Dall’agricoltura all’industria autarchica

Scritto da  Franco Cazzola
Le bonifiche sono state una dele soluzioni tentate al problema dell’occupazione nel territorio ferrarese. Sopra e nelle due pagine seguenti: 1872, i lavori di costruzione dell’idrovora di Marozzo, la più antica del Polesine di San Giorgio.Profilo dell'economia ferrarese nel primo secolo di attività della Cassa di Risparmio di Ferrara
La Cassa di Risparmio di Ferrara, era nata nel 1838 come morale istituzione senza scopi di lucro privato per iniziativa di alcuni cittadini ferraresi proprio nel pieno di quella fase di prolungata depressione dei prezzi e dell'economia europea che fece seguito ai grandi sconvolgimenti dell'età napoleonica.
Ferrara partecipava così abbastanza precocemente a quella tendenza che in circa mezzo secolo aveva disseminato in città grandi e piccole ben 133 analoghe istituzioni. Queste si affiancavano o sostituivano i Monti di Pietà, elargitori dal XV secolo di piccolo credito su pegno agli strati meno abbienti della popolazione ma incapaci di svolgere vere e proprie funzioni creditizie. Le casse rappresentavano un passo avanti, con tutti i limiti ad esse assegnati da statuti e regolamenti, verso l'esercizio di una più ampia attività di raccolta dei depositi e di erogazione di piccoli prestiti. Difficile era ancora il cammino che separava le casse di risparmio dalle prerogative di vere e proprie banche di deposito, sconto e investimento al servizio delle imprese e delle attività produttive. Nello Stato pontificio la Banca Romana era stata costituita nel 1834 con capitali e uomini francesi, presto sostituita nel 1850 dalla Banca dello stato Pontificio con funzione di emissioni monetarie di biglietti di banca, apertura di conti correnti, sconti di cambiali e concessione di prestiti su titoli. Dopo fallimentari tentativi di tenere aperta una filiale bolognese, un ristretto gruppo di cospicui cittadini bolognesi aveva allora 1872, i lavori di costruzione dell’idrovora di Marozzo, la più antica del Polesine di San Giorgio.promosso una nuova istituzione bancaria, la Banca pontificia per le quattro Legazioni (1855) In poco tempo si dovette constatare che gran parte degli impieghi della nuova banca erano andati a sostegno delle proprietà immobiliari e delle aziende agricole dei fondatori: i nobili Carlo Marsili, Luigi Pizzardi, Vincenzo Amorini-Bolognini, Gaetano Zucchini. Costoro, che già erano stati fondatori della Cassa Bolognese si erano avvalsi del sostegno politico di Marco Minghetti e di un apporto di capitale di 50.000 scudi della stessa Cassa di Risparmio di Bologna e dei genovesi barone Giuliano Cataldi e Raffaele de Ferrari, duca di Galliera. Pare che anche da Ferrara fosse partita per Roma la richiesta di aprire un analogo istituto bancario, dato il carattere strettamente bolognese della Banca delle quattro legazioni, ma senza esito. Le vicende qui richiamate ci portano a considerare quanto difficile fosse ancora il cammino verso una banca moderna la creazione di efficaci strumenti a sostegno dell'economia locale. Per oltre un secolo la Cassa di risparmio di Ferrara riuscì a collocarsi in posizione centrale nell'attività di raccolta del risparmio e nel sostegno di attività benefiche e assistenziali in una provincia che pareva esclusa dai grandi circuiti economici regionali. Solo dopo la seconda guerra mondiale l'allargamento a nuovi settori di impiego delle risorse cominciò ad assegnarle un ruolo primario nella ricostruzione e nella promozione dello sviluppo economico locale 1872, i lavori di costruzione dell’idrovora di Marozzo, la più antica del Polesine di San Giorgio.Le note che seguono intendono tracciare un succinto profilo dell'economia ferrarese nel primo secolo di attività della Cassa (1838-1938). Un secolo segnato da continua crescita nelle attività di raccolta del risparmio e negli impieghi a sostegno di agricoltori e artigiani. Durante questo periodo ingenti flussi finanziari interessarono Ferrara e il suo territorio (bonifiche, industria