Queste superficiali considerazioni sui paradossi e sulle contraddizioni della nostra società postindustriale servono solo da pretesto per invitare il lettore? a rallentare per ritornare indietro nel tempo, immaginandosi viandante, cavaliere o carrettiere che, uscito dalle mura di Ferrara, imbocca strade e tragitti che conducono ai villaggi e ai centri più importanti dell'antico ducato estense e degli stati confinanti.
Alla scoperta della rete stradale del passato, scarso aiuto ci viene dagli storici ferraresi. Ferrara, definita la prima città moderna d'Europa, grazie alla genialità del suo architetto Biagio Rossetti, viene studiata e rappresentata quasi sempre come un ambiente fisico e sociale inesorabilmente racchiuso dentro le sue possenti e magnifiche mura.
Poche testimonianze abbiamo sui borghi e sulle campagne circostanti, che ci appaiono quasi senza storia. Anche un veloce sguardo alla pur ricchissima documentazione cartografica racchiusa negli archivi ferraresi conferma la generale irrilevanza dei percorsi stradali nel territorio basso-padano, almeno fino al XIX secolo.
La ragione di questo scarso interesse degli storici e degli stessi cartografi per i tracciati viari del ferrarese è più che evidente: la città di Ferrara era nata e cresciuta nel medioevo come città portuale e come emporio commerciale, essendo situata alla prima grande biforcazione dell'allora asta principale del fiume Po.
Per secoli, le merci e gli uomini della popolosa Valle Padana si sono mossi soprattutto sull'acqua, fosse quest'ultima mare, laguna, fiume o valle. Numerosi, ma relativamente veloci e sicuri rispetto a quelli via terra, erano, infatti, i percorsi d'acqua che mettevano in comunicazione con il Po le principali città della pianura. Per le città emiliane, così come per Venezia e i centri della Terraferma, raggiungere per via d'acqua il nostro massimo fiume, la principale "autostrada" dell'età preindustriale, era questione di vitale importanza.
È stata ormai rintracciata, in sede storica, la fittissima rete di vie d'acqua che univa nel XIII secolo la città di Ferrara agli altri centri più importanti, prima che l'alveo principale che scendeva da Bondeno verso Ferrara finisse interrato e privo di corrente viva, a vantaggio dell'alveo della Rotta di Ficarolo (sec. XII), cioé del percorso attuale del fiume.
Testimonianze precise sui percorsi navigabili a media distanza ci vengono già dalla Chronica parva di Riccobaldo da Ferrara. Solo grazie alla rete di vie d'acqua, per secoli, anche merci pesanti come il marmo rosa di Verona e la preziosa bianca pietra d'Istria poterono raggiungere Ferrara per adornare la cattedrale e i palazzi delle famiglie più ricche, mentre il grano e la canapa ferraresi, prodotti principali di esportazione, potevano giungere a Venezia e ai mercati lontani dell'entroterra lombardo-veneto.
Per i territori ferrarese e polesano, almeno fino all'avvento della ferrovia, le comunicazioni a lunga distanza per le merci, ma anche per gli uomini, avvenivano, dunque, non su strada, ma attraverso vie d'acqua.
Le strade, di norma impraticabili nei mesi autunno-invernali, erano riservate per lo più alle comunicazioni a corto raggio, da villaggio a villaggio.
Ne discende una rilevante constatazione: poiché l'articolazione idrografica e altimetrica del Ferrarese vedeva dislocata la quasi totalità dei centri abitati lungo i principali percorsi attivi del fiume o lungo i suoi alvei abbandonati, per evidenti ragioni pratiche anche il reticolo stradale principale del ferrarese si snodava lungo gli argini o seguiva le rive di fiumi e canali. Gli argini in terra del Po erano, tra l'altro, i luoghi relativamente più elevati e meno soggetti ad allagamenti nei mesi piovosi.
Strade e argini dei corsi d'acqua coincidevano per lunghi tratti. Piccole strade fangose o semplici cavedagne erbose tra i campi collegavano fra loro i villaggi e questi con gli insediamenti rurali sparsi e con le dimore padronali che di regola li affiancavano. Le strade di attraversamento tra un alveo e l'altro del fiume seguivano di solito i dossi lasciati da antichi rami del Po e avevano pertanto l'andamento sinuoso, tipico dei percorsi fluviali.
Un esempio significativo di questi tracciati è l'attuale strada provinciale che dalla frazione di Cona giungeva a Consandolo, toccando Voghenza e Belriguardo. Essa seguiva il Sandolo, antico alveo padano abbandonato, sulle cui rive incontriamo l'insediamento romano di Voghenza.
