Da fattorino a componente dell'Organizzazione delle Nazioni Unite
Per la quasi totalità dei ferraresi Leonida Felletti era, forse è, un "illustre sconosciuto". Eppure da Longastrino, da lì proveniva, andò ad "occupare" una prestigiosa poltrona alle Nazioni Unite, a New York, nel 1953. Si potrebbe titolare... "da Longastrino all'ONU". Questa mancata conoscenza è dovuta al suo trasferimento da Ferrara a Roma allo scoppio della guerra nel 1940: sono trascorsi ormai 70 anni! Leonida Felletti, di lui dunque si parla, inizia giovanissimo la sua attività al "Corriere Padano", prima con mansioni modeste (fattorino), poi come giornalista e redattore del giornale. Nel periodo in cui lavora al quotidiano ferrarese, intreccia amicizia con le firme più prestigiose e in particolare con il direttore Nello Quilici che sarà in seguito il suo testimone di nozze. Emerge ben presto per le sue spiccate qualità intellettuali e, nel 1940, viene chiamato a Roma, all'agenzia di Stato "Stefani" per la quale opera come corrispondente di guerra. Emblematico, per la sua attività giornalistica, è l'incontro, avvenuto nel 1944, con Federico Comandini, intellettuale di "Giustizia e Libertà". Il loro rapporto si svilupperà soprattutto attraverso una collana libraria dello stesso Comandini il quale gli pubblicherà, sotto lo pseudonimo di "Sagittarius", il libro Soldati senz'armi. Forse era un predestinato Leonida Felletti e nel centenario della nascita Ferrara, la sua città, gli ha dedicato una nuova strada. Era nato a Longastrino di Argenta il 28 dicembre 1906 da famiglia di disagiate condizioni economiche - muratore il padre, casalinga la madre - e, dall'ultimo paese della provincia, i longastrinesi sostengono "dal primo", emigrò a Ferrara nel 1909 quando il piccolo Leonida aveva poco più di due anni e il fratello Amerigo qualcuno di più. "Longastrino è un curioso paese di frontiera. Come la maggior parte dei villaggi del vasto delta del Po si snoda lungo le rive di uno dei numerosi rami, vivi o abbandonati, del grande fiume. L'alveo del Po di Primaro, oggi occupato dalle acque limacciose del Reno bolognese, altro non era che una delle innumerevoli evoluzioni che il corso meridionale del Po, il cosiddetto Po di Spina, aveva subito a partire dall'Età del Bronzo. Lungo le sottili strisce di terre emerse, costituite dagli spalti naturali del fiume, antichi o recenti e sulle conoidi create dal fiume con repentini mutamenti di corso, gli uomini avevano creato campi da arare e da seminare, pascoli per gli animali, ricoveri di canna e paviera e focolari per ripararsi. Da questi capanni sarebbero via via sorte "case murate et cupate", il villaggio vero e proprio. È storia comune a tanti villaggi sorti in epoca medioevale nelle terre del Basso Po. A volerla cercare risiede proprio qui, sull'una e sull'altra sponda di un fiume abbandonato, non la patria della retorica o quella racchiusa tra i confini stabiliti dagli uomini, ma la "Heimat", la terra natìa, che sa parlarci di lontano con i suoi segni, con i suoi suoni, soprannomi e cognomi, con la sua parlata, con il suo santo patrono, con il suono delle sue campane, ben diverso da quello di altri mille campanili " (così Franco Cazzola nella premessa alla Storia di Longastrino in età medioevale e moderna, di Dante Leoni e Giovanni Montanari, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2002). Questa è la terra dove nacque, un secolo fa, Leonida Felletti, personaggio straordinario, di superiore rilevanza culturale e professionale che, sebbene svantaggiato dalle modeste condizioni economiche familiari che non gli consentirono di fare studi regolari, raggiunse l'ambitissimo