Una protagonista silenziosa della vita culturale ferrarese
Lo scorso 16 marzo è venuta a mancare Berenice Giovannucci Vigi. Studiosa dell'arte emiliana nonché storica insegnante del Dosso Dossi, Berenice è stata una protagonista – silenziosa e discreta, com'era nel suo stile – della vita culturale ferrarese degli ultimi trentacinque anni. Chi ha avuto la fortuna di frequentarla, colleghi, allievi, amici o semplici conoscenti, non poteva che rimanere colpito dalla sua straordinaria energia, dalla sua voglia incontenibile di fare, dall'urgenza del condividere le proprie passioni e il suo amore per l'arte. Nata a Bologna nell'agosto del 1947, ha studiato storia dell'arte con Francesco Arcangeli. Laureatasi nel 1974, arriva Ferrara l'anno successivo, quando sposa l'amato Vittorio. Come accennato, la vita professionale di Berenice si è mossa su due binari che spesso si sono incrociati: la sua attività di insegnante di storia dell'arte e quella di storica dell'arte. Professoressa attenta e generosa, studiosa di grande spessore, in entrambi i campi Berenice ha profuso la passione e la determinazione che le erano propri. Il contatto continuo con il mondo della scuola e con i giovani l'avevano portata a maturare la convinzione – ben registrabile nei suoi articoli, nei suoi saggi e nei sui libri – che la funzione prima dello storico dell'arte fosse quella di comunicare e far conoscere agli altri la bellezza, salvaguardare il patrimonio storico e artistico del nostro Paese, di trasmettere l'emozione che i grandi capolavori sanno donare e, al contempo, far riscoprire o far rivivere esperienze relative a opere o ad artisti considerati minori. È questo il credo che ha animato tanto la sua ricca produzione scientifica quanto quella divulgativa. Con attenzione e dedizione si è occupata di ambiti spesso dimenticati, riscoprendo territori poco noti o poco frequentati. Non vi è settore della storia dell'arte emiliana nella cui bibliografia di riferimento non si ritrovi un suo libro, un suo saggio, una sua segnalazione, a testimonianza dei suoi tanti interessi e della sua vivace curiosità.
Nel campo della pittura, ad esempio, privilegiò indagare gli aspetti legati al sacro nel Sei e Settecento; in questo senso, e prima di altri, si è dedicata a tracciare un percorso, un panorama, della pittura delle chiese estensi dopo la devoluzione. In questi ambiti, sono da menzionare alcuni dei suoi studi più noti sulla cultura figurativa emiliana, come quelli su Giuseppe Antonio Ghedini (indagato una prima volta nel 1979 e poi ancora nel 2001, in relazione all'amata chiesa di Santa Maria in Vado), sull'iconografia del Cristo crocifisso nel Seicento ferrarese (1980), sul Rosario nell'arte emiliana (1988), sul Guercino a Cento (1991) e sul pittore centese Marco Zoppo (1993).
Di grande rilevanza le ricerche sul paesaggista lombardo, ferrarese di adozione, Giuseppe Zola (2001), cui ha dedicato pagine che restano imprescindibili per lo studio del paesaggio.
Altra sua passione è stata la miniatura. Da giovanissima, verso la fine degli anni Settanta, in controtendenza rispetto agli studi dell'epoca che privilegiavano l'aspetto cortigiano e profano, aveva scelto di approfondire le tematiche legate alla miniatura sacra estense del tardo Quattrocento, riscoprendo per prima, attraverso l'analisi dei codici del Museo della Cattedrale, la figura dell'Argenta in un saggio del 1983, pubblicato sulla nota rivista «La Bibliofilia».
La scultura ferrarese è stata un'altra sua grande predilezione, maturata attorno al 2000, i cui esiti sono confluiti nel prezioso volume Scultura e scultori a Ferrara: 1598 - 1796, pubblicato nel 2004 per iniziativa della Fondazione Carife. Berenice aveva in animo di scriverne una sorta di appendice, di seconda parte, e solo la prematura scomparsa le ha impedito di portare a termine il lavoro che avrebbe potuto contare sul sostegno della stessa Fondazione e della Cassa di Risparmio di Ferrara, istituzioni con le quali la studiosa ha dialogato ininterrottamente sin dal 1984.
Ma è alla Cattedrale, la chiesa madre della città estense, e al Museo che ne documenta la millenaria storia, che il nome di Berenice Giovannucci Vigi si lega a doppio filo. Se alla Cattedrale ella ha dedicato nel 2000 una celebre e fortunata guida, il Museo del Duomo, come amava chiamarlo, ha costituito il fulcro costante dell'attività di studiosa, al punto che anche al di fuori delle mura cittadine l'immagine di questa istituzione è associata alla figura di Berenice. Per circa vent'anni ne ha rappresentato la memoria storica, ne è stata la massima conoscitrice; battutasi strenuamente in passato per la sua valorizzazione, da oltre dieci anni, dopo il trasferimento della collezione nell'ex chiesa di San Romano e in qualità di membro del Consiglio di Gestione del Museo, aveva assunto il ruolo di infaticabile animatrice delle sue attività culturali.
Un amore antico, sbocciato sin da giovanissima, che la spinse a preparare da neo-laureata un libro stampato privatamente in un numero limitato di copie di introduzione ai capolavori del Museo. Questo stesso scritto è diventato poi il testo della prima guida moderna di questa istituzione, edita nel 1979, cui seguiranno negli anni altri studi e altre ricerche. Nel 1989, in particolare, pubblica il primo catalogo scientifico del Museo della Cattedrale, un lavoro pionieristico e per certi versi titanico, che diventerà una pietra miliare degli studi sull'arte estense, un'opera che ha consentito a generazioni di studiosi di avvicinarsi alla grandiosa terribilità del San Giorgio e il drago di Tura, al naturalismo del Maestro dei Mesi, all'agiografia maureliana e giorgiana degli arazzi di Karcher, alla grazia possente della Madonna della Melagrana di Jacopo della Quercia.
Non è una formula rituale affermare che al Museo della Cattedrale Berenice ha consacrato la sua vita. Lo prova il fatto che il suo ultimo sforzo, compiuto quando già la malattia avanzava, sia stato quello di promuovere, realizzare e portare a termine il nuovo catalogo scientifico delle collezioni, stampato nel 2010 grazie al sostegno del Capitolo della Cattedrale e della Fondazione Carife, impresa che Berenice avvertiva come una necessità dopo il fiorire degli studi sull'arte ferrarese degli ultimi anni.
Per questo suo ultimo lavoro ha voluto accanto a sé studiosi già affermati ma anche giovani ricercatori, convinta com'era, specie negli ultimi anni, che la scienza e la storia possono progredire solo attraverso il dialogo e il confronto con le nuove generazioni. Anche per questo mancherà molto la sua figura: mancherà a tutti gli amanti dell'arte, ai giovani laureandi o ai ricercatori già affermati, che chiedevano consiglio, confronto e spesso conforto, trovando la porta di corso Giovecca 90 sempre aperta e Berenice pronta ad accoglierli con un bonario e incoraggiante sorriso.