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Anni folli Parigi capitale delle arti "La modernità – questo gran mistero abita ovunque a Parigi: la si ritrova ad ogni angolo di strada, accoppiata a ciò che era un tempo, prega di ciò che sarà. Come Atene ai tempi di Pericle, oggi Parigi è la città dell'arte e dell'intelletto per eccellenza. È qui che ogni uomo degno del nome di artista deve esigere il riconoscimento dei propri meriti". Giorgio de Chirico, Vale lutetia, «Rivista di Firenze», n. 8, febbraio 1925 Durante gli anni Venti del secolo scorso Parigi è il palcoscenico e, al tempo stesso,
Il Meis Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah Un gradissimo pannello verso via Rampari di San Paolo e un altrettanto visibile pannello con recinto di cantiere sul lato di via Piangipane, segnalano da quasi un anno un luogo che diventerà speciale all'interno della città di Ferrara: il MEIS, Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah, alla cui realizzazione stanno lavorando operativamente dal 2009 il Ministero per i beni e le attività culturali,
Avventura nelle "Valli" Ieri e oggi nel Parco del Delta del Po In un primo tempo ci aveva entusiasmato e divertito. Poi cominciammo ad ammutolirci, ad aver paura. Eravamo due compagni di scuola, otto anni compiuti da poco. E quel giorno alla Mesola s'era in gita con mia madre. Lei amava le infinite varianti del paesaggio ferrarese, quello storico, umanizzato delle città e quello naturale, fosse coltivato o ancora selvaggio. Come alla Mesola, appunto.
Una lettura e un commento Verità e memoria nell'ultimo lavoro di Aron Leoni Aron Leoni (1932-2010), figlio di Leone Leoni, rabbino capo di Ferrara e di Venezia, e di Gemma Ravenna Leoni, ha derivato dai genitori la passione per la cultura ebraica. Dottore in Agraria, è stato dirigente della "Vita Mayer Corporation" e rappresentante delle industrie cartarie italiane presso il Parlamento Europeo di Bruxelles. Ritiratosi dall'attività, si è totalmente dedicato allo studio della storia e della cultura
Franco Patruno: scrivere l’arte, vivere dell’arte La Fondazione pubblica un'antologia dei suoi scritti per «L'Osservatore Romano» Vede la luce, a quattro anni dalla scomparsa dell'autore, Equivalenze, o dello scrivere l'arte. Scritti per «L'Osservatore Romano», di don Franco Patruno: curata da Massimo Marchetti, l'antologia – che spazia lungo dieci anni di interventi sull'«Osservatore» – contiene interviste, speciali, recensioni di mostre e di film,

Avventura nelle "Valli"

Scritto da  Folco Quilici

Ieri e oggi nel Parco del Delta del Po

In un primo tempo ci aveva entusiasmato e divertito. Poi cominciammo ad ammutolirci, ad aver paura. Eravamo due compagni di scuola, otto anni compiuti da poco. E quel giorno alla Mesola s'era in gita con mia madre. Lei amava le infinite varianti del paesaggio ferrarese, quello storico, umanizzato delle città e quello naturale, fosse coltivato o ancora selvaggio. Come alla Mesola, appunto.

 Alcuni giorni dopo la fine dell'anno scolastico, ai primi di giugno aveva detto: «Mi offrono un'auto per portarmi a dipingere in Valle. Vieni anche tu, e se vuoi porta un amico. Là vi sentirete esploratori di un mondo selvaggio, come quello del vostro amico Salgari».

Non immaginava che quella battuta sarebbe stata confermata da quanto avremmo vissuto. Ovvero "l'effetto giungla", per citare quella parola, appunto!, salgariana, riferendola al bosco fitto di canne ed apparentemente sterminato dove noi ragazzi finimmo con il perderci.

A dirla così, è difficile immaginare un bosco di canne capace di mettere paura. In realtà quella vegetazione si distendeva, eguale, sino a chissà quale distanza. Assai più alte di tre metri, svettavano su terreno sabbioso, con tronchi nodosi grossi come quelli di un alberello. Le loro fitte foglie taglienti e fruscianti, impedivano la vista del cielo, del sole, delle nubi. Formavano un soffitto vegetale uniforme, che impediva l'orientamento. E rendeva quell'atmosfera soffocante.  A terra non si notavano tracce di sentieri. E noi, presi inizialmente dallo "spirito d'avventura", inoltrandoci in quel territorio con bambinesca incoscienza c'eravamo messi nei guai. Ce ne rendemmo conto quando cominciammo a sentire un crescente desiderio di tornare sui nostri passi, e ci accorgemmo di non sapere se dirigerci a destra o a sinistra. Se andare avanti o tornare indietro. Al divertimento, allo scherzo si sostituiva, come ho detto, una dose crescente di paura. Anche perché non s'udiva risposta ai nostri richiami, ripetuti a gran voce sperando di ricevere una risposta. Dovevamo andare di qua o di là? Non so quanto sia durato quello smarrimento, nel ricordarlo tendo forse a dilatare i tempi; ma di certo quel momento si protrasse a lungo, e si risolse solo quando infine udimmo suonare ripetutamente il clacson dell'auto che ci aveva portato alle Valli.

