La chiesa del Beato Giovanni Tavelli a Villa Fulvia (alla memoria di monsignor Giulio Zerbini)
Non ho intenzione di descrivere il progetto della chiesa di Villa Fulvia cominciando dai dati anagrafici e dimensionali e dalle ragioni della sua collocazione. Potrei cominciare dall'incarico alla progettazione dell'edificio, ricevuto, correva l'anno 1987, da monsignor Giulio Zerbini, vicario generale della Diocesi del quale venero la memoria e devo dire che questa circostanza fu un momento magico indimenticabile: dopo tanto lavoro su questo tema fondamentale per la Diocesi di Milano, progettare una chiesa per la mia città significava dare senso alla mia identità e alla riflessione che conducevo su di essa. Tuttavia preferisco soffermarmi sulla emozione nel vederne l'architettura finalmente vivere, nel suo grande spazio bia
nco, aperta ai fedeli e al culto, struttura singolare diventata baricentro di un quartiere e riconoscibile immagine della vita di una vasta area abitata. L'emozione è immaginabile e si ripete ogni volta che un'architettura esce dalla fase del progetto, dalla riflessione personale, per diventare luogo di vita di persone che se ne impossessano e lo fanno diventare proprio. Qui la lunga gestazione (quasi tredici anni) ha caricato il progetto di momenti di sofferenza, di tensione, di ricerca che lo hanno profondamente segnato e questa è una ragione in più per la mia commozione perché alla fine quelle difficoltà (che in parte ci eravamo costruite) sono diventate la "novità" di questa architettura, la sua identificabilità nel contesto urbano, la qualità nuova che se
gna in modo definitivo la sua immagine. Mi riferisco alla presenza della cupola e alla colorazione delle superfici esterne delle varie parti che la strutturano in opposizione al bianco totale dell'interno.
La cupola segna un passaggio fondamentale nel percorso difficile dell'ecumenismo che dobbiamo ascrivere al magistero del beato Giovanni Paolo II, il quale fece propria la intuizione del poeta russo Vjaceslav Ivanov: la Chiesa deve respirare con due polmoni, quello dell'Oriente e quello dell'Occidente. In questa ottica la pianta a croce greca dell'edificio (come era il progetto michelangiolesco di San Pietro) e la presenza della cupola sono semantemi propri delle chiese orientali e vogliono dare una immagine viva e reale del collegamento auspicato. La cupola convive con una struttura che sembra contenerla, ma la sua forma vince questi vincoli e la croce che la conclude è alta nel cielo.
L'immagine esterna dell'edificio si avvale invece delle riflessioni su alcuni dipinti di Giotto ad Assisi, nella chiesa superiore. Nell'affresco dedicato all'estasi di San Francesco, alle spalle del Santo è dipinta una chiesa i cui volumi sono coloratissimi: rosa, gialli, verdi così come sono sempre coloratissime le compagini urbane dipinte dai pittori contemporanei del grande Maestro. Abbiamo colto questa suggestione e abbiamo operato di conseguenza con un inaspettato riscontro positivo di opinioni che ci ha molto rassicurati. A questa elaborazione quasi fantasiosa dell'esterno fa riscontro il candore totale degli interni dove fino le parti in legno sono state sbiancate.
Il bianco è il colore della luce e la luce, quella del sole e del cielo ha una sua presenza privilegiata nel battistero dove l'hortus conclusus che lo circonda entra con la dialettica della natura "naturata" e quindi anche con quella della luce, nello spazio dei fedeli. Ecco, queste sono le "figure" fondamentali che danno senso e forte individualità a questa architettura e la pongono all'avanguardia per la immagine che comunica nel dibattito sull'ecumenismo.
Ferrara con questo edificio ha una nuova architettura sacra, un nuovo spazio dove si celebra il mistero del Sacro: insieme ai colleghi che hanno lavorato con me e a tutti i protagonisti di questa avventura, laici e sacerdoti, tutti operatori straordinari, affidiamo questa opera alla comunità parrocchiale perché la custodisca come segno speciale e privilegiato della propria identità.
Voglio ringraziare in particolare gli operai dell'impresa costruttrice del geometra Bruno Stabellini, che hanno dimostrato di essere maestranze di alta scuola.