Nuove proposte per 'Kairos e Metanoia' di Girolamo da Carpi
Nello scorso numero di Ferrara Voci di una città, Jadranka Bentini ha narrato le vicende della settecentesca "Vendita di Dresda", che portò nella città tedesca un importante nucleo di opere d'arte ferraresi. Tra esse c'è un dipinto realizzato nel 1541 per la corte estense da Girolamo da Carpi, oggi vanto della Gemäldegalerie. Sullo sfondo di un ampio panorama, sotto un cielo plumbeo e minaccioso, ammiriamo due figure di giovani bellissimi, l'una maschile e l'altra femminile, abbigliate all'antica. Lui, sovrumano, ha i piedi alati che si posano appena su una sfera, e alza la mano destra che regge un rasoio: la sua chioma bionda e riccioluta (corta dietro e lunga sulla fronte) è portata in avanti dal vento impetuoso che soffia dal cielo rabbuiato. Lei, che sembra diretta altrove, nel momento colto dal pittore volge all'indietro la testa coperta da un velo bianco dal quale sfuggono capelli anch'essi biondi e ondulati, ma senza alzare gli occhi, rimanendo in gran parte nell'ombra del corpo di lui, e il volto riceve comunque un riflesso di luce che ne scolpisce i lineamenti assorti in una espressione piena di mestizia. Capire il senso di questa scena è da sempre difficile, anche perché il dipinto non è integro (forse fu ridotto per adattarsi a spazi nuovi, ma, come pensa Stefano Pierguidi, anche per modificare i pesi simbolici) ed è stato voluto fin dall'inizio come prodotto sofisticato di una cultura che si compiaceva di stratificare fino all'eccesso e alla vertigine i significati delle parole, delle storie e delle cose. Kirsten Faber, nel catalogo della mostra Il Trionfo di Bacco. Capolavori della scuola ferrarese a Dresda (Castello Estense, 2002-2003) ha intitolato il quadro Kairos e Penitentia: fin da Vasari il giovane effigiato è stato identificato con Occasione, o meglio, secondo altri, la sua versione greca e maschile, Kairos, che allude al Caso fortunato che si deve prendere al volo, cioè "per il ciuffo di capelli", dato che la nuca è tenuta liscia dal rasoio, a rappresentare l'ineluttabilità della mancata prontezza nel decidere di afferrare l'occasione, vale a dire, mal ve ne incoglie se Fortuna le spalle vi volta / (Che non però nel crin presa tenete)... come scrive Ariosto, Orlando Furioso, XXX, 35. Lo sfondo corrucciato allude certo alla Fortuna, dato che al tempo la parola significava anche "tempesta". La melanconica compagna di Kairos è per lo più detta Pazienza, ma Rudolf Wittkower (1937) preferì vedere in lei la Penitenza. Le tematiche del quadro si richiamano a rare fonti antiche, più conosciute attraverso repertori e raccolte, che in originale: eccelleva nella compilazione di questo genere Lilio Gregorio Giraldi, autore del coltissimo trattato di mitografia De deis gentium. Lilio è considerato da Wittkower il motore delle simbologie del quadro di Girolamo da Carpi, e però si sa Lilio dipende qui da altri autori, soprattutto da Erasmo da Rotterdam e dai suoi Adagia. I misteri del dipinto legano infatti Erasmo da Rotterdam e la cultura ferrarese del Cinquecento. Silvana Seidel Menchi (2005) ha chiarito che è proprio dall'influenza di Erasmo sugli umanisti estensi che l'idea ha preso forma. Per l'impronta di Giraldi, rimarco che, sebbene il suo trattato abbia avuto una lunga gestazione, e potrebbe essere stato conosciuto precocemente da un ristretto pubblico di amici, la prima edizione è del 1548, quindi, se si accetta il 1541 come data del dipinto carpiano, esiste la possibilità che si possano addirittura rovesciare i termini della questione, dato che Lilio ha senza dubbio tratto materia dalla radice erasmiana: Lilio conosceva gli scritti di Erasmo fin dal 1507, lo dice in una dedica a Giovan Tommaso Pico della Mirandola di un suo libro su temi pitagorici, dove si cita il "dottissimo" Erasmo, che studiava la stessa materia. In seguito avrebbe ancora apprezzato – egli stesso ne fa parola nei Due dialoghi – il Ciceroniano e il Lexicon di Erasmo. La traccia di Erasmo in Giraldi è ben spiegata da Manlio Pastore Stocchi in Kairos, Occasio: appunti su una celebre ecfrasi (2004), con i risvolti che si celano nella tematica che è anche quella del dipinto carpiano, fin dall'antichità prediletta per i suoi aspetti filosofici, e celebrata con una famosa statua di