traguardo di rappresentante dell'Italia, alle Nazioni Unite, per i problemi del lavoro e dell'emigrazione. Il giovane Felletti iniziò la sua attività lavorativa esercitando i mestieri più modesti. La sua famiglia conduceva un'esistenza grama, come in generale era quella di chi iniziava una nuova vita in un contesto e comunità diversi da quelli di origine, specialmente a quei tempi, ma Leonida, stimolato dall'innato desiderio di conoscere e apprendere, dotato di intelligenza acuta e tenace volontà, studiava e contemporaneamente lavorava. Il 26 novembre 1926, appena ventenne, come correttore di bozze entrò al "Corriere Padano" diretto da Nello Quilici, che perirà il 29 maggio 1940 nell'incidente aereo nel cielo di Tobruk, assieme a Italo Balbo. Il giornale, è risaputo, godeva fama di "fare la fronda" e Mussolini, oltreché alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, se lo faceva inviare, in busta chiusa personale, a Villa Torlonia. Il "foglio" ferrarese, diretto da Quilici, pur essendo di tradizioni non comparabili ai grandi quotidiani nazionali - "Corriere della Sera", "La Stampa", "Il Messaggero", "Il Giornale d'Italia", ecc. - si distingueva per l'elevato livello culturale e per il prestigio di molti suoi collaboratori. Ben presto Felletti emerse per la sua elevata professionalità e venne promosso al prestigioso incarico della
"terza pagina", come veniva chiamata allora la pagina culturale, della quale divenne curatore. Fu un periodo di intensa attività: conferenze, collaborazioni giornalistiche, recensioni, scritti tesi a promuovere e sollecitare nuovi fermenti non condizionati da ineluttabile provincialismo. Il grande balzo avverrà nel 1940 quando sarà chiamato a Roma dall'agenzia giornalistica "Stefani", organo ufficiale dello Stato Italiano. Si trattava di un traguardo di eccezionale importanza, forse il massimo per un giornalista. L'agenzia che fu promossa nel 1853 dall'allora primo ministro Camillo Benso di Cavour, prendeva il nome dal giornalista patriota veneziano Guglielmo Stefani, rifugiatosi a Torino nel 1848 perché perseguitato dalla polizia austriaca. La "Stefani", nelle intenzioni di Cavour, aveva il compito di distribuire ai giornali notizie generali e soprattutto i comunicati governativi; fu la censura del governo di allora a trasformarlo in uno strumento per il controllo dell'informazione. All'apertura del conflitto armato da parte dell'Italia, il 10 giugno 1940, Leonida Felletti venne mobilitato come corrispondente di guerra e inviato sul fronte francese prima, sul fronte libico-egiziano poi. Sarà testimone - lui stesso uno dei tanti mutilati di guerra - della drammatica epopea dei nostri soldati a El Alamein, la Caporetto africana. Il suo libro Soldati senz'armi, scritto nel 1944 al termine delle operazioni in Africa settentrionale, è un atto d'amore e di rispetto per chi ha dato la vita, congelato nella neve o riarso sulle dune assolate, ma è soprattutto un tremendo atto d'accusa nei confronti dell'organizzazione e della conduzione della guerra ed è dedicato ai tanti caduti in cielo, in terra e negli abissi del mare. "Molti di loro sono abbarbicati al loro angolo di deserto, ai sassi dei loro caposaldi, ai fianchi degli "uidian" e là sono morti; molti altri hanno intrapreso marce disperate lungo le piane senza confini, impossibili a superarsi a piedi ed hanno soggiaciuto agli spasmi della sete, ai morsi della fame, ai deliqui dell'immane fatica". Finita la guerra Felletti ritornò a Roma dove si era trasferito definitivam