In questo quadro di generale scarsità di comunicazioni terrestri, vi era un'unica importante eccezione: la strada Romea, una pista sabbiosa che si snodava lungo il litorale ferrarese, ma spostata più a oriente rispetto a quella romana Via Popilia che da Rimini doveva raggiungere Altino e, di qui, sotto il nome di Via Annia, i centri di Concordia e Aquileia. Il tracciato romano, presumibilmente, percorreva uno dei cordoni di dune fossili ancora oggi sede di insediamento lineare (Argine Agosta, Ponte Maodino, Italba, Massenzatica, S. Basilio ecc.).
L'attuale strada Romea è segnalata dalla documentazione cartografica del XVI-XVIII secolo come la strada corriera della Repubblica di Venezia, che collegava col servizio postale la città lagunare con Roma. La Romea era percorso di pellegrini, senza dubbio, ma anche veloce mezzo di contatto terrestre per i corrieri che portavano a cavallo le notizie e le informazioni scritte.
Quella pista di sabbia che correva fra boscaglie e pinete, da Ravenna a Chioggia, e che attraversava i rami deltizi del Po mediante i passi muniti di osteria e cambio di cavalli (Mandriole, Primaro, Bellocchio, Pomposa, Mesola ecc.) dopo la caduta della Serenissima, nel 1797, perdette la sua principale funzione. Solamente nel 1952 il vecchio tracciato di sabbia inizierà a convertirsi in un moderno nastro di asfalto e renderà possibile un diverso modo di vivere e produrre ricchezza per l'oriente ferrarese e per il delta padano in generale.
Ma torniamo al territorio soggetto alla città e cerchiamo di dislocare i principali assi stradali con l'ausilio della documentazione cartografica dei secoli passati. La cartografia ferrarese, com'è logico aspettarsi, pone in assoluto risalto il reticolo idrografico, lasciando spesso in ombra quello stradale.
Nella rappresentazione astratta e simbolica del territorio, le strade più importanti non si distinguono dagli argini dei fiumi e dei canali navigabili, da sempre oggetto delle principali attenzioni del potere politico municipale e provinciale.
Il più importante ingegnere militare e cartografo estense, Marco Antonio Pasi, ci ha lasciato due splendide rappresentazioni corografiche manoscritte dei territori estensi, conservate una all'Archivio di Stato e l'altra alla Biblioteca Estense di Modena. La prima, studiata da Alessandra Chiappini, risale al 1571, mentre la seconda è datata 1580.
Fortunatamente, oggi disponiamo di una copia del manoscritto originale del 1580, molto deteriorato, eseguita con i moderni metodi del restauro digitale e sulla quale è stato condotto un ampio studio da Laura Federzoni (2001).
La carta, come al solito molto attenta alla rete idrografica, ci indica tuttavia alcuni percorsi stradali già consolidati nel XVI secolo, molti dei quali di probabile origine medievale. La useremo, dunque, come guida principale, assieme alle carte tracciate da Bartolomeo Gnoli meno di mezzo secolo più tardi, nel nostro viaggio immaginario.
Una delle aree meglio servite da strade ci appare, nel manoscritto del Pasi, il territorio tra Cento e Finale. Dopo l'inalveazione del Reno nel Po di Ferrara (1522-26), i vecchi dossi lasciati dal fiume bolognese quando volgeva le sue acque in direzione del Panaro sono ormai convertiti in strade che uniscono i paesi di Dosso, Corporeno, Reno Vecchio, Renazzo, Casumaro e Alberone con Finale, centro strategico collocato alla biforcazione tra il Canale di Modena e il ramo detto della Lunga del fiume Panaro.
Un altro discreto gruppo di percorsi stradali si snoda nei centri del Copparese, in fregio al Naviglio di Baura e come attraversamento interno del Polesine di Ferrara: da Fossalta, Gradizza, Copparo, Cesta, Coccanile, Piumana, fino all'argine Brazzolo (o dei Brazzoli), che delimitava le grandi valli di Ambrogio e le aree da poco prosciugate della grande Bonificazione estense del Polesine di Ferrara. Anche quest'argine è indicato come percorso stradale, tutt'oggi esistente.
Spicca, sempre nelle carte di Pasi e successive, come quelle di Bartolomeo Gnoli, relative alla prima metà del XVII secolo e raccolte e commentate a stampa nel 1658 nel cosiddetto Atlante di Alberto Penna, lo Stradone di Zenzalino, percorso rettilineo che raggiungeva l'omonima grande tenuta agricola dei Trotti.
Interessante notare, nell'area sottoposta alla Bonificazione, l'esistenza di altri rettilinei stradoni di bonifica, che corrono paralleli a distanza uniforme e che la carta Pasi evidenzia con nitidezza segnalando anche l'esistenza dei ponti di attraversamento dei grandi canali collettori (Seminiato, Galvano, Ippolito, Canale del Corlo).
Queste strade di bonifica, insieme alle centinaia di chilometri di canali collettori, erano state consegnate, giusto nell'anno 1580 in cui Marco Antonio Pasi disegnava la sua seconda carta, ai Conservatori della Bonificazione scelti da Alfonso II tra i più importanti proprietari del comprensorio prosciugato.
