Verso la moneta unica

Scritto da  Massimo Ponzellini

Grande industria e artigianato convivono nel territorio ferrarese e contribuiscono a delinearne il panorama economico. Le riflessioni del vice-presidente della Banca Europea per gli Investimenti in un intervento all'Università di Ferrara.

Vivremo fra poco un cambiamento epocale, di sicuro il più importante della storia economica europea dalla nascita della Comunità: l'unione monetaria. Un passo che abbiamo preparato fra mille ostacoli di natura politica e socio-economica.
L'istituzione di cui sono vice-presidente, la Banca Europea per gli Investimenti, si trova oggi, come forse mai nella sua storia, al centro della rivoluzione economica del continente: una rivoluzione che la Bei, almeno come emittente internazionale, ha già scontato.


Negli ultimi due anni, infatti, la Banca ha già lanciato sedici emissioni Euro-tributary, ovvero destinate a confluire nell'Euro. In parole semplici, si tratta di emissioni obbligazionarie in varie valute - la più recente del valore di tremila miliardi di lire, la maggiore mai effettuata nella nostra moneta - che potranno essere convertite in Euro a partire dal 1 gennaio 1999. È questa la migliore conferma di come la Bei, ma soprattutto i mercati finanziari, abbiano sempre creduto nella fattibilità della moneta unica.
Da quarant'anni la Bei contribuisce allo sviluppo equilibrato, all'integrazione e alla coesione economica e sociale dell'Unione Europea mediante la concessione di finanziamenti a favore di progetti di investimento localizzati nei paesi membri e, nel quadro della politica comunitaria di cooperazione, in paesi terzi.

Con un ammontare di operazioni in essere, a fine 1977, di oltre 200.000 miliardi, la Bei è la più grande istituzione finanziaria del mondo. L'azione della banca si è ulteriormente rafforzata dopo che il Consiglio di Amsterdam, nel giugno 1997, l'ha invitata non solo a un particolare sforzo finanziario, ma anche al perseguimento di precisi obiettivi, fondamentali nell'attuale fase dell'azione comunitaria: la promozione delle infrastrutture; il sostegno delle piccole e medie imprese per lo sviluppo dell'occupazione; lo sviluppo e l'adeguamento del settore dei servizi sociali fra cui, in particolare, quelli della sanità e dell'educazione.

Alla Bei è stato inoltre attribuito un ruolo fondamentale nel progetto "Ten", cioè nel finanziamento dei Trans European Networks, le infrastrutture che le istituzioni europee hanno individuato come prioritarie e che si legano a un più stretto rapporto fra i paesi europei: autostrade, ferrovie ad alta velocità, impianti di trasmissione energetica e di telecomunicazione. Per l'Italia, Ten significa alta velocità ferroviaria, Malpensa 2000, Brennero, Frejus ed elettrodotto Italia-Grecia. Come ho già spiegato, la Bei non è solo attiva sul fronte dei prestiti: è anche il primo emittente internazionale, presente sui mercati di tutto il mondo.


Turismo, commercio e artigianato sono fra le attività più importanti nell'economia della regione.Su questo versante, la banca persegue un duplice obiettivo: raccogliere fondi al miglior costo possibile; e preservare la propria capacità di sollecitare i diversi comparti a raccogliere un volume sempre maggiore di fondi da orientare verso investimenti nell'U.E. La Bei ha inoltre allargato le proprie possibilità di intervento a sostegno dell'economia europea grazie al Fei, il Fondo Europeo per gli Investimenti. Istituito nel 1994 come partnership fra Bei, Commissione europea e ottanta istituti di credito, esso ha come obiettivo mettere a disposizione degli investimenti nelle grandi infrastrutture e di quelli delle piccole e medie imprese adeguati sistemi di garanzia, per permettere di superare il gradino, spesso molto difficile, dell'accesso iniziale al credito.

E proprio le piccole e medie imprese sono state individuate, grazie alla loro flessibilità e adattabilità ai contesti economici mondiali, come l'unico comparto in grado di generare occupazione in modo duraturo e, quindi, di combattere efficacemente la piaga della disoccupazione. A fine 1997 erano già stati approvati finanziamenti per 2,2 miliardi di Ecu a favore di progetti ad alta intensità di manodopera ed erano stati effettuati i primi stanziamenti nel quadro dello "sportello speciale piccole e medie imprese", destinati a finanziare l'imprenditoria minore innovativa e in rapida crescita.

In Europa, i senza lavoro hanno raggiunto quota 19 milioni. Per questo la Bei si è proposta, attraverso strumenti di finanziamento di capitale di rischio per le nuove imprese, di stimolare investimenti nelle iniziative ad alto valore tecnologico, ambientale e occupazionale. È uno sforzo, a mio giudizio, molto significativo, destinato a ovviare alla tradizionale refrattarietà del sistema finanziario europeo all'offerta di capitale di rischio, che trova proprio in Italia la sua più perniciosa espressione.