saccarifera, insediamenti nella Zona industriale), senza tuttavia mettere in discussione il ruolo crescente svolto dalla Cassa nella capillare raccolta del risparmio, anche durante la grave crisi che investì il sistema bancario italiano tra il 1927 e il 1936. Facciamo dunque un salto indietro di 170 anni, nella Ferrara della Restaurazione. La congiuntura economica all'epoca in cui fu fondata la Cassa ferrarese (1838) volgeva al basso da almeno un ventennio, come si è detto. Con la restaurazione del dominio pontificio non poterono tuttavia essere cancellate le importanti trasformazioni intervenute nell'assetto della proprietà terriera e nell'agricoltura, basi principali dell'economia locale. Paradossalmente, quest'ultima sembrò trarre giovamento dalla collocazione di Ferrara nei pressi del nuovo confine sul Po. Il porto di Pontelagoscuro vide affluire numerosi i burchi da trasporto che scendevano o risalivano il fiume con prodotti agricoli, minerali, mattoni, olio, vino. Anche per questo da più parti si invocava sempre più di frequente quella libertà di commercio e l'abolizione di tutti gli impedimenti al movimento delle merci. La navigazione del Po,infatti, era finita ormai sotto il completo controllo dell'Austria che si serviva dello scalo di S. Maria Un tiro a dodici al lavoro nelle campagne del Ferrarese, all’inizio del Novecento (circa 1918).Maddalena, dirimpettaio di Pontelagoscuro, come punto di attracco e di dogana. Invano ci si era mossi, da parte ferrarese, a progettare vie navigabili che da Goro conducessero a Ferrara sempre restando in territorio pontificio. Già nel 1816 Luigi Gozzi aveva avanzato un progetto di canale, a cui fecero seguito altri progetti tra i quali il piano dell'ingegnere provinciale Marco Ferlini, imperniato sul ripristino della navigabilità del Volano. Nel 1850 il segretario della Camera di Commercio Filippo Maria Deliliers dava alle stampe i suoi Cenni statistici della Provincia di Ferrara, il primo quadro completo dell'economia e della società ferraresi che seguiva di qualche anno le accurate analisi di Andrea Casazza col suo Stato agrario economico del Ferrarese (1845). Nel succinto profilo tracciato dal Deliliers non mancano alcuni importanti elementi di novità della condizione economica della provincia che meritano di essere richiamati. Il mondo agricolo ferrarese era ormai in pieno movimento, nonostante le tendenze economiche generali del periodo della Restaurazione non fossero favorevoli e segnassero un prolungato ristagno dei prezzi. L'amministrazione comunale aveva accolto in qualche misura le istanze di progresso che si levavano dalla borghesia agraria e si era fatta promotrice della fondazione di un Istituto agrario, con annesso podere sperimentale, e di una Società agraria che, sotto il titolo di Conferenza Agraria, raccoglieva oltre un centinaio di soci. A dirigere l'Istituto agrario era stato chiamato Francesco Luigi Botter, valente agronomo e animatore del giornale agrario. L'incoraggiamento, destinato a essere per vari anni veicolo di divulgazione di idee e di novità tecniche in campo agricolo. Bonifiche e sviluppo agricolo hanno proceduto di pari passo nella Bassa Ferrarese, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, fino agli anni Trenta del Novecento.Tra i primi compiti che Botter aveva voluto assegnare all'Istituto agrario vi era quello di migliorare gli strumenti per l'aratura e di valorizzare con migliori tecniche di lavorazione la fertilità dei terreni alluvionali da cui tutto il Ferrarese era composto. L'officina di strumenti rurali, annessa alla Scuola, riuscì così in pochi anni a diffondere in tutte le campagne ferraresi l'aratro Dombasle in acciaio, opportunamente modificato ed adattato dallo stesso Botter. Molto modeste erano ancora, nel panorama tracciato da Deliliers, le attività manifatturiere ferraresi, anche se non mancava qualche novità, come l'impianto di una fabbrica di vetri e cristalli ad opera del piemontese Giovanni Battista Brandi e di una