economiche profuse per rendere possibile un servizio, a detta di tutti "insostituibile", eppure maltrattato alla stregua di un "lusso" che non ci si può permettere, perché "l'emergenza" – a 360 gradi – la fa sempre da padrona. Capitoli di bilancio assai pingui un tempo remoto, si assottigliano spaventosamente e in modo inesorabile – facendo impallidire, al confronto, le diete dimagranti più feroci – sino a sparire del tutto, per un colpo di bacchetta dell'illusionista di turno. Anche le targhette vogliono dire: da "Antichità e belle arti" – si chiamava così la Direzione Generale del Ministero della Pubblica Istruzione da cui dipendevano soprintendenze e musei –, a "Beni culturali", ministero ad hoc creato nel 1974. Come ha osservato acutamente Salvatore Settis in un celebre testo del 2002, a nessuno sfugge la differenza insita nei nomi stessi, perché, se il primo si concentrava sui contenuti sottoposti a tutela, il secondo fa riferimento non solo al significato culturale ma al suo valore patrimoniale: perché – si diceva – occorreva puntare al valore monetario per ottenere più finanziamenti per la tutela, in un paese in cui si spendeva troppo poco per valorizzare il proprio ingente patrimonio. Un dicastero a sé sembrava essere un'ottima idea: a patto che fosse accompagnato da una crescita degli investimenti, cosa che non solo non è avvenuta ma, per un paradosso tutto "italiano", proprio tale "nascita" ha decretato il progressivo isolamento, l'inarrestabile marginalizzazione dei beni culturali, e quel che è peggio la decadenza della macchina amministrativa. Figure deboli, quelle succedutesi in questo incarico, istituzionalmente fragili, con scarso peso contrattuale nell'ambito della compagine: da "petrolio d'Italia", antichità, belle arti, monumenti (e documenti), sono divenuti "figli d'un dio minore" nel volgere di un breve lasso di tempo. Ebbene, in tanta desolazione, un documento datato 2 marzo 1959 e appartenente all'Archiviodi Deposito del Comune di Ferrara, reperito con difficoltà e pari soddisfazione da parte nostra, arricchisce, non solo il panorama storico dell'evento a cui è connesso, ma contiene una profonda riflessione sul rapporto, ora quanto mai travagliato, tra "cultura" e "bilancio". Tutto ciò è stato possibile grazie alla grande disponibilità del dott. Giampiero Nasci, responsabile dell'Archivio Storico Comunale, al suo staff, nonché al personale dell'Archivio di deposito, ai quali va il nostro ringraziamento più sincero: l'aver compreso l'importanza di far conoscere un documento così importante costituisce un omaggio alla "cultura degli archivi aperti", mai celebrata a sufficienza. Il documento in parola è il verbale del Consiglio Comunale che in tale data approva l'acquisto «dal sig. Leonardo Lapiccirella di un esemplare della Bibbia stampata a Venezia nel 1476 da Nicola Jenson con postille autografe di Girolamo Savonarola». Fin troppo noti i fatti, li riassumiamo brevemente qui, per comodità dei lettori, attraverso la ricostruzione di Francesco Loperfido, l'assessore alla Cultura di allora. Viene offerta – tramite l'interessamento fondamentale del bibliofilo ferrarese, Renzo Bonfiglioli – la Biblia Latina savonaroliana: 467 carte su 470 di cui si compongono gli esemplari integri, delle quali 250 postillate da fra' Girolamo tra il 1479 e il 1482 durante il noviziato ferrarese di Santa Maria degli Angeli. Altri particolari su tale cimelio, si possono desumere dalla monografia di Mario Ferrara, uno dei massimi esperti del domenicano, alla quale si rimanda per brevità. Appartenuta sino al 1926 ai marchesi Meli Lupi di Soragna, viene acquistata dall'antiquario Tammaro De Marinis, mecenate e bibliofilo, apprendista del libraio napoletano Riccardo Marghieri: da Napoli a Firenze, prima collaboratore di Leo Olschki, poi nel 1904 in proprio, con una bottega fino al 1924. La "Librairie Ancienne T. De Marinis & C." di via Vecchietti 5, non era nuova a scoop del genere: in un catalogo, "Manuscrits Autographes Incunables et Livres Rares" del 1911, al numero 86, offriva una Lettre autographe par Savonarola Girolamo, signée, addressée à Ludovico il Moro Duc de Milano «Ex conventu S.cti Marci florentiae die xj aprilis 1496»: lunga lettera inedita della massima importanza, scrive l'antiquario. Da De Marinis a Filippo Sartoni di Marradi, che nel 1957 per primo sospettò l'autore delle postille; sino ad Erwin Rosenthal, libraio statunitense, e al suo emissario italiano, Lapiccirella. Costui, a Firenze, da via Rondinelli 2 si trasferisce in via Borgognissanti, 50-52, la via di Palloni, Bruzzichelli, La Spiga, Orselli: domiciliato in questa sede, partecipa alla capostipite delle mostre antiquarie, quella di palazzo Strozzi dal 12 settembreall'11 ottobre 1959, come espositore e come membro del comitato esecutivo. E veniamo al dibattito in Consiglio Comunale. La professoressa Adolfina Melloni, mitica preside della "Tasso" e consigliere per il PLI, contestò la «frettolosità» con cui sarebbero state condotte le trattative, l'esosità della cifra richiesta, senza che si fosse fornita una contro offerta più «ragionevole e vantaggiosa» per il Comune, con un bilancio in affanno, alle prese con i problemi delle povertà «dei tuguriati» ad esempio. Sorvoliamo sulle
schermaglie consiliari, e andiamo all'intervento del sen. Mario Roffi, che cerchiamo di riportare in modo conciso ma fedele. «Non ritengo che si debba mai istituire un paragone, un confronto, quando si fa una spesa di carattere culturale e direi anche civico come questa, con altri bisogni ed altre necessità [...]; se il nostro Paese, non essendo riuscito a risolvere questi problemi [delle abitazioni, della disoccupazione] avesse chiuso le Pinacoteche, le Biblioteche, avesse chiuso tutto quello che di patrimonio artistico e culturale noi possediamo, non solo non avrebbe risolto i problemi delle abitazioni, della disoccupazione ed altri che ci angosciano, ma anzi avrebbe fatto sì che anche in questo settore puramente economico e sociale il nostro Paese sarebbe ancora più arretrato di quanto, purtroppo, non sia. È tempo, finalmente che in Italia si faccia giustizia della classificazione come spese voluttuarie di tutte quelle spese che attengono alla cultura in generale e in particolare a questo tipo di cultura, che è la conservazione dei nostri monumenti, siano essi di carattere architettonico o di carattere librario come quello di cui parliamo in questo momento... attinenti a tutto quello che noi sappiamo costituire: un patrimonio non soltanto di altovalore spirituale, ma di alto valore economico e commerciale... Per questi motivi, noi riteniamo che si tratti non di una spesa improduttiva, non di una spesa voluttuaria, ma di una spesa che ha la stessa legittimità che hanno tutte le spese di carattere sociale che noi facciamo del resto in proporzione ben maggiore, com'è giusto, per le strade, per le scuole e per tutto il resto di cui il nostro bilancio sarà una piena testimonianza».





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Scritto da Andrea Nascimbeni e Leopoldo SantiniSi conserva all'Ariostea un importantissimo cimelio librario, la cui acquisizione scatenò polemiche quanto mai attuali
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Num. 32