Alberto Lollio

Scritto da  Enrica Domenicali

Un giocatore sfortunato e autoironico nella Ferrara di metà Cinquecento
Il frontespizio dell’edizione giolitiana dell'Invettiva, pubblicata a Venezia nel 1550Nelle sue straordinarie Pagine postume pubblicate in vita, Robert Musil indica i monumenti come luoghi indispensabili per incontrarsi con gli amici, imprescindibili punti di riferimento per il viandante disorientato ma, nella maggioranza dei casi, oggetti completamente inefficaci ad evocare il ricordo del personaggio o dell'evento per il quale vennero eretti. Immaginiamo che questa affermazione possa essere estesa anche ai nomi delle strade, perentorie ed inequivocabili indicazioni dello stato in luogo ma non sempre altrettanto efficaci memorie della personalità cui si intitolano.
E' questo il caso anche della centrale via Alberto Lollio, a Ferrara, traversa di corso Ercole I d'Este. L' eclettico umanista ferrarese da cui la strada prende il nome era, ai suoi tempi, una personalità di spicco ma ora vale la pena rispolverarne un po' i meriti. Fu un intellettuale onnivoro, appassionato degli studi classici non meno che della matematica, fondatore insieme a Celio Calcagnini della sofisticata quanto effimera Accademia degli Elevati e dieci anni dopo, ormai a metà del Cinquecento, di quella dei Filareti.


Il frontespizio del manoscritto della Risposta.Traduttore dal latino, sostenitore del toscano nell'annosa questione della lingua, oratore, filantropo e mecenate è ricordato dal Guarini come "filosofo eccellentissimo e di gran fama, il quale compose diverseopere per la sua dottrina stimate molto, ed in particolare una Orazione della villa molto celebrata." Molto ancora è stato detto sulle favole pastorali del Nostro, l' Aretusa e la Galatea, specie con riferimento ai due grandi che lo precedettero e seguirono immediatamente, Ariosto e Tasso, ma un richiamo d'attenzione speciale, aggiornato e complessivo sulla sua personalità era atteso con il sessantacinquesimo volume del Dizionario Biografico degli Italiani, la cui recente uscita ha però deluso le aspettative. Qui infatti, dedicate ad Alberto Lollio, sono comparse giusto un paio di pagine di tono meramente compilativo, con essenziali cenni bio-bibliografici, e un'elencazione delle opere che, curiosamente, si conclude sostenendo che il Nostro compose un paio di opere " non identificate" per l'Accademia bresciana degli Occulti, tra cui un'invettiva contro i tarocchi.L'affermazione lascia perplessi perché l'Invettiva contra il giuoco del tarocco del Lollio è un testo apparso fin dal 1550 presso Gabriel Giolito, importante editore in Venezia, e poi più volte ripubblicato. Soprattutto, lungi dall'essere "non identificato", è un testo molto frequentato dai contemporanei storici del gioco che vi ricercano una testimonianza di prima mano sul gioco di carte a metà del XVI secolo. Si tratta di una piccola opera composta con i toni violenti ed iperbolici che ben si addicono al genere dell'invettiva. Lollio, del resto, dominava perfettamente la materia; era un letterato intriso di cultura classica, con un'assoluta padronanza delle tecniche della retorica, abile interprete dell'oratoria di l’Iinnamorato - Tarocchi di “Carlo VI”, Ferrara (1470-80), Parigi, Bibliothèque National, Cabinet des Estampes.ascendenza ciceroniana. Anche qui, nonostante la veemenza irata delle accuse, non dimentica la rituale invocazione alle Muse - quasi ci trovassimo all'incipit di un poema epico -perché lo sostengano nell'impresa e diano incisività alla sua denuncia. Obiettivo dichiarato del Lollio è screditare il gioco, metterne allo scoperto la natura ingannatrice e maligna. I toni e l'enfasi sono da