fabbrica di cremor tartaro fondata nel 1829 da Costantino Bottoni e divenuta la terza per importanza nello Stato pontificio. Il successo più lusinghiero era toccato alla fabbrica insediata fin dal 1812 a Pontelagoscuro per la produzione di saponi da toeletta. L'opificio, costruito dal triestino Carlo Luigi Chiozza, e che in seguito avrebbe avuto la denominazione "Chiozza e Turchi", era alla metà dell'Ottocento in proprietà di Francesco Tranz il quale importava dall'estero l'olio di oliva occorrente alla produzione. Lavori di costipamento del terreno, durante le opere di bonifica degli anni Trenta.La vera e più rilevante novità per l'economia ferrarese era la straordinaria espansione del mercato interno ed internazionale della canapa. Spettava alla numerosa e prospera comunità israelitica ferrarese il merito di avere allargato fino alla Germania, all'Inghilterra e all'Impero asburgico lo smercio di canapa ferrarese e centese. Il crescente volume di canapa greggia destinata alla fabbricazione di vele e cordami per la marineria britannica aveva potuto contare anche sull'attività ferrarese di Guglielmo Mac Alister, inglese stabilitosi a Ferrara e proprietario di una macchina a strettoio per l'imballaggio della canapa pettinata. Il principale centro della produzione canapicola era diventata la città di Cento, non solo per la quantità e la qualità della canapa locale, ma anche perché alla filatura domestica e alla tessitura di tele, cordami e vele si dedicava una rilevante parte della densissima popolazione. Si può dire che il Centese, area agricola in cui un terzo del territorio ricadeva sotto l'antico istituto della Partecipanza e presentava quindi un forte frazionamento fondiario (i capi) provocato dalla periodica redistribuzione delle terre ai capifamiglia, viveva già alla metà del secolo XIX in una dimensione protoindustriale caratteristica di molte aree europee. Disponendo di poca terra, uomini e donne del Centese filavano nei mesi invernali le stoppe di canapa traendone piccole tele bianche gregge da usare per i pagliericci. Filatura e tessitura domestica producevano anche le canapine montanare, tele robuste particolarmente indicate per fare vele. L'attività di filatura in campagna si era così estesa anche ai comuni vicini ad opera di veri e propri organizzatori del lavoro a domicilio, gli industrianti. Il commercio di canapa organizzato dai mercanti centesi aveva raggiunto la ragguardevole dimensione di circa 9 milioni di libbre bolognesi all'anno. Sotto questi potenti impulsi di mercato la produzione canapicola ferrarese aveva ormai superato in termini assoluti quella del Bolognese già nella prima metà del XIX secolo. Con l'unificazione politica della penisola italiana sotto la dinastia dei Savoia anche il processo di integrazione economica della Valle Padana, cioè della parte più progredita del nuovo Regno d'Italia, entrava in una fase di accelerazione. Saltati i confini fra gli ex ducati e le ex delegazioni pontificie, restituito al corso del Po il suo carattere di grande arteria bisettrice di un vasto territorio agricolo e urbanizzato, per la Valle Padana si apriva un ventennio di espansione agricola, di favorevole congiuntura dei prezzi dei principali prodotti locali (riso, mais, frumento, canapa, lino, seta, latte e derivati). Anche se l'intensità dell'espansione agricola resta ancora controversa e non mancavano vaste aree di arretratezza, resta pur sempre vero che molti sintomi lasciano intendere un più accentuato dinamismo nella vita economica, un più vivace andamento dei mercati locali e una maggiore propensione all'investimento di capitali nell'attività produttiva. Per le grandi pianure ancora paludose e vallive che ricoprivano buona parte della Bassa Pianura in prossimità del corso del Po si apriva un'epoca di rapide e travolgenti trasformazioni fondiarie e produttive che facevano seguito all'applicazione su vasta scala delle macchine a vapore. Mentre migliaia di ettari di valli e paludi venivano trasformate in risaie nel