva che lo scopo della politica economica fosse quello di garantire a tutti un’esistenza libera e dignitosa e di mantenere la stabilità dell’occupazione assicurando nel contempo a ciascuno un adeguato compenso. Economia e società, dunque, nel discorso di Vanoni; e di economia e società vi vorrei parlare anch’io, con riferimento a quel particolarissimo territorio che è la provincia di Ferrara. Io sono figlio di un’epoca. La mia giovinezza è legata alle grandi intuizioni di Kennedy, al momento della contrapposizione fra cattolici e comunisti, però ricca di una grande idealità, convinti entrambi che operavamo per un’Italia migliore. Ed un profondo rispetto per le persone. Venivo dalle lezioni del Professor Opocher all’Università di Padova che suddivideva le grandi ideologie politiche in cicli storico-culturali e dallo studio dei grandi pensatori economici di varia estrazione. Eravamo alla ricerca della “terza via” tra capitalismo e collettivismo: idealità che il tempo ha dimostrato essere velleitarie per i risorgenti neo-colonialismi, per la forza delle multinazionali, per il dominio – oggi di scottante attualità – dei grandi speculatori monetari e finanziari. Negli ultimi 50 anni profondi e radicali cambiamenti hanno interessato la società e l’economia italiane e, in modo non sempre simmetrico, anche quelle ferraresi. Non ho l’intenzione di ripercorrere nel dettaglio le vicende economiche e sociali della nostra provincia nell’ultimo mezzo secolo, ma qualche rapido accenno ritengo doveroso farlo, perché sono da sempre convinto che non sia vero quello che ancora oggi alcuni affermano, e cioè che la nostra provincia sarebbe da molto tempo di fatto immobile, perché intenta soltanto alla contemplazione e alla celebrazione del suo passato, soprattutto di quello rinascimentale. Non è così perché anche da noi i cambiamenti, nel bene e nel male, sono stati molti ed importanti. Certo, altri climi e altra capacità di incidenza nelle scelte regionali e nazionali avrebbero dato risposte sicuramente più forti e più incisive. Il discorso è particolarmente vero per il Basso ferrarese. Scrivevo in due libri, l’uno del 1971, l’altro del 1989: "Nonostante leggi speciali, grandiosi interventi di bonifica, opere idroviarie, piani verdi, incentivi particolari, iniziative turistiche sembra quasi un’isola che caparbiamente resiste ad ogni sviluppo…"

 

A G R I C O LT U R A   E   B O N I F I C A

Il nostro è sempre stato un territorio nel quale la base della vita economica era rappresentata dall’agricoltura, che occupava, agli inizi degli anni ’50, circa 138.000 persone, poco meno dei 2/3 di tutti gli attivi della provincia; nel 2006 le forze di lavoro occupate in agricoltura erano poco più di 12.000, meno dell’8% del totale. Occorre ricordare la lotta, fino dall’epoca estense, per recuperare terra dalle acque ma anche difendersi da esse come nelle alluvioni del Reno e del Po nel 1951. Si pensi alla Società per la Bonifica dei Terreni Ferraresi, costituita a Londra nel 1871 ed oggi l’unica società agricola italiana quotata in Borsa. Gli anni ’50 e ’60 sono stati contrassegnati da elementi di grande novità. Pensiamo alla cosiddetta “Legge stralcio” del 1950, che prevedeva l’esproprio di alcune grandi aziende e l’assegnazione delle terre ai braccianti. Fu un’opera poderosa: acquisto di 65.000 ettari, di cui 57.000 assegnati e la creazione di 7.500 poderi nonché la costruzione di chiese, asili, scuole e la creazione di cooperative per la trasformazione di prodotti agricoli e centri di commercializzazione. I risultati però cominciarono a prodursi soltanto quando la pressione