Ma è anche un tentativo di grande valore simbolico: segnala infatti l'attenzione che la Comunità attribuisce al venture capital nel processo di stimolo della crescita economica. Le operazioni effettuate tramite lo "sportello speciale" hanno lo scopo di agevolare l'accesso delle piccole e medie imprese al capitale di rischio, integrando così il sostegno che la Bei ha sempre loro fornito con i prestiti globali.
Le operazioni effettuate tramite lo "sportello speciale", comprendenti gli interventi con ripartizione del rischio, i mutui subordinati e le assunzioni di partecipazioni, sono garantite da una parte delle eccedenze della banca (fino a un miliardo di Ecu).

L'ingresso nel capitale di rischio delle imprese è, insomma, una specie di antidoto finanziario che la Bei ha messo in campo, superando il proprio ruolo tradizionale di semplice erogatore di mutui, che dovrà tuttavia essere seguito da iniziative convincenti da parte delle piccole e medie imprese stesse. Il problema fondamentale di queste ultime, infatti, è che non hanno capitale proprio: sostanzialmente, investono per rimborsare i debiti accumulati. In Europa, solo il 20 per cento delle relazioni finanziarie delle piccole e medie imprese è sull'equity, contro il 60 per cento delle piccole e medie imprese americane.

 

Un laboratorio artigianale ferrarese. Va detto tuttavia che la responsabilità di questa situazione non va ricercata solo dalla parte degli imprenditori. La struttura economica del paese non è stata infatti capace di profilare le ragioni di una maggiore democrazia economica; e la realizzazione di modelli utili allo sviluppo della base produttiva, dalla tecnologia alla cultura d'impresa è stata asfissiata anche dalla pesante presenza dei grandi monopoli e delle aziende di Stato.
Anche il Fei sta rafforzando la sua presenza nei fondi su capitale di rischio.


Nel 1997 il Fondo ha assunto partecipazioni azionarie attraverso fondi di capitale di rischio e venture capital fund. Entro la metà di quest'anno è prevista la firma dei primi investimenti in Italia.

Nel biennio 1997-1998 è stata inoltre attivata l'Etf (European Technology Facility), con un'iniezione di 250 miliardi da parte della Bei, mirata all'innovazione e ai miglioramenti tecnologici. Per il triennio 1998-2001, il Parlamento Europeo ha stanziato oltre 850 miliardi (programma Epfg, European Parliament Guarantee Facility), utilizzabili in tre anni e mirati alle piccole e medie imprese.

Nell'ambito di quest'ultima iniziativa - e a conferma del ruolo primario che l'Unione Europea attribuisce alle piccole e medie imprese e all'impulso che possono dare alla creazione di posti di lavoro - il programma Jev (Joint European Venture) è recentemente giunto al debutto operativo. L'iniziativa finanzia con importi fino a 100.000 Ecu (poco meno di 200 milioni di lire) le società miste fra imprese comunitarie.
Il fine è quello di aiutare la miriade di piccole e medie imprese disseminate in Europa - e vero e proprio motore dell'economia italiana - a esplorare alleanze, stringere legami, mettere in comune tecnologie, sfruttare sinergie e potenziale innovativo.

L'obiettivo ultimo è attuare nuovi investimenti e creare posti di lavoro. Ma tutte queste risorse messe a disposizione delle piccole e medie imprese rischiano di non essere sfruttate - e il potenziale "effetto volano" sull'occupazione rischia di essere ridotto - se anche questo settore non verrà presto dotato di una legislazione societaria adeguata. Da una recente analisi effettuata da Nomisma sulle acquisizioni e fusioni di piccole e medie imprese (fatturato inferiore ai 50 miliardi) avvenute in Italia fra il 1990 e il 1997, sono emersi alcuni dati significativi.

 

Un altro esempio di attività artigianale.Mentre negli anni Ottanta la vendita delle piccole unità produttive era motivata prevalentemente da crisi strutturali, problemi generazionali o dalla volontà di cambiare attività, negli ultimi otto anni l'imprenditore ha ceduto la maggioranza - o quote importanti di capitale sociale - non più per assenza di opportunità, ma per espandersi, realizzare alleanze strategiche e trovare le risorse necessarie per crescere sui mercati internazionali.  Nel campione Nomisma, oltre il 70 per cento delle cessioni è motivato dalle voci "espansione", "sinergie", "finanziamento".


Il soggetto che figura con maggiore frequenza come acquirente (39 casi su 153) è l'investitore istituzionale, che apporta capitali ma di solito consente al titolare di restare alla guida dell'azienda anche con una quota di minoranza. Nei casi di internazionalizzazione (circa un terzo del totale), il partner straniero scelto è sette volte su dieci europeo.

La vendita della proprietà è allarmante segnale di carenza di strumenti finanziari diversi dall'indebitamento bancario. Di qui la necessità di estendere la riforma della corporate governance anche alle imprese familiari, che non hanno come obiettivo immediato l'ingresso in Borsa. Ed è altrettanto urgente una nuova strutturazione del mercato dei servizi di finanza aziendale, che favorisca una più elevata specializzazione degli operatori e allarghi la gamma dell'offerta anche a operazioni di taglia ridotta e di alto contenuto di rischio.