Uno speciale legame a distanza
Se Mazzini abbia mai messo piede a Ferrara non si sa. Dei suoi legami politici con Ferrara nel 1849, hanno scritto Alessandro Levi e Costantino Panigada nel loro saggio L'elezione di Giuseppe Mazzini a deputato di Ferrara alla Costituente romana del 1849 (Ferrara, Zuffi, 1919). Vale la pena peraltro di ricordare che il futuro triumviro optò per il Collegio di Roma, dove era stato ugualmente eletto, e suggerì come successore l'argentano Gaetano Lizabe Ruffoni, suo collaboratore. Senza dubbio il rapporto politicamente più significativo egli l'ebbe con il comacchiese Gioacchino Bonnet, suo punto di riferimento per il tentativo di insurrezione nel Veneto, come testimoniano le numerose lettere a lui inviate nei primi anni Sessanta, assieme ad una specie di codice per decifrare la corrispondenza segreta. Tuttavia, chi ricercasse nell'immenso epistolario mazziniano ed in quello più esiguo di sua madre Maria, ritroverebbe, in momenti significativi della loro febbrile attività, uno speciale legame con Ferrara ed alcuni ferraresi, a cominciare dal giovane Tancredi Mosti, futuro comandante dei Bersaglieri del Po. Nel settembre 1846, la contessa Gianna Maffei Mosti, madre di Tancredi, vedova di Ercole Mosti e da tempo legata affettivamente a Gaetano Recchi, futuro ministro dell'Interno del governo costituzionale di Pio IX, aveva seguito costui al Congresso degli Scienziati Italiani a Genova portando con sé il rampollo ventenne nella speranza che egli si acculturasse, facesse amicizie in un contesto eminente per sapere e virtù civili. Tancredi era però soprattutto ansioso di fare un tour europeo, ripercorrendo le orme del padre che fra l'ottobre 1814 e l'aprile 1815 aveva visitato Germania, Belgio e Francia, come racconta il letterato ferrarese, suo compagno di viaggio Giuseppe Maria Bozoli in Brevi memorie di viaggio (Ferrara, Bresciani, mDCCCxlIV).
Tappa principale per entrambi, padre e figlio, era stata la visita a Rurich in Germania, nel cui castello abitavano gli Hompesch, della cui famiglia era la moglie di Ercole, nonna di Tancredi, Maria. Nel suo ritorno in patria Ercole aveva fatto in tempo a vedere l'imperatore Napoleone, fuggito dall'Elba nel 1815, Tancredi, invece, che aveva fatto un'escursione a Londra, incontrava il repubblicano Giuseppe Mazzini. A Londra, come provano i diari della madre, era giunto nei primi giorni del novembre 1846, il contatto con Mazzini doveva essere avvenuto poco dopo, se questi scriveva a Giuseppe Lamberti, suo massimo punto di riferimento a Parigi, il 27 gennaio 1847: «Ti scriverò nuovamente per mezzo d'un conte Mosti, ferrarese, giovine buono, con qualche relazione nel partito moderato di Roma e Bologna, ma ligio a un tempo delle opinioni mie e da accarezzarsi quindi». Una settimana dopo, il primo di febbraio, riscriveva: «Caro Lamberti, innanzi ogni cosa ti presento il giovine Conte Mosti, Ferrarese, Italiano d'anima e di core [...]. Presentandolo, mi pare di prolungare in certo modo il mio contatto con lui: tanto tu senti com'io sento e t'ho per un mio alter ego in Parigi. Accoglilo dunque com'ei si merita: mando, se mi riesce, per lui vecchie lettere e un libro di Rossetti che darai o farai avere a Ricciardi».
In quel momento Mazzini era nel pieno di una grossa impresa, la creazione di un Fondo Nazionale, attraverso cui sovvenzionare l'azione patriottica: il giovane ferrarese veniva immediatamente inserito in questa iniziativa e cominciava a fare la spola tra Londra e Parigi. Il 19 febbraio Mazzini scriveva ancora a Lamberti: «Avrai veduto il giovine Mosti. Tienilo caro, egli sarà a Ferrara il mio intermediario pel Fondo Nazionale» e l'11 marzo, dopo aver mandato una copia dell'Indirizzo programmatico di una sua nuova creatura, la Lega Internazionale, chiedeva che fosse tradotto in francese e diffuso ai giornali, ma prima, «tradotto che venisse comunicato l'Indirizzo al giovine Mosti». Ormai, apparentemente Tancredi era entrato nel livello confidenziale dell'azione politica mazziniana, tanto da chiedere per i suoi contatti l'uso di parole convenzionali. Scriveva infatti, da Parigi, Lamberti a Mazzini nei primi di maggio 1847: «Mosti preferisce "chiave gesuitica" anche per lui – gli manderò o con Rolandi che aspetto domani, o per Emilio, la parola tra noi convenuta e servirà anche per lui».
