Da quando ha iniziato a lavorare nel mondo dell'editoria e perché ha scelto Ferrara come sede?
Ho iniziato negli anni Sessanta, a Padova. Poi, all'inizio degli anni Settanta, ho deciso di ritornare nel luogo della mia origine - sono per metà napoletano e per metà ferrarese - è stata una scelta che mi ha permesso di pubblicare molti libri legati alla storia e all'arte di Ferrara.
In questi anni, come ha conciliato una editoria di qualità con un'editoria di servizio?
La qualità è stata, ed è sempre, un punto fermo della mia attività e questa non viene mai meno né quando pubblico un libro come I cinque canti dell'Ariosto, per il quale nel 1974 ho vinto il Premio Lipsia, migliore libro dell'anno, né quando ho stampato il catalogo come San Giorgio tra Ferrara e Praga. Accuratezza, passione, precisione, rigore sono sempre presenti quando stampo un libro. Evito ad esempio la carta lucida, perché, durante la lettura, disturba l'occhio. È meglio opaca sia per il tatto sia per la vista. Scelgo accuratamente le foto da inserire perché le fotografie sono fondamentali per l'armonia dell'opera.
Quale impegno tecnologico comporta oggi la riproduzione dell'arte?
La tecnologia oggi consente risultati di grande qualità, ma non sostituisce l'intervento umano. Ogni riproduzione apparsa nelle mie pubblicazioni è sempre il risultato di un'analisi attenta ed esigente.
Il più bel complimento che ha ricevuto nel suo lavoro?
A parte i riconoscimenti per la qualità delle opere che ho prodotto, forse il riconoscimento più bello l'ho ricevuto nel 1994, quando, ritirando il Premio Stampa di Ferrara, il professor Francesco Loperfido, presentandomi, disse di me: "È una persona che parla poco e ascolta molto". Quelle parole mi hanno molto colpito perché evidenziavano proprio la qualità che più mi caratterizza.
Tra i libri da lei pubblicati non ci sono molte poesie, perché?
Amo molto la poesia e proprio perché considero la poesia una cosa seria, preferisco rispettarla. Per essere poeti, bisogna avere molte qualità: tecnica, sensibilità, cultura... oltre naturalmente l'ispirazione... e non sono molti che hanno questi requisiti...
Con quali artisti italiani ha avuto stretti rapporti e con quali avrebbe voluto averne, ma non ci è riuscito?
Ho avuto rapporti con tutti quelli con cui ho voluto averne. Mi vanto di una cosa: nella mia vita non ho mai frequentato una persona cretina. Ho sempre stabilito rapporti di lavoro, trasformati, spesso, in amicizia, con persone interessanti dalle quali ho sempre imparato molto. Con una attività editoriale come la mia, ho incontrato moltissimi artisti, scrittori, poeti, intellettuali: Carlo Levi, Leonardo Sciascia, Guttuso, Attardi, Montale... l'elenco è lungo.
Sappiamo che con Carlo Levi c'è stata una grande amicizia.Come l'ha conosciuto?
Conobbi Carlo Levi negli anni in cui aveva lo studio e l'abitazione a Villa Strohl-Fern. Di quel periodo ha scritto Glauco Pellegrini nel 1985, con un aureo libretto Nel sole di Villa Strohl-Fern, con due brevissime introduzioni di Renato Guttuso e di Francesco Rosi.
Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta fui presentato a Levi da Gian Paolo Berto, suo fedelissimo allievo. Medico, pittore, scrittore e giornalista, Levi sprigionava sempre una calda energia animata da sorrisi di comprensione verso qualsiasi interlocutore.
Divenni presto un suo buon conoscente, poi amico. Non posso dimenticare le conversazioni fatte nell'elegante casa di via Tomacelli a Roma, dove si era
trasferito dopo aver lasciato Villa Strohl-Fern. Carlo Levi era uno straordinario conoscitore del cuore umano. A essere convinto di questo non sono stato solo io, ma anche altri intellettuali che lo hanno frequentato, come Moravia, Bassani, Di Vittorio, Ragghianti.
Ha amato di più Carlo Levi scrittore o pittore? E, secondo lei, c'è una omogeneità di linguaggio fra scrittura e pittura?
Prendiamo come esempio Cristo si è fermato a Eboli: più che un libro è un grande quadro. Carlo Levi è il medesimo artista che si serve della scrittura o del pennello senza nessuna differenza. Se noi possiamo pensare che Levi scrittore sia diverso da Levi pittore significa che non lo abbiamo capito. Basta vedere le grandi tele prodotte quando era ad Aliano, per capire come un uomo colto, nato ed educato nel settentrione d'Italia abbia letto con notevole sensibilità e precisione un meridione a molti sconosciuto e lo abbia saputo raccontare sia attraverso la scrittura sia attraverso il pennello. Ha saputo dipingere a parole quel mondo contadino, sottraendolo alla sua immobilità secolare, catapultandolo nella coscienza universale.
Carlo Levi, antifascista ha vissuto l'esperienza del confinato politico dal 1935 al 1936, ad Aliano, di cui ci parla in Cristo si è fermato ad Eboli, edito nel 1945 da Einaudi. Le ha mai parlato di quel periodo, di quando gli sembrava "d'essere caduto dal cielo, come una pietra in uno stagno"?
