Miró: la terra

Scritto da  Chiara Vorrasi

Una grande retrospettiva celebra l'amore del Maestro per la nativa Catalogna

La Terre labourée (Terra arata), 1923-24. New York, The Solomon R. Guggenheim Museum.Celebrato come uno dei massimi artisti del Novecento, Joan Miró occupa, nell'ambito della storia dell'arte moderna, una posizione assolutamente originale. Egli ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo di alcune fra le più importanti correnti del Novecento, dal surrealismo all'informale, senza mai rimanere prigioniero di una maniera.
Non ha rinunciato, infatti, alla propria autonomia e libertà creativa e ha rimesso costantemente in discussione il successo acquisito alla ricerca di nuovi esiti espressivi, tracciando uno dei percorsi creativi più fertili e affascinanti del secolo scorso. E sebbene all'opera di Miró siano stati dedicati numerosi studi ed esposizioni internazionali, essa rivela, per complessità ed esemplarità, aspetti tuttora trascurati.


Paysage catalan (Le Chasseur) [Paesaggio catalano (Il cacciatore)], 1923-24. New York, The Museum of Modern Art. Digital image © 2007 MoMA, New York / Scala, Firenze.Con la retrospettiva allestita a Palazzo dei Diamanti, dal 17 febbraio al 25 maggio 2008, dal titolo Miró: la Terra - prima in Italia da oltre venticinque anni - Ferrara Arte ha voluto colmare una lacuna nella letteratura critica sul grande artista catalano, mettendo a fuoco un nodo centrale nella sua ricerca mai indagato in maniera sistematica: il suo legame con la terra. Tutta l'arte di Miró è segnata da un profondo amore per la nativa Catalogna, per il suo paesaggio rurale, per la sua gente e le sue tradizioni, come testimonia il suo biografo e confidente, il poeta Jacques Dupin: «Egli contemplava nello strato più profondo della sua memoria le immagini della terra e della vita contadina. Queste non cessarono mai di dimorare in lui e di alimentare la sua arte». Questa chiave di lettura inedita ha offerto l'occasione di rivisitare l'intera parabola artistica di Miró, dalla data della sua prima personale del 1918, alle opere degli anni Ottanta, mettendone in luce, come mai prima d'ora, alcuni degli aspetti più originali ed anticipatori. A tal fine sono stati riuniti diversi tra i massimi capolavori dell'artista, esposti per la prima volta nel nostro paese. Un obiettivo ambizioso, questo, che è stato raggiunto grazie all'autorevole cura scientifica di Tomàs Llorens e alla collaborazione con il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.
Peinture (Dipinto), estate 1936. Madrid, Colección Carmen Thyssen-Bornemisza, in deposito al Museo Thyssen-Bornemisza. Madrid, © foto Colección Carmen Thyssen-Bornemisza.Le radici dell'attaccamento, profondo e duraturo, dell'artista al mondo rurale sono legate ai soggiorni che, fin dalla prima giovinezza, egli trascorse a Mont-roig, nella fattoria di famiglia: qui Mirò maturò la propria vocazione artistica e qui trovò una costante e inesauribile fonte d'ispirazione.
A quest'universo contadino sono dedicate le opere giovanili con cui si apre la rassegna, tra le quali spicca La contadina, del 1922-23, che ritrae sinteticamente un interno domestico dominato da una ieratica figura femminile, signora del ciclo della vita e del lavoro rurale.
Negli anni Venti, Miró alterna i viaggi estivi a Mont-roig fantastica prende definitivamente il sopravvento e gli elementi del paesaggio sono trasfigurati in linee fluttuanti, forme geometriche e frammenti di scrittura, che compongono un universo di segni metaforici privo di ordine logico. Il punto d'arrivo di questa stagione creativa, che testimonia il fondamentale contributo di Miró al Surrealismo in pittura, è segnato dai cosiddetti "dipinti onirici", come per esempio il Contadino catalano con chitarra (1924), dall'inconfondibile fondo di colore puro, sul quale brillano pochi tocchi di tonalità accese, che evocano un'apparizione lieve e trasparente come un sogno.