vicino Polesine di Rovigo grazie all'impiego di locomobili a vapore per la derivazione di acqua dal Po, per il territorio ferrarese la forza del vapore fu invece applicata alla macchina idrovora al fine di prosciugare meccanicamente tutti quei terreni che soffrivano di mancanza di scolo naturale e che costituivano una parte rilevante dell'intera superficie agraria e forestale ferrarese. Non erano mancati, tra gli esponenti più attivi della borghesia agraria ferrarese, gli ardimentosi che si erano lanciati con entusiasmo in imprese di prosciugamento meccanico confidando che la sola macchina a vapore potesse da sola risolvere i complessi problemi idraulici ed agrari della bonifica del territorio ferrarese. E vi era stato anche chi, come il conte Francesco Maria Aventi, aveva perduto nell'impresa tutto il patrimonio. La bonifica era impresa che richiedeva enormi capitali,
grandi risorse umane e lunghe attese prima di conseguire risultati validi sul piano agricolo ed economico. Ma la favorevole congiuntura dei prezzi agricoli, gli alti livelli degli affitti, gli esorbitanti prezzi raggiunti dalla terra nel corso del decennio 1863-1875 avevano lasciato ben sperare in un rapido rientro dei capitali investiti in opere di prosciugamento meccanico. La provincia di Ferrara, come rilevava il prefetto Giacinto Scelsi nel suo volume di statistiche (1875), aveva ancora il più basso valore medio dei terreni, rispetto alle province vicine. La trasformazione fondiaria e agraria più colossale avvenne nel basso ferrarese ad opera di una società di capitali prima inglesi poi torinesi riuniti nella Società per la Bonifica Terreni Ferraresi (SBTF) che procedette alla canalizzazione e al sollevamento meccanico dell'enorme massa di acque stagnanti nel Polesine di Ferrara mediante la costruzione di un potente impianto idrovoro a Codigoro (1874). Sempre nel decennio 1870-1880 prendeva avvio una serie di grandi opere di prosciugamento anche nel territorio del Polesine di S. Giorgio che portavano alla messa a coltura, tra l'altro, delle grandi Valli Volta e Gallare, anche queste finite in proprietà di banchieri e imprenditori esterni al mondo agricolo ferrarese. Nasceva dunque in quegli anni, nelle distese paludose del Ferrarese orientale, un nuovo assetto della proprietà e dei rapporti agrari, destinato a segnare in profondità la storia economica e sociale della provincia fino a pochi decenni or sono. Sulle terre prosciugate, che avevano richiamato schiere di braccianti e di terrazzieri, si insediava la grande azienda
capitalistica, dedita alla produzione cerealicola su vasta scala, legata alle tendenze del mercato nazionale e internazionale, pronta ad utilizzare i vantaggi della grande coltura e della presenza di un proletariato agricolo che si andava ingrossando di giorno in giorno. Da questi nuovi rapporti sociali traeva origine quella questione agraria su cui si era soffermato il senatore Pietro Niccolini agli inizi del nuovo secolo dopo la grande esplosione di scioperi e di rivendicazioni salariali e normative che aveva infiammato le campagne ferraresi nel 1897 e che aveva portato i problemi sociali della provincia sulle prime pagine dei giornali nazionali. Rispetto al primo decennio dopo l'Unità, l'agricoltura ferrarese aveva conosciuto una formidabile espansione produttiva: la coltivazione del frumento era passata dai circa 50.000 ettari del decennio 1862-71 ai 60.000 ettari del 1914. Ma la produzione globale era balzata da poco più di 500 mila a 1.259.000 quintali nel 1914, più che raddoppiando. I rendimenti unitari delle terre ferraresi, grazie anche al diffondersi dei concimi artificiali, erano saliti all'inizio del secolo al primo posto nella classifica nazionale della produttività agricola. La nuova coltura della barbabietola da zucchero, che aveva accompagnato il sorgere dei primi stabilimenti saccariferi, era in piena espansione, favorita dalla protezione doganale che la tariffa del 1887 aveva accordato allo zucchero. Ancora in espansione risultava, agli