Carlo Levi non parlava mai di questa esperienza. Ho avuto la sensazione che proprio non volesse parlarne. Né con gli amici né quando si conversava insieme.
Solo una volta, ricordò un episodio del periodo ad Aliano: un esponente fascista, fra i notabili della zona, saputo che Levi spesso interveniva, gratuitamente, come medico, per risolvere i problemi di salute di quella povera gente, gli ordinò di non farlo più, minacciandolo, in caso di trasgressione, di seri problemi con la giustizia. Levi fu costretto a ubbidire, soprattutto per non mettere nei guai i poveretti che gli chiedevano aiuto. Dopo qualche mese, fu proprio l'esponente fascista a ricorrere al medico piemontese, perché suo figlio aveva seri problemi di salute. Levi gli ricordò la minaccia ricevuta proprio da lui, per cui, pur dispiaciuto, disse che non poteva intervenire. L'esponente fascista revocò l'ordine e da quel giorno Levi ha potuto curare non solo il figlio del notabile, ma anche i poveretti - ed erano tanti- che si rivolgevano a lui.
La qualità che più ha apprezzato in Carlo Levi?
La sincerità e l'interesse per l'uomo, la gente. Vorrei raccontare un aneddoto: un oscuro personaggio di provincia, dileggiato dai suoi concittadini per la pretesa di diventare l'autore di un libro che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto segnare un punto fermo, venne indirizzato, per burla, a Carlo Levi e avere quindi una critica e un consiglio. Levi lo ascoltò, gli diede qualche suggerimento e lo invitò a tenerlo aggiornato sul progredire del lavoro. Nacque così una frequentazione che suscitò la stima dei concittadini per lo scrittore in fieri. Forse Levi aveva trovato una pietra nascosta, certamente aveva saputo stabilire un rapporto umano, cosa che al pittore-scrittore stava particolarmente a cuore. In Levi convergevano sapienza ebraica, classicità greco-romana, modernità oscurata da ritornanti barbarie a cui opponeva la medicina che dall'antico traeva terapie del corpo e dell'anima. Generoso, sapeva ascoltare e conversare come un maestro d'altri tempi e pur sempre attuale. Ho sempre visto Levi come una creatura luminosa della notte.
Qualche difetto di Calo Levi?
Per me che l'ho amato, trovare difetti in Carlo Levi richiede un vero sforzo. Potrei dire che dispensava la sua grande umanità e generosità dall'alto del suo Olimpo nel quale c'era poco spazio per gli altri.
Che cosa ha ricevuto dall'amicizia con Carlo Levi?
Prima di tutto, proprio l'amicizia, dono inestimabile, poi, man mano che l'ho conosciuto, mi sono avvicinato a quel monumento di pensiero con la crescente convinzione dell'importanza del legame tra vita, azione, arte, memoria. Mi dicevo che non si può separare genio e studio, creazione e cultura. Mentre lo ascoltavo, mi chiedevo: è possibile un libero, profondo sapere, senza libri? No, senza libri non ci sono idee, ecco perché conquistatori, tiranni, dittatori hanno bruciato i libri propagatori di idee autonome, non concordi né sottomesse al pensiero dominante. Fu proprio per la lezione di Carlo Levi che cominciai a interessarmi di editoria, di stampe, di calcografia e incisioni in cavo dove i segni sono "cavità".
Per decenni ho avuto a Roma, in Trastevere, una stamperia, la Stamperia del Cedro, lasciata nel 2003. È lì che ho lavorato con numerosi artisti, tra cui gli amici più cari di Carlo Levi, come Nini Gromo, Cattaneo, Berto Vigano, e altri come Attardi, Janic, Faro, Mirri. Tra gli artisti, mi fu guida e amico Tono Zancanaro, uno dei famosi acquafortisti del secolo scorso. A Roma, ho trascorso momenti bellissimi con questi cari amici: indimenticabili le nostre conversazioni all'interno delle osterie romane all'insegna dell'allegria, della cordialità e della cultura.
Passai poi all'editoria vera e propria, a Padova, Roma e infine a Ferrara. Ma questa è un'altra storia a cui mi avvicinai memore degli incontri felici suscitati dalla "magia oratoria" di Carlo Levi. Del periodo romano, mi sono particolarmente care le cinque acqueforti che Levi accettò di fare con me dal titolo "Nati da un uovo", con un testo di Umberto Saba, un altro grande della poesia italiana.
Con una esperienza artistica così ricca, cosa consiglierebbe ai giovani che vogliono accostarsi nel mondo dell'arte?
Prima di tutto consiglierei ai giovani di leggere - leggere molto - e guardare, sforzandosi di capire tutto quello che si muove intorno a loro. Poi, per comprendere la realtà culturale di oggi, li inviterei a conoscere bene gli artisti del secolo scorso. Fare una scelta nella produzione vasta ed eterogenea del Novecento, riconosco sia un'impresa impossibile, però ci sono dei capisaldi dai quali non si può prescindere: l'impressionismo e Picasso per la pittura.
Manzù, Arturo Martini e Mascherini (le tre grandi M) per la scultura. Sandro Penna, Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, Umberto Saba, Zanzotto per la poesia?
Io sono ottimista: credo che oggi ci siano dei giovani in gamba che hanno voglia di conoscere, imparare. E sono sicuro che fra loro ci sia un Montale, uno Sciascia, un Mascherini...