Una piccola grammatica e un piccolo vocabolario, da leggere, non solo da consultare...
"Secondo l'Unesco, entro la fine di questo secolo spariranno oltre la metà delle seimila lingue parlate oggi nel mondo e con loro storie, modi di vivere, di pensare e di percepire il mondo. L'omologazione linguistica è uno degli effetti più visibili di un processo che sta lentamente cancellando culture e tradizioni millenarie. Paradossalmente, ma non tanto, è proprio nell'imporsi di questi meccanismi che emerge con forza il bisogno di affermare l'identità culturale di popoli e territori. Il dialetto diventa, di conseguenza, la chiave per riprendere possesso delle proprie radici e rivitalizzare quegli elementi storico-culturali che costituiscono le testimonianze più preziose di un mondo che non deve andare perduto". Così riportava nel 2006 l'allora Sindaco di Ferrara Gaetano Sateriale nella prefazione dell'opuscolo Scrìvar e lèzar al frarés, una delle recenti pubblicazioni sul dialetto di cui si parlerà in seguito. Negli ultimi anni, in proposito, il Cenacolo di Cultura Dialettale Ferrarese "Tréb dal Tridèl" (che nel dialetto ferrarese è l'equivalente di "Accademia della Crusca") ha promosso un percorso di studi sul nostro dialetto. Mentre in altre città il dialetto era usato normalmente da nobili e popolani, a Venezia il veneto era la lingua ufficiale della Repubblica, a Milano e a Torino il parlare in dialetto era un vanto, così come a Bologna, Firenze, Roma e in tutte le città meridionali, a Ferrara la nobiltà spregiava quello che Messisbugo definisce "vernacolo", cioè il linguaggio della servitù di cucina, la verna appunto. E questo disprezzo comincia, anno più, anno meno, circa ottocento anni fa, con le lotte fra i vari Adelardi, Salinguerra, Torelli, e infine gli Este, per il dominio su Ferrara; nessuno di loro era ferrarese e non parlavano dialetto; e men che meno i legati pontifici successivi. Dopo tanto lavoro di raccolta e archiviazione di produzioni spontanee, si è sentito il bisogno di approfondire le conoscenze storiche, filologiche ed etimologiche, sulle origini e sulle caratteristiche lessicali e morfologiche della nostra parlata. Abbiamo potuto contare, per le pubblicazioni che ne sono derivate, sul patrocinio e sul contributo dai Celti per tutta la valle padana, che si erano insediati in territori fertili, trascurando le paludi del delta dell'Eridano (oggi Po), ci rendiamo conto che i romani si sono portati lungo la parte Nord della dorsale appenninica, quella che oggi è la via Emilia, partendo da Rimini e proseguendo per Forlì (Forum Livi), Bologna, Modena, Reggio, Parma, ecc. Quando però le invasioni barbariche che, avendo trovata forte resistenza lungo la via Emilia, cercarono un passaggio a mare, lungo quella che oggi è la via Romea, i Romani fondarono, intorno al I secolo d.C., una colonia (Vicus Aventiae, oggi Voghenza) per contrastarne la calata. Fu baluardo a Nord dell'Esarcato di Ravenna. Ebbe un periodo di splendore, tant'è che nel 330 d.C. fu eletta a vescovado. Eventi sismici e metereologici, non ultimi fenomeni di subsidenza del territorio, ne decretarono il declino. Rimasero i coloni che parlavano il latino del basso Impero, pressoché isolati, conservando nei secoli la loro lingua. Torniamo al dialetto. Che la nostra parlata non abbia potuto essere influenzata in modo significativo da un substrato celtico viene confermato anche dagli studi archeologici: nel lavoro Celti in Italia, di Paola Piana Agostinetti, docente di archeologia all'Università La Sapienza di Roma, viene fatto un censimento dei siti archeologici che documentano la presenza celtica; ebbene, nella nostra zona praticamente non sono state trovate tracce di insediamenti. Inoltre il professor Canepari, docente di fonetica all'Università di Venezia, ha inventato, diciamo così, dei quadrilateri che, senza entrare nel dettaglio, posizionano le vocali e i suoni relativi all'interno della cavità orale. Ebbene, i quadrilateri del latino (imperiale) e del dialetto ferrarese sono perfettamente coincidenti. Queste considerazioni erano già state riportate nella parte introduttiva del Vocabolario del Dialetto Ferrarese (Cartografica 2004) a cura di sette dialettofoni delle varie zone della provincia (Baiolini, Dall'Olio, Finchi, Guidetti, Musacchi, Peverati, Vincenzi), che ha rappresentato una pietra miliare nelle produzioni sul dialetto. Nelle premesse sono illustrate anche le motivazioni che hanno indotto a continuare la scelta, per la grafia, dei simboli della dialettologia, senza inventare nulla, già adottati nel 2001 da Romano Baiolini per il suo Dizionario Etimologico del Dialetto Ferrarese, attenendosi solo alle convenzioni fonetiche condivise da tempo dai dialettologi, per riprodurre suoni mancanti nell'alfabeto italiano. Nel 2005 è stato poi pubblicato, a cura di Baiolini e Guidetti, il Saggio di Grammatica Comparata, dove vengono dati ulteriori chiarimenti anche in merito alla scelta di tornare all'uso delle voci del presente del verbo avere con l'accento. Io, non da esperto ma da appassionato e abituato