Possiamo dire che la carta documenta uno stato dei luoghi destinato a mutare radicalmente appena qualche decennio più tardi, quando le rotte del Po e le conseguenze del Taglio veneziano cominceranno a risommergere le aree prosciugate e a cancellare l'organizzazione territoriale creata dalla bonifica.
Altre strade rettilinee tipiche della attività bonificatoria su vasta scala, di cui abbiamo documentazione cartografica fin dalla prima metà del XVI secolo, erano quelle tracciate nella grande zona paludosa della Sanmartina, bonificata dal duca Ercole I d'Este alla fine del Quattrocento: la Via Civetta, la Via pubblica della Catena, la Via Pelosa, lo Stradone Ducale, l'Argine Prati e lo stradone del Lupo.
Percorso più antico, in quanto legato a un corso d'acqua che scaricava le acque delle grandi valli poste sul confine bolognese, era la Via alta del Ladino al cui terminale stava l'abitato di Porotto.
Una mappa topografica levata dal perito ferrarese Giovanni Battista Benetti su un originale del 1579 di Valentino Ranzi, segnala, sempre nella Sanmartina bonificata, a partire dal dosso del Ladino e dal vicino collettore Fossa Marchesana, una Via per andare a Bologna, con direzione di marcia verso Poggio Lambertini (oggi Poggiorenatico).
Possiamo presumere che questo e altri tracciati di bonifica verranno cancellati un quarto di secolo più tardi dalla chiusura dell'immissione del fiume Reno nel Po (1604) e dalla grande massa di deposizioni alluvionali che il fiume bolognese disalveato scaricò per un secolo e mezzo nella parte meridionale del territorio ferrarese.
Già una carta della raccolta di corografie di Penna, risalente alle visite dei Monsignori Capponi e Corsini nel secondo decennio del Seicento, segnala grandi spazi vuoti a cavallo del confine bolognese e le "vestigia della Torre del Fondo", piccolo insediamento collocato sulla strada di confine e ormai abbandonato.
Un cenno particolare meritano, infine, i percorsi stradali che escono dalla città di Ferrara. I più importanti segnalati nella carta di Pasi, se escludiamo i tracciati arginali del Volano e del Primaro e quelli del Polesine di San Giorgio, sono quelli che conducono a quello che è ormai il corso principale del Po. Dalla porta di San Benedetto esce una via che costeggia le mura fino al baluardo del Barco e di lì punta verso Pontelagoscuro.
Nei pressi della Porta degli Angeli, un'altra strada attraversa il Barco per immettersi sulla via del Ponte nel tratto compreso fra il Canal Bianco e la Fossa Lavezzola. In una carta successiva di Bartolomeo Gnoli, comparirà il nome di Stradone Bentivoglio. Un terzo tracciato si stacca dal fossato delle mura cittadine in direzione di Francolino, importante centro portuale, passando per la Pavonara, percorso ancor oggi esistente.
Ma sempre nella carta di Bartolomeo Gnoli, di circa quarant'anni posteriore a quella del Pasi, e che delinea il Sito d'intorno alla città di Ferrara, troviamo una rettilinea Via Nuova, che parte in corrispondenza della Porta di San Giovanni e intercetta più avanti la vecchia strada di Francolino. È facile dedurre che si tratta dell'attuale tracciato che da Borgo Punta abbandona la via Copparo e si dirige verso Francolino.
Da quest'ultima località, la strada proseguiva sull'argine maestro del fiume. Sempre dalla porta di San Benedetto, ma in direzione nord-ovest, una via carrabile raggiungeva l'Argine Traversagno (esso pure percorribile come strada) e, dopo averlo superato, si biforcava: alla sinistra raggiungeva la riva del Canal Bianco, in direzione della Diamantina; alla destra, con percorso rettilineo, essa puntava verso Casaglia.
È facile anche ai nostri giorni individuare questa biforcazione, nonostante tutta la zona sia diventata sede di grandi e medi insediamenti produttivi. Ben indicato, nella Carta Pasi, anche il percorso ai piedi dell'argine del Po che da Pontelagoscuro raggiungeva Vallelunga e gli altri centri rivieraschi di Ravalle e Porporana, seguendo per un tratto il condotto di scolo Niccolino.
A ben vedere, questi itinerari stradali già consolidati nella seconda metà del Cinquecento, resteranno nei secoli successivi, insieme a quelli di argine, i principali assi portanti della viabilità comunale e provinciale.
Il nostro lento viaggio nelle campagne ferraresi del passato potrebbe proseguire ancora, lungo tante piccole polverose e fangose vie che attraversavano, un tempo, la grande pianura.
Solo al viandante, o al ciclista, o al navigatore fluviale a remi, cioè a chi sceglie deliberatamente i percorsi lenti, oggi è dato di riscoprirle per rivivere per qualche momento il nostro viaggio immaginario, al quale queste righe intendono essere sommesso invito.