per ottenere l’assegnazione di terreni si era in gran parte attenuata: la maggior parte dei braccianti era infatti ormai migrata verso quello che allora chiamavamo “ il triangolo industriale”. Migliorarono le precarie condizioni di vita delle popolazioni della Bassa. Ricordo al riguardo due testimonianze fondamentali: il commovente scritto di Don Primo Mazzolari dal titolo Ho visto il Delta e uno splendido cortometraggio, sullo stesso tema, di Florestano Vancini: entrambi mettevano in evidenza una quanto mai cruda realtà di povertà, di fame, di degrado. Per molti anni la questione bracciantile e quella fondiaria hanno in gran parte polarizzato l’attività di Enti locali, Organizzazioni sindacali e Partiti: oggi tutto questo è soltanto un ricordo. Finirono alcune produzioni legate ai terreni e nacque una forte frutticultura: ne fu espressione la biennale frutticola internazionale Eurofrut. Alla 4° edizione parteciparono il Presidente del Consiglio, 4 Ministri e 32 Delegazioni ufficiali estere. Poi per varie ragioni, tutto finì, a vantaggio della Romagna e di Verona, anche se Ferrara ha mantenuto un ruolo importante. Né miglior fortuna ebbe un altro settore da sempre considerato uno dei pilastri della nostra economia agricola, la bieticoltura, largamente diffusa per l’abbandono della canapicoltura e in parte minore per il ridimensionamento della coltivazione del frumento. È di quegli anni una disposizione ministeriale per disciplinare la produzione della barbabietola mediante la sensibile riduzione dell’investimento colturale, cosa che non era gradita a nessuna delle categorie interessate: coltivatori, mezzadri, operai, industriali. Sarebbe stato più fondato il sistema di favorire le esportazioni dello zucchero con le facilitazioni connesse (rimborso dell’imposta di fabbricazione, tariffa ferroviaria preferenziale, ecc.). Come successe per il dumping francese per il vino, i premi per gli esportatori d’oltralpe di lino e riso, i premi all’Olanda per gli esportatori di burro e formaggio. Con l’adozione del sistema dell’esportazione delle eccedenze, il mercato interno si sarebbe normalizzato in un anno. Ma questo non avvenne. Ai giorni nostri l’unica vera azione politica comune svolta dall’Europa, dal trattato di Roma in poi, è stata esercitata proprio in agricoltura. Attraverso varie riforme, l’ultima in ordine di tempo la cosiddetta “revisione di medio periodo” in discussione in questi giorni a Bruxelles, si è passati dal sistema di sostegno dei prezzi, al sostegno delle produzioni sino al sostegno dei redditi ed agli incentivi agli investimenti. Da un mercato chiuso ed impermeabile a gran parte delle importazioni, l’agricoltura oggi, al pari degli altri settori produttivi, è pienamente coinvolta nel processo della globalizzazione. Tutte vere e proprie rivoluzioni silenziose. Così le aziende agricole ferraresi, spinte dal dopoguerra fino agli anni ’80 a produrre sempre di più, si sono trovate a fare i conti con le sovrapproduzioni, a dover introdurre nuove colture (come la soia di cui negli anni ’90, Ferrara con oltre 40.000 ettari è stata la 4ª produttrice europea) ed a perderne quasi completamente altre, come la barbabietola che l’ultima riforma europea dell’OCM (Organizzazione Comune di Mercato) ha quasi spazzato via dai piani colturali. Oggi le oltre 8.111 aziende (dati CCIAA al 31.12.2008), impegnate nella conduzione di circa 180.000 ettari di SAU, devono fare i conti con le crisi mondiali dei mercati, con la necessità di innovarsi continuamente, di rispondere ai nuovi indirizzi comunitari sul versante energetico, ambientale e sociale.

