della diaspora sefardita, con particolare attenzione ai rapporti con l'amata Ferrara. Oltre a numerosi articoli, ha pubblicato La Nazione ebraica spagnola e portoghese negli Stati Estensi (Rimini, Luisé Ed., 1992) e The Hebrew Portuguese Nations in Antwerp and London at the time of Charles V and Henry VIII. New documents and interpretations (New Jersey, Ktav Publishing Company, 2004). È morto a Milano nel 2010 prima di vedere l'uscita del suo lavoro conclusivo. In questa breve biografia è racchiusa la specificità dell'autore di questo libro che onora la città per cui è stato scritto, il mondo della cultura, la dignità del vivere. Nella commemorazione che la sorella Bruna Leoni Herzfeld ha tenuto al Palazzo dei Diamanti per la presentazione del volume l'8 maggio 2011, la figura di Aron Leoni è stata ritagliata sugli affetti e sugli interessi, singolarmente affascinante ed eticamente complessa. La cultura storica che lo vede protagonista negli anni della sua maturità non gli viene da studi accademici perseguiti come mestiere e scelta di lavoro ma è il frutto nato da quella tensione alla pietas, ovvero il rispetto per la tradizione e la storia dei propri padri, delle sue origini sefardite, della sua inesausta volontà
di ristabilire una verità che si fonda sul concetto per lui fondamentale e per tanti di noi condiviso della memoria. Questo libro che rappresenta l'opus magnum, la conclusione di un progetto di vita e di restituzione di una vicenda alla dignità della memoria comincia con l'amore per la natura, per gli alberi, per la terra; quasi una nostalgia per la patria perduta che si concretizza nella donazione di cinquemila alberi in memoria dei genitori e che simbolicamente, nel suo mestiere di rappresentante delle industrie cartarie presso il Parlamento europeo, trasfonde la passione per le piante nella passione per la pagina, per il foglio in cui una verità va scritta e conservata. Senza retorica, che per un personaggio come questo sarebbe inopportuna e non aderente al vero, sembra che la consegna delle ultime carte, delle ultime pagine nate da quegli alberi all'editore Daniele Olschki racchiuda il senso della ricerca che anima La Nazione ebraica spagnola e portoghese di Ferrara. Cosa narra questo libro e quale è il suo intento? Nell'anno da tutti indicato come la nascita della modernità con la scoperta del continente americano, la Spagna o meglio i regni di Spagna decidono per ragioni politiche e religiose di cacciare dalle proprie terre gli ebrei. Non solo quelli legati alla propria fede, ma anche coloro che per forza o interesse avevano abiurato alla religione dei padri o anche
chi nella linea genealogica poteva annoverare qualche discendenza ebraica. Partono dunque dai porti spagnoli e poi da quelli lusitani le navi che trasportano questo carico dolente che nessuno vuole e che ricorda nella sua terribile evidenza tanti viaggi di disperati ancor oggi in cerca di un porto sicuro. Le navi si fermano a Genova dove viene impedito di sbarcare ai reietti della terra. Ma, e se non fosse una storia documentata si potrebbe parlare di un racconto ad effetto, arriva il rappresentante della corte estense a Ferrara inviato da Ercole I d'Este che offre "tolleranza" – e ne vedremo il significato – agli ebrei. In pratica li invita a trasferirsi a Ferrara per lavorare con garanzie non di servitù, ma di una qualche forma di autonomia contro le spietate regole della Chiesa e per esercitare quei mestieri di cui gli Ebrei erano in qualche modo specialisti: dalla tessitura di stoffe preziose alla lavorazione dei gioielli e di metalli, al cambio di valuta. Nasce dunque da una situazione di intolleranza e di odio proveniente dalla Spagna proprio
a Ferrara una "nazione", intesa nel suo significato identitario di una comunità che ha le medesime forme di appartenenza a un popolo. È stato detto autorevolmente che la storia di Ferrara non si esaurisce nel e con il Rinascimento; anzi, momenti meno studiati, quali il Medio Evo e l'età legatizia, ci potrebbero dare una prospettiva di quella storia più equilibrata e meno ossessivamente unita all'età aurea estense a cui senza soluzione di continuità è stato legato il "nuovo" Rinascimento estense novecentesco: da Adolfo Venturi a Warburg, alla Metafisica tra De Chirico, Carrà, Morandi, Savinio, auspice il giovanissimo De Pisis. Nel mito del Rinascimento si aprì l'irripetibile mostra del 1933 della pittura ferrarese e l'affermazione delle ipotesi di Longhi che tuttora sembrano non aver subìto superamenti di rilievo. Tutto questo fervore rinascimentale se ha prodotto una messe imponente di studi e di sistemazioni critiche, ha penalizzato ricerche che solo ora si avviano alla prova della Presidenza europea italiana, Ferrara venne scelta a rappresentare un rinascimento che il titolo indicava "singolare" e che nella ripresa ferrarese della mostra in Castello dell'anno successivo metteva in luce la singolarità delle proposte politico-culturali della dinastia estense nel periodo del suo maggior splendore. Salvo un'assenza che il libro di Leoni e prima quello di Adriano Franceschini hanno riempito, sostituendo una memoria là dove si registrava un vuoto, come ben ha interpretato Gherardo Ortalli nella presentazione del libro di Leoni tenutasi a Palazzo dei Diamanti.