Di lì a poco, con la pittrice che aveva concluso il suo lavoro, si tornava a Ferrara, senza dir parole del nostro azzardo in quella selva subdola ingannatrice. Dimenticai tutto, ovviamente sino a un giorno di molti anni dopo. In una primavera, agli inizi degli anni Settanta, mi stavo impegnando per un lungo lavoro cinematografico, uno dei sedici film della serie "L'Italia dal cielo", che tanto mi interessò realizzare e dalla quale ho avuto molte soddisfazioni (non solo allora, ma anche adesso: la serie viene replicata con successo in un programma Rai, quarant'anni dopo la sua produzione).

Sulle Valli e il Parco del Delta avevo volato nella luce di un giugno splendidamente limpido; prima ad alta quota, poi sfiorando acque, lembi di terra, e fitte macchie verdi. Oltre alle acque e alle distese verdi sorvolammo piccoli centri abitati, casoni abbandonati ed altri dai quali sbucò qualcuno a salutarci. Immagini di vita disseminate nella vastità di quel paesaggio, dove la realtà si raddoppiava nel cielo riflesso nelle superfici a specchio. E l'uomo, pareva un nulla nel paragone. Il poeta-scrittore Alberto Bevilacqua, parlando della mia e della sua esperienza nel mondo delle Valli, ricordò uno dei tanti suoi incontri in quell'ambiente singolare. E mi disse di uomini che: «... interpretavano i segni della natura. E nei sentieri tra acque e boschi se ne andavano nelle notti con stoppie ardenti. Ne vidi alcuni aggirarsi con quelle fiamme che tenevano sospese sulle mani. Dentro gli aloni, che si spostavano seguendo un calcolo magico, le loro teste sembravano di angeli dalle ali viola». Sono tornato più volte nelle Valli.  Insieme a mio figlio Brando che, nei primi anni Ottanta iniziava il suo mestiere di regista, realizzammo il film Le Ali del Delta, documentando i primi passi del Parco naturalistico creato dall'Amministrazione ferrarese. (Mi piacerebbe tornare oggi a filmare dopo quarant'anni negli stessi ambienti protetti; e mettere così in risalto quanto si è fatto per preservare, migliorare e far conoscere luoghi di tanto incanto e bellezza).

Parlai di quella ricchezza con un poeta, Augusto Frassinetti, e lui per commentare le visioni del Po e del Delta che avevo filmato, scrisse: «I fiumi furono venerati dagli antichi come dei, come sovrani dei territori che attraversavano.   Caduto il mito, dimessi sacrifici e riti propiziatori, non è venuto meno il loro fascino regale, il fulgore incorruttibile dei loro diademi: quelle oasi di verde a volte tenero a volte oscuro, tra acque dai toni più diversi, come comandano i riflessi del cielo». Nel concludere, vorrei di nuovo citare mia madre. E non certo per stucchevole "mammismo" ma per quel suo amore per le Valli che in parte mi ha trasmesso. Il suo rapporto con quel mondo nasceva dal fatto che Lorenzo, suo padre, mantovano esperto nelle colture di riso, fu inviato agli inizi del Novecento nelle Valli ferraresi per studiare se vi si potesse creare una coltura di riso su vasta scala. Per quattro anni, la famiglia Buzzacchi risiedette a Ca' del Bosco, ai margini della Mesola.  In quel mondo Mimì, la sua figlia maggiorenne, crebbe "nel cuore di una natura meravigliosa" come lei ripeteva spesso. Più che naturale, quindi, che la sua passione continuasse nel tempo. Le Valli erano rimaste nel suo ricordo come un Eden favoloso. Quando nel '55 tornai dagli atolli Tuamutu, in Oceania, oltre al film riportavo foto che non tardai, al ritorno, a mostrarle. Appena le vide, lei restò un attimo sovrappensiero poi aprì la porta del suo Studio, e mi mostrò le tavole dei suoi ultimi lavori: quadri dipinti tra le Valli e il Delta.  Ci abbracciammo, avevamo amato e ritratto due paesaggi del mondo che nella loro unicità specchiavano identica bellezza: orizzonti aperti in successione di linee orizzontali, lembi di terra sospesi tra acque e cielo, macchie d'azzurro profondo e di verdi cangianti. Del paesaggio che avevo documentato nell'altra parte del mondo, lei ne aveva colto eguale fascino in visioni vicine, famigliari. Eravamo rimasti egualmente affascinati da due mondi magici composti in una natura modellata da forme e colori unici.

Da Folco Quilici