 

I N D U S T R I A

Per quanto riguarda il settore secondario ricordo soltanto che gli anni successivi alla conclusione della seconda guerra mondiale videro la chiusura di numerose fabbriche. Il nostro apparato industriale era nato in gran parte tra il 1936 e il 1943, in seguito alle forti agevolazioni all’insediamento di impianti nella nascente Zona Industriale di Ferrara voluta da Balbo. Era quindi frutto di scelte esterne alla provincia, realizzato con capitali esterni e volto, almeno in parte, alla trasformazione di prodotti agricoli. Alla fine della guerra molte fabbriche non furono in grado di riconvertirsi e di superare le difficoltà connesse con l’esigenza di adeguare le strutture autarchiche, che avevano caratterizzato la loro vita negli anni precedenti, alle nuove sfide derivanti dalla concorrenza, nazionale ed internazionale. Un apparato industriale, quello ferrarese, assai debole: al censimento del 1951 gli attivi nel secondario erano poco più di 41.000 (di cui circa 1/3 in aziende artigiane), pari nel complesso a poco meno del 20% del totale degli attivi. Alla metà degli anni ’50, si insediò a Ferrara il grande complesso della Montecatini. Questo nuovo stabilimento contribuì a caratterizzare la fase espansiva del settore manifatturiero ferrarese di quegli anni: l’incremento di occupati nel settore che si registrò tra il censimento del 1951 e quello del 1961 fu di oltre 14.000 unità. È da sottolineare che in quegli anni l’andamento della occupazione industriale differenziò la nostra dalle altre province emiliane. Se facciamo pari a 100 gli addetti, nel ferrarese, alle attività manifatturiere al cens. 1951, dieci anni dopo il valore da noi aumentò fino a 161 (un po’ meno di quello regionale, pari a 171): in quel periodo quindi il dato provinciale e quello regionale sono sostanzialmente in linea. Nel decennio 1961-71 prevalse una fase di stagnazione-recessione con un profondo processo di ristrutturazione, che vide la chiusura di varie unità produttive o il loro trasferimento fuori provincia. Il numero degli addetti ne risentì, anche in conseguenza delle forti innovazioni tecnologiche che interessarono molti cicli produttivi: alla data del cens. 1971, il dato provinciale e quello regionale divaricano: l’indice ferrarese è pari a 168, di poco superiore quindi a quello di dieci anni prima ed ormai assai lontano dal valore regionale, che era pari a 221. Questi confronti mi permettono di ricordare le vivaci discussioni che, negli anni ’70, animarono il dibattito politico relativamente alla “atipicità” della nostra economia provinciale rispetto a quella della restante regione. Una interpretazione, largamente maggioritaria, riteneva che il ferrarese fosse in una condizione di endemica debolezza strutturale, nella quale una serie di fattori impedivano o rallentavano fortemente la crescita e lo sviluppo, come era invece avvenuto e stava avvenendo in gran parte della restante regione. Un altro elemento di atipicità nella nostra provincia era rappresentato dalla presenza di grandi aziende: la Burgo, la Solvic e la Montecatini a Ferrara, la Bertoni e Cotti a Copparo, la VM ed il Gruppo Fava a Cento. Negli anni del boom economico nazionale e regionale la nostra economia provinciale era in una condizione di sofferenza rappresentata dalle migliaia di migranti che abbandonavano il Ferrarese. Peraltro cominciarono a crescere anche in alcune aree della Provincia, il settore artigianale e della piccola e media industria: le zone maggiormente interessate furono il Ferrarese e il Centese e, anche se in misura più contenuta, l’asse della strada Romea, la cui apertura aveva tolto da un secolare isolamento il nostro litorale. Grazie a questa infrastruttura cominciarono a prendere corpo i Lidi ferraresi. Ma non si tratta della diffusione verso il Ferrarese delle esperienze e delle modalità di sviluppo del settore turistico balneare già realizzate con successo nel confinante litorale romagnolo; da noi la nascita e la crescita dei Lidi fu realizzata attraverso un intenso sviluppo residenziale. Occorreva riscrivere il nostro futuro partendo dal Basso Ferrarese, dal Delta. Ed ecco, in prima fila, Giorgio Bassani a Comacchio, al Convegno di Italia Nostra per una valorizzazione