tregenda. Ma è davvero possibile che un oratore così raffinato si scagliasse con tanto spropositato accanimento contro un gioco di carte, quasi rappresentasse la summa di tutti i vizi? Se gli prestiamo orecchio lo sentiamo dire che il gioco, e quello del Tarocco in particolare, deve essere messo al bando, annientato, cancellato dalla faccia della terra, insieme a quanti lo praticano e a coloro che realizzano le carte da gioco, ai colori con i quali le dipingono, alla stupidità sconclusionata dei soggetti che rappresentano. Lollio afferma di voler sfogare il suo sdegno contro chi l'ha offeso a torto, ovvero il gioco, "scelerato inventor di tutti i mali", e da qui prorompe in un'inarrestabile declinazione di tutte le miserie, atrocità, scelleratezze compiute dagli stolti ai quali il gioco ha tolto, oltre le sostanze, la ragione, la libertà, il decoro: c'è chi ha perso tutto e si vende i denti, i capelli pur di restare in gioco, chi si rende schiavo, chi fa mercimonio di mogli e figlie, chi getta sul lastrico ascendenti e discendenti. La fonte di ogni sciagura è il gioco, perciò bisogna starne alla larga e se Lollio si lascia indurre a parlarne è contro voglia, giusto per una questione d'onore, d'orgoglio, per non tacere gli infami oltraggi subiti. Davvero il Il Re di Spade e Il Mondo, Tarocchi Biscari - Benedettini, Ferrara (1450-60), Catania, Museo di Castello Ursino. Il Re di Spade e Il Mondo, Tarocchi Biscari - Benedettini, Ferrara (1450-60), Catania, Museo di Castello Ursino.Tarocco è traditore: ci sono troppe carte, richiede una memoria fuori del comune, per colpa sua il poeta ha perduto molti e molti scudi! Gran colpe ha chi ha ideato un simile gioco, che deve essere senz'altro un perdigiorno, un malandrino che per sbarcare il lunario si è inventato certe filastrocche da bambini e personaggi senza senso come il Bagattella e il Matto, per non parlare di "quel nome fantastico e bizzarro di Tarocco senz'ethimologia". Come noi anche il Lollio si è dunque interrogato sul significato e sull'origine di questo nome, ancora oggi oscuro. L'invettiva si chiude invocando un rogo dei Tarocchi, la sparizione di chi possa più intagliarne le matrici per la stampa, il prosciugamento degli inchiostri per colorirli e, insomma, la definitiva cancellazione della loro memoria.Eppure, tra tante accuse e vituperi, viene fuori che c'è stato un tempo in cui Lollio era del parere che "il più bel gioco che si possa giocare a Carte, fosse quel del Tarocco", giocato anche dagli uomini illustri del passato, fin dai condottieri negli assedi, nelle pause delle battaglie.... Tanta ostentata acrimonia risulta alla fine assai sospetta e questo pamphlet ha tutta l'aria di essere un divertissement del nostro raffinato concittadino. Fin dal 1980 Michael Dummett, nel suo The Game ofTarot, aveva scandagliato l'Invettiva cercandovi una testimonianza "dal vivo" del gioco, e Thierry Deaulis nel bel catalogo della mostra parigina del 1984 alla Bibliothèque National, Tarot, Jeu et magie, ne aveva sottolineato l'interesse per la storia del costume ma solo nel 1987 il duplice intervento di Franco Pratesi , - l'uno nel catalogo della fortunata mostra ferrarese I Tarocchi, l'altro sul "Journal of the International Playing Cards Society" vol XV, n. 4 - ha posto in luce l'altra faccia dell'Invettiva: una risposta in terza rima di tal Vincenzo Imperiali che ribatte punto per punto le esagerazioni di Lollio.
La Risposta di M. Vincenzo Imperiali all'Invettiva di M. liberto Lollio contra il giuoco del Tarocco, è contenuta, insieme all'Invettiva, in un manoscritto di trenta carte della ferrarese Biblioteca Ariostea, segnato ms. 257, vergato di pugno dello stesso Lollio.