Lisippo (o, per altri, di Fidia). La Ferrara del Cinquecento è stato il luogo privilegiato in Italia dei cultori di Erasmo, una sorta di "prima città di Erasmo" (Carlo Bassi), dato che è in alcuni edifici ferraresi che il messaggio erasmiano ha travalicato la parola scritta per toccare l'arte. Si tratta di due palazzi che, come ho potuto dimostrare nel 1998, recano in facciata tabelle marmoree incise con frasi tratte dagli Adagia di Erasmo da Rotterdam, ricchissime di messaggi etici, politici e culturali, e portano la firma di Girolamo da Carpi architetto: il Naselli-Crispi (entro il 1537), e il Contughi-Gulinelli (1542) voluto da Girolamo Mario Contughi, un intellettuale poliglotta, astrologo, discendente di Guarino da Verona, amico degli erasmiani ferraresi, come Celio Calcagnini, e di Girolamo da Carpi, al quale commissionò come mecenate le scenografie della prima tragedia moderna in volgare, l'Orbecche di Giovan Battista Giraldi Cinzio, che era parente di Lilio. Dicevo degli Adagia, una raccolta immensa di proverbi, modi di dire, frasi celebri, stampata per la prima volta a Parigi nel 1500. Nel 1508 Erasmo fece sortire dai torchi veneziani di Aldo Manuzio, il più celebre tipografo del Cinquecento (che studiò anche a Ferrara, presso lo zio di Contughi, Battista Guarini) una nuova edizione, accresciuta, degli Adagia: sei anni dopo veniva pubblicata a Ferrara una raccolta gemella, Erasmi Rotherodami Proverbiorum Chiliades tres, et totidem centuriae, presso Giovanni Mazzocchi da Bondeno. Nell'edizione ferrarese è riportato un adagio (n. 301), che non comparirà negli accrescimenti successivi come proverbio indipendente (a volte Erasmo accorpava materiali omogenei): Occasionem arripere, che si svilupperà in Fronte capillata, post est occasio calva, un invito a cogliere l'occasione al volo, perché Kairos è un dio fugace. Questo adagio (entro il più ampio Nosce te ipsum, che troviamo anche, certo non per caso, inciso in una tabella del cortile di palazzo Naselli) sarà arricchito, nella edizione di Basilea del 1515, di citazioni da rare fonti antiche, sulla cui base Seidel Menchi vede nella mesta giovane velata del quadro Metanoia, che in greco svela la personificazione colta del Pentimento. La committenza del dipinto è di solito data al duca Ercole II, ma vorrei fare una proposta nuova. Leggere ed esibire la conoscenza di Erasmo fu possibile senza rischi solo fino a una certa altezza cronologica, e già i due palazzi ferraresi "erasmiani" toccano un periodo in cui il sospetto di eterodossia verso l'opera dell'umanista diventava sempre più forte. Le sue opere furono poi messe all'Indice, come testimonia l'esemplare dei Proverbia 1514 della Biblioteca Ariostea, dove una serie di prudenti linee d'inchiostro copre quasi del tutto il nome di Erasmo. Il duca non avrebbe avuto alcun vantaggio nel palesare una posizione filo-erasmiana, anzi, poteva essere pericoloso, e ben si sa come egli cercò sempre di dimostrarsi del tutto fedele alla chiesa di Roma. Alla corte di Ferrara, però, c'era qualcuno che non temeva le conseguenze di una adesione alle idee di Erasmo, e alludo alla duchessa, Renata di Francia. Renata faceva leggere alle sue figlie l'Esopo, le parafrasi al Nuovo Testamento e i Colloquia di Erasmo. Un protetto della duchessa, il poeta Marot, tradusse in francese uno dei Colloquia per le figlie di Madame de Soubise, potente dama di compagnia di Renata. Nel 1549 Pietro Lauro da Modena dedicò a Renata la traduzione italiana degli stessi Colloquia. Sarebbe stata una iniziativa degna della duchessa, e congruente con le sue idee, quella di far costruire da un intellettuale capace e complice una iconografia ispirata a Erasmo, per farla poi dipingere da un artista vicino ai protagonisti della élite erasmiana ferrarese. In questa luce vedremo nella tela non solo la Metanoia del mito, ma anche quella cristiana, legata al concetto di Conversione. Si dice che questo capolavoro ornasse le stanze private di Ercole II: è plausibile che, sottratto a Renata o magari da lei rifiutato, e mutato negli equilibri narrativi con una rifilatura, ne siano stati prudentemente smorzati i significati più nuovi nell'inserirlo in qualche ambiente dove l'associazione con altre opere di diversa intonazione potrebbe averne in apparenza variato il senso e l'effetto.