inizi del secolo XX, la coltivazione della canapa, che dai 19.000 ettari del 1862-71 si estendeva nel 1914 su ben 30.000 ettari. Da questo grande flusso di ricchezza agricola traeva alimento, come si è accennato, anche buona parte delle attività industriali: nel 1914 le imprese industriali della provincia di Ferrara erano 1.676 e davano lavoro a 14.673 persone. La forza motrice installata era molto bassa, pari a meno di un cavallo dinamico per addetto. Il settore della lavorazione dei metalli dava occupazione a sole 1.999 persone nella provincia, delle quali la metà lavorava nel capoluogo, mentre la parte del leone era svolta dalle industrie trasformatrici di prodotti dell'agricoltura. La storiografia ha mostrato che proprio dalla aggrovigliata "questione agraria" il fascismo aveva tratto alimento nel Ferrarese, allorché lo scontro di classe nelle campagne aveva raggiunto il massimo di acutezza negli anni 1919-21. La violenza delle squadre fasciste aveva spezzato in poco tempo le forze organizzate delle leghe socialiste e diviso il mondo dei lavoratori agricoli avventizi fino al punto di far trionfare le organizzazioni sindacali dei fascisti, apertamente appoggiate agli agrari. Prendeva così il via la pacificazione delle campagne secondo la volontà del padronato agrario, il quale poteva così recuperare il terreno perduto sul piano contrattuale e salariale col famoso Patto Zirardini del 1920, che conteneva tra l'altro il principio dell'imponibile di manodopera per le aziende agricole, vale a dire l'obbligo per l'imprenditore di assumere per un certo numero di giornate, durante i mesi invernali, lavoratori disoccupati. Per quanto "pacificate", le campagne ferraresi continuarono a presentare, durante il ventennio fascista, l'insolubile roblema della disoccupazione agricola e della miseria conseguente per larghi strati rurali. La politica deflazionistica inaugurata nel 1927 con l'obiettivo di portare il cambio della lira con la sterlina a "quota 90" ebbe subito drastici effetti sul mercato interno, colpendo i settori produttivi che lavoravano per l'esportazione. Per l'economia ferrarese la "quota 90" si tradusse immediatamente in una grave crisi agricola e finanziaria. I ceti rurali intermedi che si erano indebitati con le banche e con le casse rurali ritrovarono rivalutato il proprio debito senza che potessero contare su una domanda sostenuta per i prodotti principali delle campagne ferraresi. Mentre il prezzo del frumento restava in qualche modo sostenuto grazie alla protezione doganale accordata attraverso la "battaglia del grano", il prezzo della canapa subiva un vero e proprio tracollo, mettendo in difficoltà i produttori. Sono questi gli anni in cui dichiaravano fallimento numerose banche e casse rurali, ivi compreso il Piccolo credito di Giovanni Grosoli, cioè la principale banca cattolica della provincia. Insieme al Piccolo credito andava in dissesto anche la potente Società Bonifiche Terreni Ferraresi (SBTF), protagonista dei grandi prosciugamenti e maggiore proprietario privato di terreni nel Ferrarese. Anche il fascismo dovette fare i conti con il nodo della disoccupazione bracciantile e fronteggiare una situazione di estrema gravita sul piano sociale. I salari erano stati ridotti del 20% nel 1927-28 e subirono ulteriori riduzioni negli anni seguenti, quando la crisi mondiale venne a sovrapporsi alla stretta deflazionistica interna. Le linee direttrici della politica economica fascista per la provincia di Ferrara, presentate fin dal VII congresso del fascismo ferrarese (12 febbraio 1928) erano: bonifica integrale, appoderamento, industrializzazione. La bonifica integrale doveva fornire, oltre che lavoro per le masse disoccupate, nuovo ossigeno alle classi agrarie colpite dalla crisi. Si trattava infatti di approfittare a piene mani della massa di investimenti statali e di contributi per perfezionare le opere di bonifica e valorizzare il capitale fondiario, garantendosi contemporaneamente la tranquillità sul piano sociale.