Il Bagatto, Tarocchi di Ercole I d'Este [post 1473], New Haven (Connecticut), The Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Cary Collection.L' Imperiali appare subito a conoscenza di molti particolari: Lollio non fa della teoria, è un giocatore egli stesso e anche il giorno che ha composto l'Invettiva aveva giocato col podestà e col cardinale Giulio. Ha perso tre scudi ma che sarà! Quanto si è divertito con questo gioco piacevole ed intelligente? E per ricompensa lo vuole annientare? Proprio il Tarocco, un passatempo innocente, giocato anche dalle signore, anzi, dalle "più nobili matrone d'Italia", che ci si divertono onestamente e senza trovar di che litigare o questionare, assistite unicamente dal loro intelle tto perchè, come dice Imperiali, "difende ognuna sol la sua ragione". Sono ben altri i giochi truffaldini, la Bassetta per esempio è: [...] un gioco sol da truffatori, / Ladro, crudel, mendace, empio e profano. / Ma ‘l giuoco del Tarocco è da Signori, / Principi, Re, Baroni et Cavalieri, / Per questo è detto il giuoco degli honori." E che i Tarocchi siano un gioco da signori non c'è dubbio: nacquero infatti presso le Corti dell'Italia settentrionale nel XV secolo, molto probabilmente in relazione a giochi o esercizi di mnemotecnica. I natali sono contesi tra Milano e Ferrara, con una propensione per Ferrara dove il gioco è documentato fin dal 1442, alla Corte di Lionello d'Este, e da dove provengono alcuni tra i mazzi più antichi e più belli, come quelli delle collezioni Biscarie Benedettini, ora al  museo catanese di Castello Ursino, quelli di "Carlo VI" del Louvre o quelli realizzati per le nozze di Ercole I d'Este ed Eleonora d'Aragona conservati alla Beinecke Rare Book and Manuscript Library di New Haven (Connecticut). I Tarocchi con i quali giocava Lollio a metà del Cinquecento non erano più quelli miniati ma, com'egli stesso ci riferisce, le figure erano assolutamente le stesse: tutti e 22 gli arcani maggiori sono citati nell'Invettiva e nella Risposta: dal Matto alla Torre, alla Temperanza al Mondo. Certo anche allora il gioco d'azzardo godeva di una pessima reputazione e le leggi lo perseguivano tanto severamente quanto inefficacemente. Al Tarocco però era riservato un occhio di riguardo: non si trattava infatti di un gioco di pura fortuna ma di un gioco d'ingegno, dove l'accortezza e l'intelligenza del giocatore potevano fare la differenza. Il Tarocco era un gioco di strategia, come gli scacchi e si sa che entrambi erano tra i passatempi più apprezzati dagli Estensi. Quando il futuro duca Ercole II, coetaneo del Lollio, aveva solo otto anni, si compravano per lui insieme ai classici latini anche i tarocchi perché, come suggeriva l'acuto ed indimenticato Maestro Adriano Franceschini, nella vita quotidiana del principe il tempo dedicato agli scacchi o ai tarocchi era certo superiore a quello "dedicato a Plinio e a Columella, e bisognava acquisire presto abilità e destrezza per nonfarsi spennare da nobili sfaccendati o da giocatori di professione." Anche al Tarocco infatti si giocavano denari e si poteva vincerli o perderli.
Lo sapeva bene Alberto Lollio, a giudicare dal tono della sua Invettiva, anche se le somme da lui perdute non sembra siano state gran cosa, almeno a detta dell'Imperiali.
Già, l'Imperiali, ma chi era? Cosa sappiamo di lui? L'Antonelli, nell'Indice dei Manoscritti della Civica Biblioteca di Ferrara, cita l'Invettiva con annessa la risposta e dice "Il nostro Alberto dopo la sua composizione ha trascritto in codesto codicetto, di propria mano, la risposta inedita, che alla sua invettiva fece in terza rima Vincenzo Imperiali. Di questo autore non ho saputo trovare notizia alcuna".
Un'unica grafia, il livore esasperato dell'Invettiva contrapposto specularmene all'ironia faconda della Risposta sono indizi che ci portano verso una paternità unica per le due composizioni. Lollio esibisce indignazione ed ira, magari effettivamente dopo una partita sfortunata, per poi farsi beffe di sé stesso ed indossare i panni del suo doppio letterario, l'eloquente e virtuale Vincenzo (colui che vince?) Imperiali. Lo spirito di questa finzione si addice perfettamente alla figura del Lollio, intellettuale versatile e poliedrico che amava sopra ogni cosa ritirarsi per lunghi periodi nella sua villa fuori città, quella che lui chiamava "il Museo Lolliano", a Monestirolo, dove poteva attendere indisturbato ai suoi studi prediletti ma anche dedicarsi "....a tutte le maniere di giochi leciti et dilettevoli", come ricorda nella sua Lettera in lode della villa, ripresa coltissima di un topos letterario già caro agli antichi e ora paradigma di una società di eletti che nella vita agreste distillava la contemplazione e la conoscenza senza negarsi i piaceri di semplici passatempi come la conversazione, il ballo e, naturalmente, il gioco, quello appassionante del Tarocco in primis.