Il libro di Adriano Franceschini, Presenza ebraica a Ferrara (Firenze, Olschki, 2007 - Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara) porta in sottotitolo Testimonianze archivistiche fino al 1492 mentre quello di Aron di Leone Leoni suona La Nazione ebraica spagnola e portoghese di Ferrara (1492- 1559) saldandosi entrambi nel recupero di quella enorme assenza della memoria non solo degli Ebrei a Ferrara, ma anche di quella "singolare" politica degli Estensi che permise agli Ebrei sefarditi (ma anche a quelli askenaziti e italiani) di trovare a Ferrara se non l'heimat, la patria del cuore (Israele dunque e con essa tutta la vicenda di un popolo), la "permissione", che – come rileva Ortalli – partendo dalla "tolleranza", giustifica nei modi e nelle possibilità di quelle strutture politiche di accedere alla qualifica di "nazione", ovvero gruppo organizzato e accolto nella città, difeso dalla politica ducale, protetto, per quanto possibile e secondo parametri che non possono essere i nostri, dal rifiuto di accoglienza dell'Europa intera: anche e oltre l'esempio di Venezia.
Ecco dunque la Renaissance singulière testimoniata nella mostra del 2002 grazie a questi contributi, trasformarsi in un Rinascimento diverso se non unico con l'aggiunta di questo fondamentale tassello, foriero nel lungo periodo di decisioni politico-ideologiche che non si sono esaurite, come ben si nota nel lavoro di Leoni il quale procede raccontando gli Ebrei a Ferrara nel Cinquecento ma con il pensiero puntato alla condizione attuale degli Ebrei. Una condizione memoriale complessa e assai originale che ha fatto e farà discutere gli storici; una ricezione nel senso più ampio di come il termine memoria vada recepito nel sentire comune.
Adriano Propseri nella bellissima introduzione ai due tomi del lavoro di Leoni e anche più problematicamente nel discorso di presentazione a Palazzo dei Diamanti, avverte che il libro ha lo scopo di documentare un'assenza: quella degli Ebrei dalla vita civile. La perseguita volontà di cancellarne il ruolo ha creato quel vuoto di memoria che il libro
e i documenti così appassionatamente indagati vogliono colmare e limitare così il danno della perdita. Prosperi insiste su questo concetto, cioè che la decurtazione subita dagli Ebrei nella vita civile – e non solo – ha pesato sulla nostra coscienza ponendo un interrogativo impellente che Leoni ha tentato di soddisfare. Poteva, nel tempo, la storia italiana andare diversamente se il modello ferrarese avesse vinto? È chiaro che la storia non si fa con le ipotesi ma con i fatti, ma è anche vero che il pensiero storico può ragionare sui "disguidi del possibile", direbbe Montale, e trovare il varco alla rete che ci circonda, che ci ha fatto così e non ha permesso la fuga dalle conseguenze dei "fatti" storici.
Il lavoro di Leoni, supportato dalla straordinaria raccolta di documenti quasi sempre inediti che compongono il secondo tomo, si svolge come un racconto nel senso letterario del termine e come lo poteva concepire Giorgio Bassani basato su una griglia che si potrebbe così schematizzare. Recupero a tappeto di testimonianze legate al progressivo radicarsi a Ferrara delle "nazioni" ebraiche. Da quella sefardita a quella askenazita; dagli Ebrei "italiani" ai "marrani", ai conversos in continua correlazione con la politica estense di Ercole I, Alfonso I e soprattutto Ercole II.
