Le Sibille di Casa Romei

Scritto da  Carla di Francesco

Casa Romei: vista dal cortile maggiore.La proposta di una nuova interpretazione della funzione e del significato dei celebri affreschi quattrocenteschi.

La casa di Giovanni Romei, ricco mercante imparentato con la famiglia ducale per via del matrimonio con Polissena d'Este, è l'unico edificio della Ferrara rinascimentale nel quale è ancora possibile rileggere fatti architettonici e decorativi tipici dell'abitazione signorile della cultura ferrarese alla metà del Quattrocento: ne dà testimonianza evidente l'ordinata ed ancora gotica struttura del cortile, nella quale si uniscono originali soluzioni formali e vivaci superfici dipinte a motivi araldici e floreali; ma ne dà forse ancor più emozionante esemplificazione la Sala delle Sibille.

 


La Sala delle Sibille dopo il restauro: la parete est.Su questo ambiente di straordinario interesse storico e artistico, solo in questi ultimi anni si è portata l'attenzione degli studiosi e del più vasto pubblico, in coincidenza con la conclusione, nel 1996, del lungo lavoro di restauro che l'ha interessato. Sulle pareti della stanza, dodici figure femminili in piedi - le Sibille - recano in mano cartigli svolazzanti che, con caratteri gotici ma in lingua volgare, annunciano l'avvento del Salvatore. Il medesimo messaggio è ribadito dalla nicchia collocata nella parete sud, dove, sia pure labilissima per antico degrado, sopravvive la traccia di una Natività.


La Sala delle Sibille dopo il restauro: la parete nord.Eleganti negli abiti dalle fogge alla moda, tra loro apparentemente isolate, le dodici Sibille sono unite da un'alta e continua spalliera di rose bianche e bianco-rosate. Questo motivo decorativo le chiude in uno spazio ben definito, delimitato in basso dal terreno su cui poggiano e dal bordo di un alto zoccolo basamentale, oggi completamente perduto. Al di sopra del roseto, una serie di festoni di quercia, di sorbo dell'uccellatore e di altre specie botaniche, con frutta e fiori, segue l'allineamento orizzontale da cui si stacca il fregio suddiviso in diciassette rettangoli, nei quali giocosi angioletti si intrattengono con rami carichi di frutti: pistacchi e datteri, nocciolo o pero o arancio.


La Sibilla Eritrea (particolare).Tante e diverse qualità vegetali sono rappresentate con una precisione naturalistica tale da indurre a pensare a un vero e proprio erbario scientifico trasportato a parete. Nella sala, oggi illuminata da due finestre rivolte a est (ma, in origine, era aperta anche la grande finestra del lato sud), è un grande camino poligonale con bordo in cotto finemente lavorato dove si rintracciano ancora lembi di colore e doratura.  Sulla cappa campeggia ancora un fastoso stemma del padrone di casa, simbolo più volte ripetuto - anche in questa sala - dipinto sulle tavolette del gran soffitto ligneo. Su queste si trovano anche altre raffigurazioni simboliche: un Cupido bendato e la Vergine con il liocorno.
La casa di Giovanni Romei fu iniziata attorno al 1442; la Sala delle Sibille, assieme a quella attigua - che è dedicata ai Profeti -, fa tuttavia parte di un sostanziale ampliamento avvenuto nel decennio successivo.


Particolari naturalistici del fregio affrescato: rami di pistacchio.E' lecito presumere che questo ampliamento sia stato realizzato in vista del matrimonio (celebrato più tardi, ma in quegli anni già stipulato) di Giovanni Romei con Polissena, che era figlia di Meliaduse d'Este e quindi nipote del duca Borso. Con questa aspettativa - e in virtù dei titoli nobiliari conseguiti in quegli anni grazie alla dimestichezza con papi, cardinali, principi e la famiglia Estense stessa - la già bella dimora venne quasi raddoppiata con la costruzione del secondo cortile e dei corpi di fabbrica a esso collegati, nei quali, appunto, vengono dipinte da artisti ancora ignoti le pareti delle due sale.
Certo è che al momento del secondo matrimonio con Polissena, Giovanni Romei era un uomo di grande prestigio sociale, in grado di ricevere illustri personaggi e organizzare feste (come quella del 7 febbraio 1479) con la partecipazione, oltre che dei personaggi più in vista della città, del duca Ercole I e della duchessa Eleonora.

