Il testo redatto in un arco di tempo molto lungo, con grande pazienza dal Melchiorri segna uno dei passaggi della temperie culturale che la storia urbana della città ha vissuto a partire dal grande disegno della addizione rossettiana. Sappiamo come quella intuizione rimasta pressoché tale per due secoli abbia comunque condizionato la forma della città e come sia stato persistente anche nell'abbandono apparente di quel disegno l'imprinting che esso aveva fissato sulla compagine urbana. Sarà quando, nel secolo dei Lumi, dopo un lungo sonno, Ferrara ricomincerà la sua storia e si compiranno nuove riflessioni sul suo futuro, che tutta una cultura prenderà forma producendo immagini di una nuova realtà, popolando quei tracciati viarii intuiti, di strutture architettoniche e il racconto di esse diventerà motivo anche di elaborazione letteraria. E quel risveglio si manifesterà anche secondo percorsi espressivi importanti e anomali dove la intuizione della "città disegnata" di Rossetti, di Prisciani e di Ercole riprenderà la sua elaborazione più significativa con le grandi lastre incise dal Bolzoni. Queste lastre, questa grande planimetria di Ferrara che conferisce concretezza e immagine nuova alla compagine della città (anche se per molti versi ancora nella forma di sogno), saranno il riferimento fondamentale del lavoro di Melchiorri il quale ne accompagnerà la puntuale interpretazione con un faticoso lavoro di archivio per dare storia concreta, politica, civile, urbana alle emergenze che erano andate insediandosi entro quella griglia stradale che la intuizione originaria aveva immaginato. Il suo lavoro, a mio avviso, sembra concludere quel periodo di riscoperta della città: è quindi il frutto maturo degli studi storici riaperti dal risveglio settecentesco e dal magistero incisorio e dalla fantasia del Bolzoni. Bisogna anche dire che non aveva modelli e quindi ha lavorato secondo un disegno completamente nuovo da lui stesso messo a punto. La modesta sperimentazione tentata nel 1830 (un secolo prima) da Filippo Conti non è paragonabile con la visione ampia e molto strutturata del suo progetto. Prima di lui si era esercitato su un lungo elenco di emergenze rilevanti Giuseppe Antenore Scalabrini lasciando, alla fine del 1700, un manoscritto quasi illeggibile dedicato alla illustrazione della città da compiere in cinque giornate. La traduzione "in bella copia" di quel documento che giaceva alla Biblioteca Ariostea compiuta nel 1997 da Carla Frongia e pubblicata nella preziosa collana dei "Quaderni del Liceo Ariosto" nello stesso anno, rivela la impraticabilità di quelle fitte pagine nate forse nei programmi dell'autore per illustrare ai grandi viaggiatori del Grand Tour la città e per tentare di invogliarli ad una tappa ferrarese. In realtà, commenta Alessandra Chiappini, "come di regola accade per le opere manoscritte dello Scalabrini, l'affollamento di citazioni, di trascrizioni documentarie, di considerazioni che imprimono alle vicende narrate un andamento a singhiozzo compromette ogni lettura e la guida fallisce sia la finalità turistica sia quella storica". Ma la serie di progressiva messa a punto della narrazione di Ferrara alla quale alla fine approderà il Melchiorri ha un numero notevole di tentativi. Per citare solo i più noti si va dal Frizzi, al Canonici Fachini, all'Avventi, al Cittadella senza dimenticare l'avventura lunga quasi un secolo del Brisighella finita nelle mani del Baruffaldi prima e del
Barotti poi sempre più manomessa. Tutto questo lavoro ha tuttavia un limite che Maria Angela Novelli, curatrice finale della grande fatica di Carlo Brisighella (Ferrara, Spazio Libri, 1991) commenta così: "In tutta la storiografia del Settecento e di buona parte dell'Ottocento non vi è differenza né nel metodo, né nel merito: solo dalla metà del secolo le vicende documentarie ed archivistiche portano precisazioni e sostanziali rettifiche ". E le precisazioni e le rettifiche insieme alla originalità del disegno complessivo saranno tutto merito di Gerolamo Melchiorri che gli studiosi e gli appassionati dal 1918, anno della prima edizione di Nomenclatura ed Etimologia delle Piazze e Strade di Ferrara continuano a premiare. Ma dal 1918 a oggi, come dicevo all'inizio, sono passati quasi cento anni. Altre operazioni simili sono state avviate e tentate: ricordo solo quella del Sautto del 1939 sponsorizzata della Camera di Commercio durata lo spazio di un mattino. Altri modi di vedere la città si sono venuti proponendo in funzione soprattutto dello sviluppo del turismo o per sperimentare modi nuovi di interpretazione e lettura della città e della sua compagine edilizia il cui contesto è rimasto pressoché immutato. Modi questi che hanno avuto in parte successo all'interno dei loro ambiti propri lasciando intatto il testo del Melchiorri che ha continuato ad esercitare il suo fascino. Prima di affrontare una nuova edizione critica del libro e di collocarlo come primo volume di una collana dedicata a "Documenti per la storia di Ferrara", la domanda che è venuta spontanea riguardava proprio le ragioni di questa persistenza: perché il
Melchiorri resiste così impavidamente agli anni? Le risposte che ci siamo dati sono le seguenti, tutte abbastanza ovvie.