del patrimonio urbanistico, vallivo e litoraneo comacchiese. Anche la Cassa di Risparmio di Ferrara ebbe un ruolo di primaria importanza nella crescita del territorio. Essa ha sempre seguito i processi di crescita così come gli eventi calamitosi che si sono abbattuti sulla Provincia. Nello svolgere i compiti statutari propri di una banca, essa è intervenuta anche nel sociale. Ricordo, tra gli altri, la costruzione, voluta e finanziata direttamente negli anni ’60, di un villaggio nella zona del Barco, che fu in seguiti chiamato “villaggio Cassa di Risparmio”. L’iniziativa si concretizzò nella consegna dapprima di 120 appartamenti, seguiti successivamente da altri 48, infine fu realizzato il Centro Sociale. Negli anni ’80 la Cassa intervenne nuovamente nella zona del Barco e vi realizzò un asilo nido dedicato alla memoria del defunto presidente Onorevole Mario Cavallari. Negli anni ’70 prese avvio una stagione nuova, in attuazione del dettato costituzionale e della conseguente nascita delle Regioni. È una fase nella quale il ruolo dell’operatore pubblico, alle diverse scale, evolve positivamente verso politiche di riequilibrio socio economico del territorio. Le aspettative furono forse troppe e troppo ingenue, almeno inizialmente, ma vi era un clima nuovo ed una volontà di collaborazione che avrebbe in seguito portato al superamento di alcuni ostacoli politici, all’avvio di una ricerca comune (penso all’esperienza, interessante ma effimera, dei due comprensori del Ferrarese) e ad una serie di progetti condivisi. Le forze politiche, economiche e sociali ferraresi formularono un piano di interventi per nuove iniziative e costituirono società promozionali di scopo al capitale delle quali partecipò, assieme agli Enti locali, anche la Cassa di Risparmio di Ferrara. Ricordo in particolare la SIPRO oggi valida Agenzia Provinciale per lo Sviluppo. Sono gli anni nei quali, tra gli altri, si inizia a concordare, tra istituzioni, partiti politici e associazioni dopo anni di divisioni, su una serie di grandi progetti infrastrutturali. Non può non far riflettere il fatto che ancora oggi, a oltre 30 anni di distanza, alcuni di quegli importanti progetti siano ancora molto lontani dalla completa realizzazione. Abbiamo sprecato anni a discutere se fosse più opportuna la Cispadana o la Transpadana, senza renderci conto che si trattava di due assi con funzioni diverse; ma una volta scelta la Cispadana, deciso quindi che la priorità era quella di assicurare un efficace collegamento regionale con l’Autobrennero e con il Parmense, bisognava procedere con sollecitudine, e invece siamo ancora agli inizi. L’unica tratta realizzata è il raccordo autostradale Ferrara – Porto Garibaldi che, tra l’altro, è oggi del tutto inadeguato al ruolo che deve svolgere. Se la Cispadana piange, un altro grande intervento, la variante all’Adriatica tra Ferrara e Ravenna, certamente non ride: da anni il nuovo tracciato si interrompe a Consandolo e soltanto di recente si è concretizzata la ripresa dei lavori. La Romea scoppia: traffico turistico e traffico pesante non possono convivere, e la discussione su come alleggerire l’asse stradale litoraneo (per inciso ricordo che si tratta di uno dei più pericolosi d’Italia) non riesce a concludersi: ai miei tempi si parlava del prolungamento della E7 verso Venezia, oggi si parla della E45, ma la sostanza non cambia e la soluzione appare tutt’altro che vicina. Il Ferrarese soffre quindi ancora di un pesante e penalizzante deficit quanto ad infrastrutture stradali, mentre è sufficiente la situazione relativa alla rete ferroviaria. Sembrano partire i finanziamenti per l’idrovia. Mi permetto di osservare che, se è stato opportuno rinunciare a progetti senza reali prospettive, tenuto conto che nel frattempo sono scomparse occasioni interessanti di collegamento (Italsider, ecc.), l’idrovia comunque c’è e può rappresentare un elemento in grado di costituire un vantaggio differenziale per il nostro territorio. Negli anni ’80 si verificò una svolta nelle prospettive di crescita con l’avvio di una riflessione nuova e largamente unitaria (si parlava allora di “patto per lo sviluppo”). Grazie ad una serie di fattori convergenti si puntò al rilancio del nostro territorio