"Fabrichare con più sicurtà"
La città di Ferrara è rimasta sufficientemente lontana dagli epicentri delle due scosse del 20 e 29 maggio per non vedere il ripetersi della tragedia del 1570, quando fu quasi distrutta dal sisma del quale conosciamo gli effetti dalla precisa testimonianza del Libro o Trattato de' diversi terremoti dell'antiquario e architetto ducale Pirro Ligorio. Il patrimonio monumentale è rimasto segnato da lesioni, da sconnessioni murarie, da piccoli crolli localizzati; ma solo le due torrette del Castello sono quasi esplose, ruotate e miracolosamente rimaste in bilico, e i camini di palazzo Massari e la Madonna di Santa Maria in Vado volati letteralmente in strada, diventando il simbolo di un disastro appena sfiorato.
Disastro che invece si è manifestato in tutta la sua gravità nei Comuni dell'Alto Ferrarese e nelle tante frazioni, nate attorno alle chiese, che caratterizzano la storia dell'antropizzazione di questo territorio. I crolli dell'oratorio Ghisilieri a San Carlo di Sant'Agostino, di San Paolo a Mirabello e di San Martino a Buonacompra di Cento sono l'immagine stessa della grande vulnerabilità delle chiese nei confronti del terremoto e, nello stesso tempo, della fragilità delle costruzioni di quest'area, tradizionalmente realizzate con malte di scarsissima qualità.
Il primo difficilissimo problema da affrontare è stato quello dei campanili che, salvo rare eccezioni, hanno subìto danni gravissimi: per tutti si è riusciti a trovare soluzioni che oggi ce li fanno vedere puntellati, cerchiati, sostenuti in attesa dei lavori di restauro e consolidamento. I campanili di San Lorenzo di Casumaro, quello della parrocchiale di Sant'Agostino e tutti quelli dell'area colpita dal sisma stanno a testimoniare il grande lavoro di salvaguardia effettuato, e a smentire la campagna diffamatoria che voleva il patrimonio culturale dell'Emilia-Romagna demolito da ignoranza e incapacità, complici gli uffici di tutela. Il caso della demolizione di quello di Buonacompra, irrecuperabile, non fa la regola, e quello di Poggio Renatico, la cui demolizione spettacolare è stata veicolata dai media come la soluzione ordinaria adottata in questo sisma, era di recente costruzione e non un bene culturale. "Opere provvisionali" e "messa in sicurezza" sono state invece le parole d'ordine dei primi mesi dell'emergenza.
Presso la Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Emilia-Romagna è stata istituita l'Unità di Crisi Regionale (U.C.R.) del Ministero per i Beni Culturali con il compito di coordinare le Soprintendenze nelle operazioni di emergenza e guidare la successiva attività di ricostruzione, relazionandosi con i molteplici enti ed organismi coinvolti nel sisma, in particolare la Regione, le Curie, i Comuni.
La macchina dell'U.C.R. ha avviato fino da subito un'attività diversificata, organizzata in gruppi di tecnici sul campo: in primo luogo quella, svolta con la collaborazione dei Vigili del Fuoco, rivolta alla messa in
sicurezza di campanili ed edifici pericolanti. Contemporaneamente, si è dato avvio al recupero di opere d'arte, archivi e biblioteche da sottrarre al pericolo dei luoghi e degli edifici danneggiati o crollati: queste complesse operazioni sono state realizzate per intero dai funzionari delle Soprintendenze, con il sostanziale aiuto dei Vigili del Fuoco. Le opere d'arte sono state concentrate nel palazzo Ducale di Sassuolo, nel quale è stato allestito il laboratorio per le prime operazioni di emergenza diretto dalla Soprintendenza di Modena: qui, tra le prime arrivate, sono quelle dalla chiesa di Mirabello, l'Assunta del Guercino dal Rosario di Cento e i Guercino da Renazzo e Corporeno; e qui è ricoverata la tela di Benedetto Gennari raffigurante Sant'Antonio da Padova e il Bambino, ridotta in frammenti accartocciati, proveniente dall'oratorio Ghisilieri di San Carlo. Oggi, sotto la guida dei restauratori dell'Opificio delle Pietre Dure e dell'Istituto Superiore di Restauro e Conservazione, istituti di alta formazione per il restauro del Ministero, otto giovani restauratori svolgono le prime urgenti operazioni per la salvaguardia delle opere.
Dall'attività di ricognizione sistematica del danno, edificio per edificio, risulta che su un totale di circa 2.000 edifici danneggiati nell'area del "cratere", circa 620 appartengono al territorio provinciale di Ferrara; tra questi vi sono 160 chiese, mentre oltre 350 sono gli immobili ubicati nel Comune di Ferrara; si tratta della concentrazione più consistente dell'intera area, in considerazione anche dell'elevato numero di beni tutelati di proprietà privata presenti nel centro storico.
Passata l'emergenza ci si chiede quale futuro possiamo ragionevolmente immaginare per il patrimonio culturale colpito dal sisma. Premesso che nei mesi tra dicembre e febbraio sono stati finanziati dal commissario delegato interventi per la restituzione di alcune chiese alla loro funzione e la conclusione delle opere di messa in scurezza degli edifici con danni più gravi, entro il mese di marzo la stretta collaborazione instaurata tra gli uffici commissariali, la Direzione Regionale, le Diocesi e i Comuni consentirà di varare il programma e il piano 2013 degli interventi, previsto dalla legge regionale n. 16/2012 sulla ricostruzione. Gli edifici, dunque, saranno restaurati. Ma dobbiamo essere consapevoli che i tempi per il ripristino del patrimonio culturale saranno lunghi, a causa della vastità dell'area colpita e della gravità dei danni subìti.
Per Ferrara, dove il danno non è grave ma diffuso, è necessaria una riflessione particolare, perché la memoria di quanto accaduto nel 1570 si era persa e la città si riteneva a torto indenne dal pericolo di un sisma. La lettura in questa occasione della testimonianza di Pirro Ligorio ci aiuta a comprendere meglio i fenomeni di danno che abbiamo diffusamente osservato sugli edifici storici, in particolare le chiese; ma soprattutto ci ricorda che pur se la città è stata risparmiata da conseguenze severe, dobbiamo d'ora in poi "fabrichare con più sicurtà", ovvero aggiungere alle opere di restauro quei presìdi che rinforzino le strutture e le rendano, nei limiti del possibile, in grado di sopportare possibili ulteriori terremoti.