Paysage (La Lièvre) [Paesaggio (La lepre)], autunno 1927. New York, Solomon R. Guggenheim Museum.La rassegna ha presentato anche due delle sei tele dipinte a Mont-roig nell'estate del 1927 ed esposte alla mostra parigina del 1928, che rappresentò per Miró il primo, autentico successo. Con questi dipinti di grande formato la terra e le figure riacquistano solidità, ma non viene meno l'aspetto visionario: Mirò rievoca qui una Catalogna primordiale dando forma a una personale rivisitazione della genesi del mondo. Sullo scorcio degli anni Venti e nei primi anni Trenta l'attrazione per l'elemento terrestre sollecita nell'artista un nuovo interesse per i materiali e per le loro proprietà visive e tattili, che, da qui in avanti, diventano componenti essenziali del suo linguaggio. L'esito, originale quanto radicale di questa riflessione è la cosiddetta "antipittura", ossia i collage, gli assemblaggi e le costruzioni natidall'accostamento di elementi eterogenei, elaborati dall'artista o trovati per caso, la cui associazione genera forme e significati
inattesi.
Paysan catalan à la guitare (Contadino catalano con chitarra), 1924. Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza.Nei "dipinti selvaggi" della metà degli anni Trenta, realizzati durante un lungo soggiorno nella sua terra, la pittura torna protagonista. In questa fase, Miró utilizza una tavolozza dalle tonalità accese e violente con cui crea paesaggi popolati da creature misteriose e deformi, nei quali si può scorgere un riflesso dei sentimenti nutriti dall'artista nell'imminenza e successivamente allo scoppio della guerra civile spagnola. Un'analoga tensione drammatica caratterizza anche la serie di dipinti su masonite dell'estate del 1936, di cui la mostra ha riunito per la prima volta cinque esemplari: sono opere che sembrano preannunciare la stagione informale per la stesura elementare del colore e per l'attenzione alle qualità materiche dell'opera, sottolineata dalla scelta di materiali grezzi come caseina, sabbia e ghiaia.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, Miró lascia definitivamente la Francia e fa ritorno in Spagna, dove trova ispirazione per un ulteriore cambiamento. Fedele al proposito di servirsi di tutti i mezzi necessari a «raggiungere lo spirito degli altri uomini» egli estende il raggio dei procedimenti praticati: si accosta alla ceramica, cimentandosi con la tecnica ancestrale della cottura con il forno a legna, e riprende la sperimentazione di nuovi materiali, adottando soluzioni che rivelano il contatto con i recenti esiti dell'arte americana ed europea. Opere tridimensionali come la Donna (1946), costruita con un osso, una pietra e un filo d'acciaio, o dipinti con sgocciolature di colore e inserti concreti, come Composizione con corde (1950), testimoniano la vitalità creativa di un artista maturo, coronato dal successo internazionale.
Personnages et oiseaux dans la nuit (Figure e uccelli nella notte), 1974. Parigi, Centre Georges Pompidou, Musée national d'art moderne. © foto CNAC/MNAM Dist. RMN/© Philippe Migeat.Un'ampia sezione della rassegna è stata poi dedicata ai lavori realizzati a partire dal 1956, dopo il trasferimento nel nuovo grande atelier di Palma di Maiorca. In questa fase, Miró si concentra soprattutto sui temi della femminilità e della sessualità. L'identità tra il tema della donna e quello della terra nell'opera di Miró è messa in luce dall'amico Dupin: «Emergendo dalla profondità della Catalogna e ritornando senza sosta, generata dall'intenso accoppiamento tra spirito e materia, questa donna è un'icona solitaria e multiforme. Plasmata con il fango della notte fino alla sua trasmutazione e alla sua ascensionesolare [...] è la terra coltivata, la terra promessa.» È un soggetto, questo, che risveglia nell'artista una sorprendente gamma di emozioni, come attestano le diverse interpretazioni presentate in mostra: dalle versioni in ceramica e in bronzo della scultura Donna del 1968, che richiamano arcaici simulacri della Madre Terra, alle drammatiche tele sul tema della Donna uccello, sino a ironiche creazioni in materiali tessili, come la Figura (post 1973).
In chiusura è stato allestito un dipinto esposto in rarissime occasioni, Figure ed uccelli nella notte del 1974, un immenso murale su tela che celebra l'aspetto misterioso della natura. In questo capolavoro della tarda maturità l'anziano maestro dà prova di un'energia gestuale sorprendente, tracciando sulla tela una foresta di segni che evoca l'incessante trasformazione dei principi vitali dell'universo.

Da Chiara Vorrasi