ente con la famiglia nel 1941. L'Italia era drammaticamente sprofondata nel marasma economico, politico, istituzionale, per colpa degli eventi bellici. Fra il dicembre 1944 e il gennaio 1945 incontrò Alcide De Gasperi, ministro degli Esteri di uno dei primi governi formati con l'avvento democratico, al quale propose specifiche iniziative, sui problemi dell'emigrazione e del lavoro, rivolte ai nostri connazionali emigrati. Nacque così la rivista "Italiani nel Mondo" della quale Felletti, ideatore e fondatore, fu il direttore dal primo numero del 10 maggio 1945 fino al XXVIII numero del 25 maggio 1972, data in cui lasciò la direzione per raggiunti limiti di età. Lo scopo di "Italiani nel Mondo" era implicito nell'editoriale del primo numero: "L'Italia risorgerà": "lanciare una parola di speranza agli italiani sparsi nel mondo, che languono nei campi di prigionia e a quei connazionali che sono stati rinchiusi nei campi di concentramento. Una parola di speranza e di fede nel domani". La rivista si dedicò fin dall'inizio ai problemi dell'emigrazione italiana verso l'estero, era ovvio che tale questione sarebbe diventata ben presto di scottante attualità; seguì i nostri lavoratori fin dai primi espatri: Belgio, Svizzera, Francia, America Latina, Germania, Canada, Australia, ecc. La presenza del periodico italiano, rispetto ai grandi temi del lavoro e dell'emigrazione, travalicava i confini nazionali per assumere un ruolo di sollecitazione e di indirizzo negli organismi più qualificati e autorevoli istituzionalmente e Felletti fu chiamato a far parte del BIT (Bureau International du Travail - Ufficio Internazionale del Lavoro) a Ginevra. Nel 1945 creò l'Agenzia aim per la stampa e la radio di lingua italiana all'estero. Nel gennaio 1945, Felletti aveva da poco fondato la rivista "Italiani nel Mondo" e con sua grande sorpresa, ricevette una telefonata dal Palazzo del Quirinale: era uno degli aiutanti di campo di Umberto di Savoia, allora luogotenente generale del Regno, il quale lo informava che Sua Altezza Reale desiderava incontrarlo, conoscerlo de visu e gli chiedeva se fosse stato disponibile a recarsi a Palazzo Reale. Il giorno successsivo in un colloquio con il generale Infante, primo aiutante di campo, venne chiarito l'enigma della "quasi" reale telefonata. In quel tempo, mentre l'Italia del Nord era ancora sconvolta dalla guerra, nella parte centro-meridionale della Penisola, da poco liberata, erano in atto fermenti, scontri anche violenti fra gruppi diversi. La rivista fondata da Felletti, sensibile alla sorte anche delle collettività italiane all'estero , dibatteva i problemi che affliggevano buona parte degli italiani, sostenendo e diffondendo il buon nome del n
ostro martoriato paese. Informato dell'iniziativa, il principe di Piemonte era stato preso dalla curiosità di conoscerne l'autore, nonché i propositi e le finalità. Venuto a conoscenza attraverso il generale Infante che Felletti era "sull'altra barricata", cioè che era repubblicano, rispose che lo sapeva e non aveva considerato ciò, almeno da parte sua, un impedimento all'incontro, che poi ebbe luogo al Quirinale e durò 45 minuti. Ne seguì un altro, ma questo avvenne dopo l'abdicazione di Vittorio Emanuele III. Personaggio ormai di levatura internazionale, Felletti, nel 1953, venne eletto componente del Consiglio nel "Conference of Non Governmental Organizations Migration - ONG" e nel 1955 fu capo della delegazione italiana all'onu per i sopracitati problemi. Nel 1956 venne nominato esperto del Consiglio Economico sociale ONU, nel 1957 componente dell'Esecutivo dell'ONU. Nella Conferenza di New York venne confermato per il biennio 1959/61. La "Nansel Medal", massimo riconoscimento delle Nazioni Unite per l'attività svolta, gli venne conferita nel 1963. Giova ricordare