Ma dopo che un giovane ferrarese era entrato nella sua vita, anche la città di Ferrara, in modo inaspettato, doveva collocarsi al centro dei pensieri di Mazzini. L'elezione di Pio IX ed il prodigioso effetto, anche nazionale italiano, che aveva prodotto in tutta la penisola aveva scosso l'Austria a tal punto da pensare ad un complotto contro il papa, o comunque un intervento, come denunziava attraverso un celebre scritto, La congiura di Roma e Pio IX (Losanna, 1847) il patriota Filippo De Boni. A Ferrara, il 14 giugno 1847, veniva assassinato il barone Flaminio Baratelli, capo dello spionaggio austriaco nello Stato pontificio («infamissimo fra gli uomini», lo definiva Mazzini) ed allora Radetsky faceva entrare in città il 17 luglio, in assetto di guerra e con le micce dei cannoni accese, contingenti militari che occupavano le porte, disarmavano le sentinelle pontificie, sostituendole. Il gesto aveva risonanza in tutta Europa poiché rompeva gli equilibri del Trattato di Vienna. Mazzini, intuendo speranzoso le possibili conseguenze, il 17 agosto scriveva alla madre: «L'intervento avrà luogo e allora sarà il caso di vedere cosa sanno fare gli Italiani». La situazione lo eccitava – «mi sento bollire il sangue quando odo le cose di Ferrara». Era così convinto dell'ineluttabilità dell'invasione austriaca nell'Italia centrale da non poter pensare ad altro che al fatto di Ferrara: «Credo [...] che sia il principio dell'occupazione degli Stati. Con questa notizia in corpo, potete capire che non posso ciarlare di cose insignificanti».
In realtà le cose andarono diversamente; l'Austria, vista la reazione contraria, soprattutto inglese, rinunciava all'intervento. Di lì a poco, però, gli eventi italiani facevano incontrare Mazzini con Malvina Mosti Costabili, sorella di Tancredi. Primogenita, era nata nel 1818, aveva sposato in nozze favolose un altro rampollo della nobiltà ferrarese – decine di opuscoli nuziali furono stampati per celebrare l'evento – Giovanni Costabili, erede di Giovan Battista, uno dei ministri più influenti del Regno italico napoleonico, l'uomo che aveva creata la quadreria privata più illustre d'Europa. Giovanni era un moderato, ma la fuga di Pio IX lo aveva portato, con tutta la famiglia, a Roma, dopo essere stato eletto deputato alla Costituente romana, come ministro delle Finanze negli ultimi mesi della Repubblica. Durante i combattimenti contro i francesi, Malvina aveva fatto parte del gruppo di donne dell'organizzazione per l'assistenza dei feriti, guidate da Cristina Trivulzio Belgioioso, come direttrice dell'ospedale di San Giacomo. Costretta all'esilio, dopo la caduta della Repubblica Romana, si era rifugiata con il marito ed i figli a Genova, dove era divenuta, come testimonia il libro di Leona Ravenna (Maria Mazzini, Firenze, Le Monnier, 1932), intima amica della madre di Mazzini, Maria. Fra il 1850 ed il 1852 Mazzini si occupa di trovare per Malvina un buon precettore per i figli, chiede a lei informazioni tramite la madre, cerca di coinvolgerla nel progetto per il Prestito Nazionale scrivendo a Saffi affinché si adoperi presso le donne italiane chiedendogli «di scrivere e mandarmi biglietti per la Costabili e per altre dieci donne che avete in Italia, onde incalorirle per l'imprestito». Ma fra Mazzini e Malvina la corrispondenza doveva toccare anche temi più politici, poiché tramite la madre le manda e riceve "involti" cartacei sospetti. Maria scrive infatti a Malvina, il 7 dicembre 1850: «Pochi giorni dopo che partiste ebbi lettere della mia Emilia quale accludevami la papelletta che qui vedete coll'ingiunzione di mandarvela». Questa Emilia, amica di Maria, era in realtà Giuseppe Mazzini.