attraverso la valorizzazione del patrimonio storico, culturale ed ambientale come, ad esempio il Parco Regionale del Delta del Po. A questa scelta fecero seguito iniziative coerenti e di grande spessore: penso al progetto volto al recupero splendido delle mura estensi - che coinvolse anche numerosi contenitori storici - e alla realizzazione di grandi mostre in grado di suscitare interesse a livello nazionale ed internazionale. Negli anni ’90 cambia letteralmente il mondo: il muro di Berlino era caduto nel 1989, nel 1990 la Germania si era riunificata e l’anno dopo l’URSS implose. Scompare il mondo bipolare, molti Paesi dell’Europa orientale, ex satelliti dell’URSS, iniziano una rapida marcia di avvicinamento verso occidente, attratti dalle prospettive offerte dall’Unione europea, nella vicina Iugoslavia scoppia una sanguinosa guerra tra le ex repubbliche federali. Sono anni nei quali i grandi cambiamenti politici sono accompagnati dalla ennesima crisi economica internazionale, ed anche l’economia ferrarese è pesantemente coinvolta. In quel periodo, e anche successivamente, sono state chiuse molte aziende artigianali e industriali, ma però hanno preso corpo anche nuove iniziative, in grado di assicurare produzioni di qualità ed occupazione anche se è forte il pendolarismo (si calcola che circa 11.000 persone ogni mattina si rechino al lavoro fuori provincia). Oggi siamo costretti a modificare metodi e approccio ad una nuova architettura dei mercati. Diceva nel 500 a.C. il filosofo greco Eraclito che "non vi è nulla di permanente eccetto il cambiamento". Ciò che addolora è che buona parte dei nostri guai finanziari sono il frutto di attività di banchieri senza scrupoli, al di qua e al di là dei vari oceani e sempre per speculazioni, arrivismo e mancanza di dignità. Torniamo a noi, alla realtà ferrarese. Mi limito a ricordare poche cose, positive e negative, ma importanti e significative. Innanzitutto la forte diminuzione dell’analfabetismo, una piaga che ha sempre contraddistinto il ferrarese: il tasso di analfabetismo è passato da poco meno del 12% nel 1951 a circa l’1% nel 2001, un dato in linea con quello delle province finitime. Consistente anche l’incremento del tasso di scolarizzazione media superiore e universitaria, che era pari al 4% circa nel 1951 e ha toccato quasi il 25% cinquanta anni dopo. Più che raddoppiata la quota delle donne laureate: erano poco più del 22% nel ’51 per arrivare ad un abbondante 57% nel 2001. Sono dati importanti perché sono convinto che gli investimenti nell’istruzione, così come quelli nella ricerca (e lo dico guardando il Rettore), siano giusti e necessari non soltanto dal punto di vista sociale ma anche di grande rilevanza strategica per aumentare il livello di competitività del nostro Paese. Tra i dati negativi vi è quello legato all’età dei ferraresi. L’indice di vecchiaia provinciale, che indica il numero di ultrasessantacinquenni per ogni 100 persone con età inferiore ai 15 anni, è passato da 32,3 nel 1951 a 263,3 nel 2001, un valore, quest’ultimo, quasi doppio rispetto a quello nazionale. In base ai dati della Camera di Commercio (dati 2007) sarebbe peraltro in atto una seppur lieve inversione di tendenza, dovuta in gran parte ai flussi immigratori, costituiti per lo più da giovani. Dal fatto di essere una comunità sempre più vecchia consegue anche che diminuisce sempre più il numero di coloro che sono in età lavorativa, così com’è testimoniato dall‘andamento dell’indice di dipendenza, che è passato da 45,4 nel ’51 a 51,6 nel 2001. I dati della Camera di commercio (nel 2007 l’indice era pari a 55,9) ci dicono che la situazione sta rapidamente peggiorando. Anche in questo caso il dato è un po’ più elevato di quello regionale (54,9) ma si stacca nettamente rispetto a quello nazionale (51,6). Penso che siamo tutti pienamente consapevoli delle implicazioni economiche e sociali (in termini di previdenza, assistenza e spesa sanitaria) che sono connesse all’andamento di questi due indici. Magnifico Rettore, finora ho parlato di alcune questioni economiche e sociali del Ferrarese, ma intendo riservare gli ultimi minuti di questa mia esposizione ai rapporti con la cultura e al ruolo della Cassa di Risparmio di Ferrara.