 

Particolari naturalistici del fregio affrescato: rami di lazzeruolo.Non poteva, quindi, la casa di un simile personaggio non essere aggiornata alle mode culturali del tempo: la Sala delle Sibille ha un vicinissimo, illustre precedente ferrarese nella "grande chamara delle Sibille", che la mano di Nicolò Panizzato aveva dipinto per Leonello d'Este a Belriguardo, nel 1447. L'iconografia di questo ciclo, di qualche anno precedente a quello commissionato da Giovanni Romei, doveva essere assai simile a quest'ultimo. Secondo la testimonianza di Sabadino degli Arienti, le figure mostravano in evidenza le loro profezie scritte ed erano immerse in fogliami e fiorami.
Il tema delle profezie ha però un prototipo, più lontano e precedente, nel ciclo dipinto per il cardinale Giordano Orsini, nel 1434, all'interno del suo palazzo romano: purtroppo perduta, questa camera, tramandata attraverso le descrizioni del tempo, codifica il tipo e ha grandissima fortuna per tutte le successive realizzazioni, influenzando anche i due citati esempi ferraresi.


La Sibilla Persica (particolare).Il recente studio di Matilde Gagliardo decodifica riferimenti, variabili, diversità e affinità tra il prototipo e le Sibille di Casa Romei, arrivando a individuare le singole figure e offrendoci una suggestiva ipotesi riguardo al particolare significato che le profetesse hanno assunto in questa sede, per specifica volontà del committente. Grazie, dunque, a un attento confronto con le descrizioni del ciclo romano, sia nella visione d'assieme, sia nelle singole figure e nelle profezie che ciascuna di esse reca, e nonostante la diversità di atteggiamento, le Sibille di Casa Romei possono essere riconosciute.
La Persica è collocata nella parete nord accanto alla porta d'ingresso che conduce alla Sala dei Profeti; quella successiva sulla stessa parete, è riconoscibile come la Libica, vestita con abito diverso da tutte le altre; accanto al camino, anziana e curva, è la Delfica, mentre l'altra è la Cimmeria; seguono, sulla parete sud, l'Eritrea, la Samia dal curioso copricapo e la Cumana, la Ellespontica, la Frigia e la Tiburtina sono sulla parete ovest, mentre il ciclo si conclude ancora nella parete nord con Europa ed Agrippa.


La Sibilla Libica.Come abbiamo detto, le profetesse - trasposizione cristiana delle figure pagane - sono inserite in un roseto, un vero e proprio hortus conclusus che allude alla Vergine Maria; la rosa è, infatti, il fiore dedicato alla Madre di Cristo che, nella colorazione bianca, ne simboleggia purezza ed umiltà.  A questo simbolo palese di castità se ne accostano qui altri, meno evidenti, come il Cupido bendato e la Vergine col liocorno del soffitto, che danno la misura di una visione più domestica e terrena delle virtù. Il committente aveva quindi la precisa volontà di esaltare, attraverso il ricorso a una iconografia facilmente interpretabile dai suoi contemporanei, le virtù di una donna, nella particolare connotazione della castità e della pudicizia che trovano il loro perfetto compimento nell'amore coniugale.

 

La Sibilla Cumana.Il ciclo, quindi, appare come un preciso programma di Giovanni Romei, rivolto a gratificare una figura femminile che possiamo individuare nella futura moglie, Polissena. Giovanni Romei, morendo, nel 1483, lasciò la casa in eredità alle suore del Corpus Domini, che vi rimasero sino al 1872. Acquisita in seguito dal Demanio Statale, la casa, a partire dalla fine dell'Ottocento, venne a più riprese restaurata ed è oggi adibita a sede museale. A partire dalla metà del secolo scorso, diversi storici dell'arte, compilatori di guide turistiche e viaggiatori descrivono la Sala delle Sibille: ognuno di essi non manca mai di metterne in evidenza lo stato conservativo disastroso. Questo può essere senz'altro messo in relazione con la tecnica e con i materiali che vennero utilizzati per realizzare il ciclo dei dipinti.


Un particolare della Sibilla Libica.Non si tratta infatti di affreschi, ma di dipinti su intonaco mediati da una preparazione di calce e gesso: proprio questo strato preparatorio assai friabile, con il passare del tempo, ha reso la pellicola pittorica particolarmente delicata e vulnerabile. Dopo vari tentativi di restauro, nel 1950 i dipinti furono strappati e trasportati su pannelli; la menomata leggibilità delle figurazioni, però, è stata parzialmente corretta solo nel recente restauro; quest'ultimo, oltre alla sostituzione dei vecchi pannelli di supporto e alle necessarie operazioni conservative, ha visto la realizzazione di una vasta opera di integrazione pittorica, adattata alle diverse situazioni di degrado mediante tecniche differenziate.