Non è questa la sede in cui farne un resoconto dettagliato, ma è giusto evidenziare che anch'essi, ancora così importanti per Ferrara, hanno dovuto pagare un tributo gravoso.
È sotto gli occhi di tutti la devastazione sistematica, nella zona del "cratere", degli edifici rurali, in massima parte eredità dell'appoderamento ottocentesco, che davano al paesaggio un aspetto inconfondibile. Sono totalmente o parzialmente crollati, o sono stati gravemente lesionati, case rurali, stalle-fienili, caselle, forni ed edifici che nell'evolversi dell'agricoltura avevano mutato destinazione, in un rinnovato assetto fondiario che vede predominare le piccole e medie aziende e la scomparsa della zootecnia. Così tali fabbricati sono stati in gran parte utilizzati come magazzini e depositi di attrezzi che, in moltissimi casi, sono rimasti sotto le macerie. Gli impianti fotovoltaici posizionati sui tetti rovinati al suolo sono andati distrutti. Essiccatoi ed unità di frigoconservazione e trasformazione hanno subìto offese.
Il danno più evidente e più grave è quindi quello al patrimonio immobiliare. Le abitazioni dovranno essere restaurate o ricostruite, mentre i fabbricati con funzioni di magazzino o di ricovero degli attrezzi dovranno essere sostituiti con nuove strutture più razionali; in entrambi i casi, naturalmente, seguendo criteri di intervento antisismici. Un lavoro immane se si pensa all'estensione dell'area interessata dal sisma: dal recupero alla demolizione totale dei fabbricati coinvolti non più risanabili per ragioni economiche, allo sgombero delle macerie, alla progettazione di nuove strutture; lavori che richiederanno progetti, pratiche edilizie, permessi richiesti ai Comuni e, in molti casi, alle Soprintendenze, disponibilità di professionisti e di imprese costruttrici e poi, naturalmente, ingenti risorse finanziarie. Il tutto con urgenza perché mancano i ricoveri: in molti casi le attrezzature sono conservate all'aperto e con l'attività produttiva primaverile, ma anche in seguito, prodotti, sementi e concimi dovranno necessariamente essere protetti. L'attrezzatura perduta va ricostituita, quella danneggiata sarà riparata: con la crisi economica in essere è difficile prevedere, infatti, una sua sostituzione.
Nelle zone più interessate alla liquefazione (i Comuni di Sant'Agostino e Mirabello) se ne sono viste di tutti i colori: fessurazioni più o meno vaste del terreno, piccoli vulcani di sabbia, crateri, esondazioni di acqua e fango fortunatamente limitate, ondulazioni del terreno, tutti fenomeni di cui ci si è resi conto, in buona parte, dopo la raccolta dei prodotti, ad eccezione di alcune evidenze eclatanti.
Ma non è tutto. Canali di irrigazione rivestiti in cemento si sono rialzati, sia pure per brevi spazi, voragini e dossi si sono creati sulle strade ridotte a circuiti da motocross. Danni, infine, hanno subìto i pozzi artesiani – alcuni "sparati in alto", altri riempiti di sabbia, argilla o limo – e alcune idrovore, fondamentali per regolare l'afflusso delle acque per l'irrigazione e lo smaltimento delle stesse in occasione di
nubifragi: danni tali da suscitare gravissime preoccupazioni.
Per i prodotti è andata meglio (se si eccettua la perdita di scorte, e di prodotti finiti), né poteva essere diversamente. Ma purtroppo una persistente storica siccità protrattasi per alcuni mesi ha determinato il crollo verticale dei redditi aziendali dovuto ad appezzamenti di soia e mais non trebbiati, all'effetto indotto di aflatossine nel mais, ad un'inconsistente raccolta bietole, ad una scarsa pezzatura dei frutti e a costi onerosi per l'irrigazione di soccorso.
Che i nostri nonni avessero ragione sull'anno bisestile? Con quali pensieri affrontare il 2013? Senz'altro con lo spirito forte con cui si è affrontata l'emergenza fin da subito. Con pragmatismo, in genere, ci si è rimboccati le maniche, non avendo neanche il tempo di piangere sui danni subìti, ma ringraziando Dio, anzi, di essere scampati ad una sorte ben peggiore. Anche con rischio personale, si è cercato di salvare il salvabile, soprattutto attrezzature e scorte, di rimuovere coppi e macerie, con il cuore più che con la testa, col pensiero rivolto al mantenimento del processo produttivo aziendale, volendo reagire immediatamente e pensando già alla ricostruzione.