E C O N O M I A   E   C U LT U R A

In primo luogo ricordo il legame sviluppo economico-cultura con le enormi potenzialità, a cominciare dall’indimenticato prof. Antonio Rossi per arrivare ai traguardi internazionali raggiunti dall’Università di Ferrara. Questa città ha trovato nelle attività e nelle iniziative culturali uno spazio di grande rilievo. Pensate all’accordo fra il Comune e la Cassa di Risparmio di Ferrara (allora non c’era ancora la Fondazione) per la creazione di Ferrara Musica, e cosa portò questa iniziativa alla Città e al suo Teatro. Penso ai concerti che settimanalmente la RAI TV trasmetteva, grazie alla presenza carismatica del maestro Claudio Abbado e delle grandi orchestre che qui divennero residenti come la Chamber e la Malher. Ho sempre creduto che la crescita di un territorio non abbia solo significati economici. Una consapevolezza mi ha sempre accompagnato: il comune sentire della città è stato ed è quello, assai pronunciato, della sua valenza culturale, del retaggio che l’accompagna, dell’ineliminabile e insostituibile passato che è garanzia e “marchio di fabbrica” per il futuro. Sia che questo carattere si esplichi in modo spontaneo e autonomo nell’associazionismo culturale, sia che venga istituzionalizzata in organismi di diffusione e di promozione della cultura, è sempre presente una fondamentale scelta economica che accompagna, stimola, garantisce il naturale percorso della cultura. Basti qui ricordare Ferrara Arte promotrice di mostre che hanno attirato nella prestigiosa sede di Palazzo dei Diamanti un considerevole numero di visitatori, e l’attività che svolge l’Istituto di Studi Rinascimentali a livello internazionale. L’apporto economico della Cassa di Risparmio ha consentito l’acquisizione di parte delle grandi collezioni d’arte che ora sono un momento fondamentale del patrimonio pittorico affidato alla Pinacoteca Nazionale di Palazzo dei Diamanti. Da quelle storiche come la Vendeghini- Baldi e la Massari all’importante acquisizione – da parte della Fondazione – dell’eredità Strozzi. Di grande valore fu la prestigiosa collana sulla pittura ferrarese, - edita dalla Cassa di Risparmio - fondamentale strumento di conoscenza critica e di recupero storico. Oggi Ferrara è il centro italiano del grande museo Hermitage. Infine l’operazione più necessitante e necessaria per restituire alla città un volto non sfregiato dal tempo e a volte dall’insipienza umana: il restauro. Dopo quello storico della Palazzina di Marfisa a cura della Cassa di Risparmio, l’ultimo cinquantennio ha visto aprirsi una serie di cantieri che hanno restituito alla città il suo volto splendente: il Catino Absidale di San Paolo, la Sala dei Giochi del Castello, Schifanoia, il nuovo Museo della Cattedrale, il Monte di Pietà, l’abside del Duomo, il recentissimo ed esemplare progetto della Fondazione Carife che ha riportato il Tempio di San Cristoforo allo splendore di un tempo. Il percorso storico-economico che ho tracciato mi porta a concludere che la nostra provincia è rimasta a lungo prigioniera di un eccessivo “schematismo ideologico” dovuto, forse, alla diversa impostazione politica dominante, sicuramente non molto incline all’innovazione ed alla competizione internazionale. Un secondo problema è rappresentato dalla massiccia presenza di capitali stranieri nella proprietà di grandi aziende. Non si tratta tanto di una aprioristica