che tale riconoscimento viene conferito per meriti eccezionali e che, fra coloro che ne sono stati insigniti, figurano, fra gli altri, la signora Eleanor Franklin Roosevelt, la regina d'Olanda, la Lega della Società della Croce Rossa, il re Olav V di Norvegia, sir Tasman Hejes ex segretario del Dipartimento Australiano del Commonwealth per l'emigrazione (la segnalazione è stata fornita, in versione italiana, dall'ufficio di Roma dell'Alto Commissariato dell'onu per i rifugiati). Durante la sua lunga attività, Felletti ha ricevuto altri importanti attestati nazionali e internazionali. Questa breve sintesi evidenzia il livello culturale, professionale e sociale dell'impegno profuso dal concittadino Leonida Felletti, chiamato a rappresentare la nostra nazione in un momento estremamente critico sul piano politico oltreché diplomatico, cioè prima ancora che l'Italia fosse ammessa all'ONU. Nel febbraio 1937 Leonida Felletti aveva sposato l'archeologa forlivese Bianca Maria Maj che nel 1935, con il professor Salvatore Aurigemma, partecipò all'ordinazione del Museo Greco-Etrusco di Spina, sito a Ferrara nel palazzo detto di Ludovico il Moro e del quale assunse successivamente la direzione, prima del professor Nereo Alfieri. Negli anni 1940-1941, trasferitasi a Roma con il marito, fu chiamata ad assumere alte responsabilità sempre in campo archeologico: Terme di Diocleziano, ispettrice presso la Soprintendenza di Ostia Antica, fondatrice e direttrice del Museo dell'Alto Medio Evo di Roma, autrice di autorevoli pubblicazioni conosciute, divulgate e studiate nelle università straniere più prestigiose. Bianca Maria Maj - due lauree, una in Italia in storia dell'arte e una in archeologia ad Atene - apparteneva ad un ceto culturale molto elevato. A monte della famiglia era il cardinale Angelo Maj (1782-1854), prefetto della Biblioteca Vaticana a cui va il merito di aver scoperto il De Repubblica di Cicerone. In occasione di tale ritrovamento Giacomo Leopardi gli dedicò una celebre canzone. Testimoni di matrimonio, celebrato a Forlì nel 1937, furono per Felletti, Nello Quilici, direttore del "Corriere Padano", per la moglie, il conte Pier Luigi Teodorani Fabbri. Da questo excursus, inevitabilmente sintetico, emerge la poliedrica personalità del nostro illustre concittadino che negli anni '30 si cimentò pure nell'attività di novelliere con lo pseudonimo russo di Leonida Leonidoff. Le novelle, una produzione inusuale per un giornalista, furono pubblicate, con successo, su importanti giornali italiani come il "Popolo di Roma", il "Giornale d'Oriente", il "Corriere Padano" e su riviste straniere quali la "Neue Freie Presse" di Vienna e il "Pester Lloyd" di Budapest. Dopo il contratto di collaborazione con il "Popolo di Roma", egli ne concluse un altro importante con la Casa Editrice Rizzoli. Persino Mario Missiroli, il noto giornalista, cadde nell'equivoco, presentando come una sua traduzione dal russo la novella La isba di Lienka del ferrarese Felletti, facendola pubblicare sul quotidiano romano. Non diversamente si comportò l'autorevole "Osservatore Romano" che in un corsivo criticò lo scrittore "russo" Leonida Leonidoff per la novella Folata di Vita ritenuta "troppo spinta" (dai ricordi di Leonida Felletti). Questo è stato Leonida Felletti, ferrarese, nato a Longastrino un secolo fa, cresciuto nella nostra città, morto a Roma nel 1973. I Centri di Documentazione Storica del Comune di Ferrara, di Longastrino Ferrara-Ravenna, presente la figlia e i discendenti, gli hanno dedicato una mostra documentaria e fotografica e ristampato, in copia anastatica, il libro Soldati senz'armi pubblicato nel 1944 a Roma.