Un ricordo di Antonio Sturla, figura di spicco del cinema ferrarese
Ferrara vanta nel campo cinematografico un personaggio che è stato fondamentale per il cinema ferrarese e che era in prima linea come cineoperatore ai tempi del pionierismo. Ci riferiamo ad Antonio Sturla che già a sedici anni approdava a Roma per lavorare alla famosa Casa di produzione Cines come aiuto operatore. Vi arrivò, molto probabilmente, in seguito ai suoi contatti con la produzione del film Parisina. Un amore alla Corte di Ferrara nel XV secolo diretto da Giuseppe De Liguoro nel 1909 e, forse, anche di Lucrezia Borgia di Mario Caserini realizzato nel 1910. Appassionato com'era di fotografia è immaginabile che fosse affascinato dalle riprese che avvenivano a Ferrara e che contattasse i responsabili di quei film per trovare una propria collocazione nel cinema. Da qui il trasferimento a Roma, da dove tornò nel 1912 quando alla Cines vi fu un gravissimo incendio. Grazie al veneziano Almerico Roatto, regista e produttore proprietario nella nostra città di sale cinematografiche tra cui l'Edison, Antonio Sturla iniziò la sua attività di cineoperatore. Nacque così la "comica finale" di Chino Colussi Sotto a chi tocca che aveva come protagonisti due macchiette ferraresi molto note, il "cavalier Burela" e "Tugnin d'la cà d'Idio", che erano un po' il Don Chisciotte e il Sancio Pancia cittadini. Nello stesso anno Antonio Sturla fu l'operatore del film Il baratro, che può essere considerato il primo lungometraggio (una quarantina di minuti) di produzione ferrarese. Era un cinedramma passionale in due tempi, nato dall'omonima commedia drammatica del ferrarese Carlo Gamberoni, rappresentata successivamente. Era interpretato da attori della filodrammatica "Città di Ferrara" diretta dallo stesso commediografo ed era ambientato in qualche strada della vecchia Ferrara e nella campagna ferrarese, mentre gli interni erano stati realizzati in un cortile con fondali che rappresentavano di volta in volta stanze da letto, osterie, cucine ecc. Per illuminare gli ambienti, come riferiscono le cronache locali, vennero utilizzati grandi lenzuoli che riflettevano e moltiplicavano la luce solare. Espedienti che testimoniano già la capacità tecnica del nostro concittadino. Sia la "comica finale" che il film, proiettati al cinema Edison, ebbero un grande successo di pubblico. Da allora Antonio Sturla, nato a Ferrara il 22 luglio 1894 e morto nella sua città il 22 agosto 1968, iniziò un'attività di cinereporter che lo portò a essere testimone degli avvenimenti più salienti della propria città fino a quando partì per la prima guerra mondiale dove fu corrispondente di guerra aggregato al servizio Cinematografico del Comando Supremo con base a Nancy, presso Parigi. Sue sono le riprese di importanti fasi del conflitto, tra cui la presa di Verdun, la battaglia dell'Adamello, il recupero dei resti (e dell'aereo) di Francesco Baracca e le sue esequie, la presa di Gorizia. Finita la guerra, ha documentato le cerimonie e il trasferimento al Vittoriano del Milite Ignoto e negli anni Venti e Trenta è stato a Tripoli per conto del Museo Coloniale per documentare alcuni significativi avvenimenti. Come inviato speciale della Reale Società Geografica Italiana, è stato poi in India, Ceylon e alle pendici dell'Himalaya, dove nella Città Santa fu ammesso, eccezionalmente, alla presenza del Dalai Lama. Di questo viaggio vi è un importante documentario realizzato nel 1935 per conto dell'Istituto Luce. Dei suoi viaggi Antonio Sturla effettuava anche una documentazione fotografica. Un documento importante è la foto di Gandhi sulla soglia della sua cella nelle prigioni inglesi in India. E anche un reportage sui Fachiri pubblicato nel 1935 sulla rivista "Illustrazione del Popolo". Per l'Istituto Luce, Antonio Sturla fu, dal 1927, corrispondente per l'Emilia-Romagna, Veneto e Toscana lasciando così testimonianza di avvenimenti importanti. In quel periodo, era il 1926, realizzò con Ugo Vasè il documentario Ferrara epica e cortese, un omaggio alle bellezze artistiche della città in cui figuravano, per la prima volta, riprese effettuate da un