avversione al capitale straniero quanto del fatto che le nuove centrali decisionali di queste aziende sono lontane da noi e sono portatrici di una logica manageriale diversa. In particolare la provincia di Ferrara è ancora condizionata da un tessuto industriale troppo fragile che ha bisogno di essere irrobustito da politiche condivise. La dimostrazione di quanto importante sia una scelta del genere è data da ciò che sta avvenendo in questi mesi di straordinaria crisi mondiale, prima finanziaria e poi economica. Ferrara proprio per la sua debolezza rischia di pagare più di altre province le conseguenze di questa crisi. L’obiettivo da tutti condiviso di uno sviluppo equilibrato non può prescindere dall’esigenza di rafforzare il settore manifatturiero senza il quale anche i servizi, ed il terziario in genere, non potranno crescere ai livelli necessari. Chi conosce il mio pensiero sa che non perdo occasione – nei momenti difficili – di ritenere indispensabile una politica di maggiore coraggio e non di rassegnazione. Il coraggio come mezzo e non come fine. Essere coraggiosi, non per essere applauditi, ma per raggiungere, con efficacia e con determinazione, gli obiettivi prefissati. Si pensi all’epoca in cui piccole banche o Casse entrarono in grandi Gruppi. La Fondazione di Ferrara – già con la presidenza di Silvio Carletti – decise che il bene più prezioso era l’autonomia. Venni chiamato alla Presidenza della Cassa con queste direttive. Da allora, pur fra difficoltà ma con forte impegno, abbiamo oggi un gruppo bancario di tutto rispetto. E che la nostra gente ci sia vicina lo dimostra il recente aumento di capitale sociale, conclusosi anzitempo per l’adesione di tutti i nostri azionisti. E noi ora risponderemo con impegno a questa adesione. Questo non vuol dire solamente fare tutto il possibile per aiutare le aziende in difficoltà, ma anche saper individuare e sostenere quegli imprenditori che reinvestono parte dei loro utili sulla città, dimostrando quella sensibilità sociale che sta alla base di un buon rapporto tra l’azienda e la propria comunità. Ecco il desiderio di questa mia “lectio”: che Ferrara, nell’insieme delle sue componenti, trovi la strada maestra per superare gelosie d’ambiente. Ne parlo non in senso negativo – sono parte anch’io di questa realtà – ma passano gli anni (è vero che sono un neolaureato) e vorrei poter concludere ancora una volta con ciò che disse Vanoni : "Per il futuro non vi proponiamo strade colme di rose, ma vi ripetiamo quello che tante volte ho avuto occasione di dire: noi possiamo risolvere gran parte dei problemi del nostro Paese". Che, tradotto in ferrarese, vuol dire: una comunità che sappia esprimersi in unità di intenti su comuni obiettivi e con forte coraggio e speranza. Come credente, accolgo e faccio mio l’invito di Sua Eccellenza l’Arcivescovo, monsignor Paolo Rabitti: "Auguro ai Ferraresi un sussulto di fierezza… alla nostra Città che corrisponda un avvenire di lungimiranza nell’imprimere ai cittadini pari bellezza di convivenza, di solidarietà, di cultura, di inventiva." Le guide amministrative della città e della provincia, l’Università, l’imprenditorialità esistente e la banca locale debbono diventare sempre più centro di unificazione, ma soprattutto di una progettualità realizzativa che responsabilizza istituzioni e persone, per la crescita dell’intero territorio e della sua gente, cioè noi tutti.