Il tema dell'appoderamento era invece più complesso in fase di attuazione concreta, dovendosi creare poderi e case per l'insediamento stabile di lavoratori su quelle terre che il capitalismo agrario ferrarese aveva fino a quel momento sfruttato con il minimo investimento. In effetti l'appoderamento si risolse in semplice propaganda. I braccianti ferraresi andarono ad insediarsi su poderi creati dal regime fascista nell'Agro Pontino, in Sardegna e in Libia, ma ben pochi ottennero l'insediamento stabile sulle terre da poco bonificate del Ferrarese orientale. La terza alternativa al problema della disoccupazione fu, come si è detto, intravista in un programma di industrializzazione della provincia di Ferrara che prevedeva l'ingresso di nuovo capitale finanziario nelle parti vitali dell'economia ferrarese, ad opera soprattutto di Vittorio Cini e dei gruppi finanziari che avevano già posto in essere il piano di trasformazione industriale dell'area lagunare di Porto Marghera. Nacque per decreto del 1936 la zona industriale di Ferrara, dove dovevano insediarsi diverse aziende trasformatrici dei prodotti agricoli ferraresi e in funzione della riorganizzazione autarchica dell'economia italiana: dalle industrie canapicole a quelle per la produzione di amido; dalle distillerie alle fabbriche di imballaggi, dalla Società Chimica Aniene alla Società Gomma Sintetica, alla Leghe Leggere, alla Cellulosa. Buona parte delle industrie insediate nella zona industriale ferrarese, creata a nord-ovest della città a congiungersi col vecchio polo industriale di Pontelagoscuro sul Po, poterono entrare in funzione solo a guerra iniziata, nel 1941-42. Nonostante gli orientamenti autarchici della produzione, la presenza della zona industriale rappresentò per Ferrara un'importante novità sul piano sociale: nasceva per la prima volta un nucleo compatto di classe operaia industriale, non legata a brevissimi cicli stagionali. Un secondo polo industriale era andato intanto sorgendo, fin dal 1934 a Tresigallo, paese natale del gerarca Edmondo Rossoni, per volontà di questo personaggio, un ex sindacalista rivoluzionario passato al fascismo e divenuto in seguito ministro dell'agricoltura. La zona industriale di Tresigallo era in tutto e per tutto pensata in relazione alle caratteristiche più tradizionali dell'agricoltura ferrarese e in funzione della trasformazione dei suoi prodotti: canapa, latte, frutta, barbabietole. Essa non era nata, tuttavia, per decreto governativo, come quelle di Ferrara e di Bolzano, ma per intervento diretto di forze economiche e agricole locali che puntavano in primo luogo alla valorizzazione in loco dei principali prodotti agricoli, sostenute dal Rossoni. «Il primo paese nato dall'autarchia, » ebbe a scrivere il Corriere della Sera nel 1937 parlando di Tresigallo. Tuttavia la guerra e le mutate condizioni economiche del secondo dopoguerra avrebbero ben presto messo in gravi difficoltà questi due poli di sviluppo industriale voluti e pensati per rompere in qualche modo i lacci che inchiodavano la società e l'economia ferraresi ai ceppi della irrisolta "questione agraria".

Da Franco Cazzola