aeroplano. Nel 1940 fu chiamato alla sezione cinematografica dell'esercito e inviato sul fronte occidentale. Dopo la guerra fu corrispondente di attualità per alcuni cinegiornali, tra cui "Settimana Incom", "Mondo Libero", "Ciak". Quella di Antonio Sturla era un'attività che entusiasmava anche il giovane Michelangelo Antonioni che in un articolo del 1939 sul "Corriere Padano" scrisse che era "un instancabile operatore, dotato di un'iniziativa e di un'alacrità sorprendente, riprende a getto continuo i più svariati soggetti, le più disparate attività e conserva queste riprese per portarle alla luce nei momenti opportuni". Documenti che recuperati sarebbero una testimonianza importante di quegli anni. Così come lo è Este Viva. Il Palio di S.Giorgio a Ferrara del 1933, firmato da Nives Casati ma le cui riprese sono di Antonio Sturla, che di recente è stato restaurato dai suoi figli. Importante la figura di Antonio Sturla è stata poi per alcuni ferraresi appassionati della settima Arte che in seguito intrapresero l'attività professionale nel cinema. Fra essi Florestano Vancini, ma anche Renzo Ragazzi, Fabio Pittorru, Massimo Sani, Massimo Felisatti che, dopo alcune importanti esperienze cinematografiche, sono stati molto attivi in televisione. A partire dal 1949 ebbe, infatti, a svilupparsi a Ferrara un'attività documentaristica che faceva perno sull'esperienza e le capacità tecniche di Antonio Sturla, che possedeva anche tutte le attrezzature necessarie alla realizzazione di un'opera cinematografica. Ad aprire questo periodo fu il documentario Amanti senza fortuna di Adolfo Baruffi e Florestano Vancini, che provenivano dalla critica cinematografica. Un documentario di fiction che rievocava la tragica vicenda di Ugo e Parisina. A esso fecero seguito altri documentari che mettevano in evidenza la storia e le bellezze artistiche della Città Estense, ma anche problemi sociali del Delta padano. Importanti da questo punto di vista sono le opere di Florestano Vancini, con cui Antonio Sturla ha maggiormente operato, Uomini della pianura (1950), Delta padano (1951), La città di Messer Ludovico (1951), Al Filò (1953), documentario sugli artisti ferraresi con il quale fondò la Phoebus Film, gestita oggi dal figlio Paolo, Tre canne un soldo (1954), Via Romea (1958). Una sessantina i documentari che si avvalgono della sua fotografia, dovuti, fra gli altri, a Renzo Ragazzi, Fabio Pittorru, Renzo Renzi, Damiano Damiani. Ad Antonio Sturla si rivolse per la realizzazione di un documentario anche lo scrittore Dino Buzzati. Gli inviò il soggetto e nacque così Il postino di montagna (1951) con la regia di Adolfo Baruffi. Di alcuni documentari, Antonio Sturla, oltre che direttore della fotografia, è stato anche regista: le due anime, infatti, si compenetravano profondamente in lui. Al suo attivo, come direttore della fotografia, si devono anche due lungometraggi: La pianura di Adolfo Baruffi, rimasto incompiuto, e L'ombra della valle (1946) di Cesare Barlacchi, che ebbe distribuzione soltanto a Firenze nella cui provincia fu realizzato. "Il vecchio Sturla" lo definiva Florestano Vancini, una testimonianza di affetto e di gratitudine per avergli permesso di esordire nel cinema. Così come è avvenuto anche per altri tra cui Carlo Rambaldi che firmò nel 1956 la regia del documentario Pescatori di storioni dove realizzò, per esigenze di riprese, due storioni elettromagnetici: furono essi ad aprirgli la strada a Roma come "mago degli effetti speciali", che nel tempo lo portò all'aggiudicazione di ben tre premi Oscar: King Kong, Alien, E.T.. Per la sua attività Antonio Sturla ha avuto alcuni riconoscimenti, tra cui l'intitolazione, nel 1994, di una strada da parte del Comune di Ferrara, e nel 1995 uno speciale annullo postale per il Centenario del Cinema con la legenda "Antonio Sturla, pioniere del Cinema Ferrarese". Un personaggio, Antonio Sturla, che avrebbe potuto avere maggiore notorietà. Sarebbe, forse, avvenuto se si fosse trasferito a Roma o addirittura a Hollywood da dove gli erano pervenute delle offerte. Ma non l'ha fatto perché molto legato alla sua famiglia e alla sua città, Ferrara.