come ex insegnante alla chiarezza senza banalizzare, mi sono reso conto che la grammatica Baiolini-Guidetti sarebbe stata ostica per la maggior parte dei cultori del dialetto, ai quali sarebbe bastato un riassunto delle principali regole grammaticali. È in questo contesto che si inserisce Scrìvar e lèzar al frarés, citato all'inizio, un opuscoletto che ha come sottotitolo "dò o tré pìlul ad delle Istituzioni (Regione Emilia Romagna, Provincia di Ferrara, Comuni) e, in modo consistente, della Cassa di Risparmio di Ferrara. Si è cercato prima di tutto di fare chiarezza sul fatto che il dialetto ferrarese non è da annoverarsi, come è stato fatto sempre, troppo rettolosamente, tra i gallo-italici. Gli studiosi di linguistica e filologia romanza hanno individuato da tempo le peculiarità che certificano l'influsso celtico sulle parlate settentrionali, come le vocali di diversa lunghezza che danno un'intonazione e una cadenza particolare alla parlata e così via. Foneticamente il nostro dialetto è esente da queste particolarità, avendo conservato la linearità del latino da cui deriva direttamente, quello parlato, si intende, non il latino classico. Apro una parentesi per notare che anche nella Roma antica coesistevano due latini; quello delle classi colte e quello della servitù, degli schiavi, dei soldati che spesso erano barbari romanizzati. Per comprenderne la diversità basti pensare a come scrivevano Cesare e Cicerone (coetanei in quanto uno morto nel 44 a.C. e uno nel 43), uno nel linguaggio classico, e l'altro in quello della truppa, senza coordinate né subordinate. Lo stesso Cicerone però diceva: "in domo rustice loquor", in casa parlo in dialetto. Per forza, se voleva farsi capire dalla servitù. Se pensiamo a come si è sviluppata la conquista dell'Italia settentrionale da parte di Roma, già occupata gramatica" (due o tre pillole di grammatica) da me curato e che viene distribuito gratuitamente in tutte le manifestazioni dialettali (concorsi di poesia o rappresentazioni teatrali), pillole che ci aiutano a scrivere correttamente, e soprattutto a leggere il dialetto, lingua trasmessa oralmente per secoli, e che pertanto risulta più comprensibile all'ascolto che non alla lettura. Nel frattempo sempre più spesso, durante tanti incontri sul dialetto, ci venivano poste domande del tipo: "come si traduce in dialetto il tale termine italiano?" da parte di ferraresi che avrebbero voluto conoscere qualcosa di più sulle loro origini. Da queste e tante altre domande è nata a me, Floriana Guidetti e Luigi Vincenzi nel 2007 l'idea di un vocabolario italiano-ferrarese non ampio, non etimologico ma semplicemente una specie di indice che rimandava al Nuovo Dizionario Storico-Etimologico del dialetto ferrarese in preparazione, che infatti vide la luce alla fine del 2008, sempre a cura di Baiolini e Guidetti, opera inserita tra le attività editoriali di "Ferrara Città del Rinascimento", che va ad integrare l'edizione del 2004. È stato definito da Gianni Cerioli "un vocabolario da 'leggere', non solo da consultare", perché per un numero considerevole di vocaboli vengono riportate notizie storiche, anche su usi e costumi pertinenti a quella voce; es. in zélga la "Passera mattugia, uccelletto con le piume del capo di colore marron a forma di fascia, di berretto", ed ecco negli Inventari Estensi 3447 "una celega berrettina vecchia"; notizie anche di tipo etimologico, sempre in zélga, "la fascia estesa fino agli occhi la può far sembrare cieca, giustificando i passaggi dal latino caecula>caeluca> celica>zélga". Oppure alla voce tramàç dove si riporta la citazione trovata sul Du Cange e riferita a questo tipo di rete da pesca come "de furto ad anguillas capiendas": adatta per prendere le anguille di frodo! E continua anche dicendo "de flumine", dal fiume, e se è vera la storia (ma non c'è motivo di dubitarne) della migrazione delle anguille dal Mar dei Sargassi fino al delta del Po e alle Valli di Comacchio, occorre dire che certe abitudini e usanze di popolazioni delle nostre zone erano radicate anche in tempi antichi... In tante altre voci sono presenti riferimenti da Plinio, Columella, a Isidoro di Siviglia, che, insieme al valore etimologico delle parole, documentano quanto preziosa sia la nostra parlata che ci porta testimonianze di epoche tanto lontane della storia della nostra gente. Nel 2004, la Cassa di Risparmio di Ferrara ha voluto onorare la memoria dell'avvocato Vito Cavallini presidente della Cassa di Risparmio di Ferrara dal 1960 al 1962, poeta dialettale e tra i soci fondatori della Associazione "Al Tréb dal Tridèl", pubblicando un volumetto intitolato Storia dal mié paés, "Storia del mio paese", che ripercorre con toni a volte sapidi, a volte lirici, la storia di Ferrara dalla preistoria ai giorni nostri. Seguono le poesie, sempre in dialetto, che offrono uno spaccato della Ferrara del secondo dopoguerra. Per concludere posso dire che mi fa piacere pensare di aver contribuito a dare l'avvio e ad agevolare il proseguimento dei lavori elencati, iniziati quando ero presidente del "Tréb dal Tridèl".