Già, la ricostruzione! È singolare che in una nazione in cui i terremoti purtroppo sono all'ordine del giorno, ad ogni accadimento l'amministrazione pubblica ricominci da zero.
Non viene il dubbio che siano necessari un "Protocollo" o un "Testo Unico", a livello nazionale, frutto di tutte le esperienze maturate in questi decenni di disastri, grazie ai quali gli enti preposti siano in grado, in breve tempo, di dare garanzie e certezze sui provvedimenti, sulle modalità operative e su tutte le procedure di controllo?
È possibile, inoltre, che gli italiani godano dello stesso trattamento economico a parità di danni? Non pare che ciò sia accaduto se si confronta l'esperienza de L'Aquila con quella emiliana.
Per tornare all'agricoltura, formulo un auspicio: che nella ricostruzione degli edifici rurali le amministrazioni pubbliche dimostrino tempestività, trasparenza e buon senso sottraendosi ad una burocrazia asfissiante; che le Soprintendenze pretendano solo in casi limitati e particolari, ove fossero vincolati, la ricostruzione dei fabbricati rurali crollati o lesionati gravemente, "come erano e dove erano", per evitare di disseminare le nostre campagne di desolati cumuli di macerie non rimosse; che, infine, i conduttori di aziende, i veri danneggiati, colgano l'occasione per razionalizzare al massimo i costosi investimenti purtroppo necessari.





Il terremoto del 20 e 29 maggio 2012
Bilancio provvisorio di un'esperienza drammatica
Il terremoto in Emilia è un evento che ha lasciato solchi profondi, ha creato sofferenze ed ha aggiunto difficoltà a quelle indotte dalla crisi economica. Ma c'è stata una reazione straordinaria a questa sciagura. Da parte della gente, delle imprese, dei lavoratori, che da subito hanno dimostrato nei fatti che queste comunità così colpite vogliono e sanno come rimettersi in piedi. Senza chiedere nulla di più, nulla di meno.
La reazione al devastante “respiro della terra”
Coraggio e solidarietà
Da quel profondo e micidiale "respiro della terra" che dal 20 maggio scorso ci ha fatto scoprire più fragili, sono passati diversi mesi. Se è nelle difficoltà che si vede la capacità di reagire di una comunità, quella ferrarese ha dimostrato una straordinaria forza, capace di gesti di valore e, talvolta, di autentico eroismo, molti dei quali non saranno forse mai scritti o narrati.
Fare impresa in un’area terremotata
Volontà, pragmatismo e inventiva
A tremare è stata certamente la terra, sono stati certamente gli edifici storici, le infrastrutture e le abitazioni private, ma le scosse del maggio 2012 hanno colpito in modo esteso e violento anche l'area più produttiva della nostra provincia, quell'Alto Ferrarese che raccoglie la gran parte dell'attività industriale del nostro territorio.
“Siamo qui, non ce ne siamo andati”
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A otto mesi dal terremoto è possibile fare il punto della situazione, analizzando quello che è stato fatto. È con orgoglio che, da piccolo imprenditore, posso affermare come, dopo il dolore e lo sconforto dei primi momenti, i miei colleghi e gli artigiani hanno reagito rimboccandosi le maniche, e rimuovendo le macerie da case e aziende. Il sisma ha distrutto o gravemente danneggiato migliaia di capannoni,
Il comparto agricolo e il terremoto
Fatti e considerazioni
La vecchia cultura rurale faceva gli scongiuri e temeva gli anni bisestili. Nel 2012, anno bisestile, siamo stati testimoni di un catastrofico terremoto e di una disastrosa siccità che hanno colpito contestualmente il patrimonio immobiliare rurale, e non solo, ed i redditi agricoli di una vasta zona dell'Alto Ferrarese.
Il mondo agricolo e il settore agroalimentare hanno subìto gravi danni.
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Il comparto agricolo e il terremoto
Scritto da Giacomo AgarossiFatti e considerazioni
La vecchia cultura rurale faceva gli scongiuri e temeva gli anni bisestili. Nel 2012, anno bisestile, siamo stati testimoni di un catastrofico terremoto e di una disastrosa siccità che hanno colpito contestualmente il patrimonio immobiliare rurale, e non solo, ed i redditi agricoli di una vasta zona dell'Alto Ferrarese.
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Num. 36