Le vicende delle più importanti famiglie ebree che si stabiliscono a Ferrara ma che hanno a che fare anche con il movimento europeo dei radicamenti ebraici, Anversa, Istanbul, e Ancona e Venezia e tante altre città. Sono i Pires, i Pinto, i Coronel, i Charavon , i Serrano e tanti altri; ma soprattutto la famiglia Abravanel a Ferrara, la famiglia Mendes-Benveniste de Luna Naci o gli Enriques Benveniste e quelle italiane e tedesche insediatesi a Ferrara e prospere sotto Ercole II che fondano sinagoghe, si aggregano in Nazioni, prosperano e fanno prosperare la dinastia che li difende e li salva, almeno fino alla morte di Ercole II, dalle invadenze della Chiesa che procede attraverso una politica a tenaglia intesa a strappare Ferrara agli Estensi e nello stesso tempo rimettere al proprio posto, cioè nei confini del Ghetto, gli Ebrei, indispensabili ma ridotti almeno fino all'unità italiana a sopportare l'iniqua catena di un servaggio senza via d'uscita per riprendersi quei diritti che l'immane catadi nuove soluzioni e proposte. Nel 2002, al tempo strofe della shoah ha di nuovo e in maniera così tragica negato. Un capitolo importante è dedicato all'editoria ferrarese ebraica, straordinaria impresa che annovera capolavori quali la Bíblía Española già studiata con un importante contributo di Piero Stefani alla settimana di Alti Studi 2010 dell'Istituto di Studi rinascimentali di Ferrara; o la prima traduzione in lingua castigliana del Canzoniere di Petrarca. Tra questi affascinanti racconti spicca quello di uno straordinario personaggio femminile: Beatrice de Luna alias Grazia Naci o Nasi, una figura degna della penna di Balzac o dello Stendhal delle Cronache italiane. Nella complicata vicenda di questa banchiera che riesce attraverso l'intelligenza e la capacità ad accumulare una delle più grandi fortune europee e ad amministrarle per un certo periodo proprio a Ferrara, occupando con l'appoggio del duca una posizione di rilievo alla corte tanto da poter affittare a Ferrara una delle più belle dimore della città, quel palazzo Magnanini-Roverella, ultima opera del grande architetto Biagio Rossetti autore della famosa "addizione erculea", la città sognata e modellata sul concetto della città ideale assieme al suo committente Ercole I d'Este. Grazia Naci è l'esempio forse più brillante della fortuna ebraica.
A questo racconto si possono aggiungere le attente osservazioni che Leoni dedica alle politiche estensi, specie quelle di Ercole II che negli studi canonici sembrava essere defilato rispetto alla presenza a Ferrara della moglie Renée de France, figlia del re di Francia, amica di Calvino e confinata nella corte parallela di via Savonarola, nel palazzo che porta il suo nome e allontanata dal Castello estense per evidenti motivi di contrasto con il marito che difende le posizioni del cattolicesimo e vede con sospetto le amicizie della moglie, di fatto seguace della religione riformata. Eppure è lo stesso Ercole II che di fronte ai durissimi attacchi e alle pressioni della Chiesa non solo difende gli Ebrei, ma come è citato nel documento 1266 (vol. I, p. 525), permette di costituire «un centro di studi ebraici aperto ai credenti di qualsiasi fede». E sono gli anni terribili degli editti di Paolo IV contro gli Ebrei e i Marrani. Nel 1556 con la bolla Cum nimis absurdum il papa accusa gli Ebrei di essere tornati alla religione dei padri senza che il duca lo sapesse e impone una nuova tassa. Ercole interpella gli Ebrei se erano disposti a pagare la tassa (cosa che verrà fatta) ma li difende spiegando al papa di cui era – come si sa – feudatario, l'importanza di quel popolo, compresi i Marrani; per l'economia dello Stato. Che Ercole II fosse, come asserisce Leoni, un principe- gentiluomo non mi convince forse per la prima e l'ultima volta. Ercole come l'intera dinastia è un uomo del suo tempo le cui azioni vanno spiegate entro il concetto di sovranità dell'antico regime. Non fa eccezione alla durezza propria dei signori rinascimentali; ma la novità intrinseca è questa inaudita per quel tempo difesa degli Ebrei; della sua fermezza a contrastare il volere di Carlo V che impediva la migrazione verso Ferrara dei "Cristhaos novos". Una politica che probabilmente anticipava la fine tragica del potere estense su Ferrara sancita con la devoluzione della città allo Stato della Chiesa nel 1598. Probabilmente come ci avverte Leoni la questione ebraica avrà avuto il suo peso.
L'epilogo riporterà l'esperimento ferrarese nel consueto binario di una volontà europea di dominio sulle "nazioni" ebraiche le cui conseguenze sono ancora carne viva e bruciante al presente.
Nonostante Alfonso II riconfermi tutti i salvacondotti e i privilegi, nel 1570 viene imposto il segno distintivo giallo tristemente famoso, salvo per la nazione portoghese e per "i titolari dei banchi di prestito e cambio, i medici, gli studenti dell'Ateneo" e di altre personalità di spicco. Nel 1581 il duca fa arrestare i portoghesi accusati di essersi fatti circoncidere; infine l'anno seguente il ripristino dei privilegi fino alla devoluzione. Le Nazioni non si chiameranno più Spagnola e Portoghese bensì Spagnola e Levantina.