- Perché ha collocato in ordine alfabetico i titoli delle strade oggetto del suo esame e questo conferisce al testo una grande facilità di consultazione.
- Perché pure in un ordinato disordine racconta le vicende storiche degli edifici importanti di ogni strada facendo sempre riferimento a quel determinato contesto.
- Perché la sua narrazione non è mai schematica ma ogni capitolo riferito ad ogni strada è un racconto a sé condotto con quel tanto di humor che ne fa piacevole la lettura.
- Perché, avendo lavorato con fatica, arando gli archivi, ordinando le fonti, forse discutendo e confrontandosi, le sue pagine sono ancora una fonte di informazioni di prima mano alle quali poter fare sicuro riferimento. In questa sua autorevolezza si pone in parallelo con la grande pianta del Bolzoni che è il documento ufficiale che condiziona ogni intervento edilizio nel centro storico della città.
- Perché essendo le strutture della compagine urbana rimaste in gran parte immutate è facile il riscontro rispetto a quello che egli descrive.
Ma, ripetiamo ancora, dal 1918 sono passati quasi cento anni e qualche fatto nuovo in quelle strade è certamente avvenuto, qualche edificio nuovo, qualche pavimentazione modificata, qualche nome cambiato o aggiunto, qualche incrostazione incongrua, e anche purtroppo, qualche demolizione efferata. Poi qualche avvenimento importante ricordato nel marmo di una lapide e qui compare la presenza fondamentale nel paesaggio urbano di "Ferrariae Decus", sodalizio prezioso per l'attività di memoria che esercita instancabilmente. Ecco, alla fine, dopo le considerazioni attente appena ricordate, si è deciso di evitare ogni nuovo intervento sul testo del Melchiorri dedicando invece ad esso una serie di "ampliamenti" come aggiunta di notizie, come arricchimento dell'immagine, come nuova acquisizione della qualità dei luoghi. Solo a due ambiti si è dedicata particolare attenzione con testi autonomi: abbiamo ritenuto necessario questo intervento per la specificità dei casi che riguardano il "Quartiere Giardino" (vedi corso Isonzo) e il famigerato "Sventramento di San Romano" (vedi corso di Porta Reno). Sono stati fondamentali nel lavoro di "ampliamento" due volumi usciti in tempi diversi e con diverse finalità ma funzionali al progetto che ci eravamo dati. Il primo, edito ancora nella preziosa collana del Liceo Ariosto, è dedicato alle lapidi come racconto della memoria della città. Ha un titolo emblematico: Parole di marmo a cura di Rita Castaldi e Paola Marescalchi (2002). Il secondo è una attenta lettura di Ferrara moderna realizzata da Lucio Scardino dal titolo Itinerari di Ferrara moderna edito a Firenze da Alinea nel 1995. Voglio ricordare qui lo straordinario lavoro di un cittadino, Giuseppe Petrucci, che in anni lontani aveva trascritto tutte le lapidi presenti nelle strade segnalandone le condizioni e la leggibilità. Ho copia di quel paziente lavoro testimonianza di una appassionata dedizione alle memorie civili che mi piace mettere in parallelo con quella di Gerolamo Melchiorri.