Roberto Pazzi ha scritto di lui, qualche giorno dopo la sua scomparsa: «Generoso idealista politico, promuoveva operazioni culturali legate alla musica, alla poesia, alla filologia, alla traduzione, al teatro, occasioni per lui di partire per sempre nuove avventure culturali che lo portassero lontano, in giro per il mondo, con la stessa ansia di non perdere mai un'ora con cui lo si vedeva aggirarsi nella sua Ferrara...»
Pazzi ha ricordato anche che Roffi fu «superbo traduttore di Racine e Keats, che da demone di una vita scambiata anche un poco per opera d'arte, sapeva trarre la forza davvero prodigiosa dal suo personaggio...»
Quando, nel novembre scorso, si costituì a Ferrara il Comitato promotore per le celebrazioni tassiane, Roffi venne chiamato a farne parte. Una nomina senz'altro a pieno titolo per lo stretto e sensibilissimo rapporto di Roffi con il mondo della critica e della storia letteraria. Ma anche un buon titolo Roffi indubbiamente aveva acquisito quando cominciò - e continuò poi con quella sua mirabile ... azione "dirompente" - ad agitare il problema del recupero della prigione del Tasso, già compresa nel complesso ospedaliero di S. Anna.
Affiancato dal sottoscritto, quattro anni fa Roffi inviò una lettera al Comune di Ferrara perché lo storico ambiente fosse reso «accessibile ai visitatori tuttora numerosi, in particolare stranieri [...]. Una convenzione con il Conservatorio di Stato dovrebbe portare a concordare gli orari e le modalità di visita...»
Intanto, il Bollettino della "Ferrariae Decus" del 15 novembre 1990 pubblicava il breve suo saggio Il Tasso alla Corte estense e il suo "carcer profondo": «Lord Byron visitò nel 1817,» iniziava Roffi, «la presunta prigione dell'infelice poeta nei sotterranei dell'ex arcispedale S. Anna (in quella parte ora Conservatorio di Musica "Girolamo Frescobaldi") visitatissima allora e anche ora da quelli che, accuratamente nascosta com'è, riescono a trovarla.
Luogo dunque sacro alla storia e alla cultura non solo ferrarese, se è vero che certamente la visitarono, fra altri pur sempre notevoli personaggi, nientemeno che Goethe, Byron, Stendhal. Goethe dubita che il Tasso ci sia veramente stato: "Invece della prigione del Tasso, mostrano una legnaia o un sotterraneo che poteva servire da carbonaia, dove certo il poeta non fu mai rinchiuso." Ignoriamo dove Goethe abbia attinto questa certezza, non condivisa da Stendhal: "La prigione del Tasso mi ha commosso. Lord Byron vi si fece rinchiudere per due ore. Si batteva la fronte senza posa, mi ha detto l'attuale custode..."»
E sulla presunta pazzia del Tasso, per molti determinante motivo per il suo imprigionamento in un carcere tremendo anche se luogo ospedaliero e non gabbione per malfattori, ecco che cosa aggiunse Roffi nel medesimo saggio:
«Nessuno crede più a questa pazzia, salvo qualche raro uccello che si attarda, a proposito del Tasso, a discettare sull'obsoleto tema "genio e follia" analogo ALL'altra non meno vecchia coglioneria "genio e sregolatezza", dimenticando che i non pochi geni alcolizzati o sifilitici o drogati e pertanto per queste o per altre più o meno ataviche cause precipitati nella follia, erano geni non "perché", ma "benché" alcolizzati o sifilitici o drogati e quindi pazzi; e che se non avessero avute queste infelicissime tare, sarebbero stati ugualmente geni, ma vivendo più a lungo e meno tragicamente, come hanno ampiamente dimostrato Michelangelo, Goethe, Manzoni, Verdi e altri di altrettanta sana e vigorosa pianta [...].
Del resto bastano, a tagliare la testa al toro, alcune semplici considerazioni: anche se normalmente il Tasso era alloggiato, come dice egli stesso, nelle "sue stanze" a S. Anna, pur sempre era un prigioniero e in un ospedale, malgrado la pietà di Marfisa e di Lucrezia d'Este (l'altra sorella del Duca) lo portassero a prendere aria in passeggiate cittadine e nel contado; che tale prigionia durò oltre sette anni, non c'è perciò da meravigliarsi se il poeta, così trattato, si infuriava e, certamente ipersensibile come ogni poeta, andava in ismanie.
Nei quali casi, che non potevano non essere frequenti, noi crediamo venisse messo davvero tra i pazzi furiosi... Che poi vedesse i folletti nei suoi territori notturni, se si dovessero mettere in manicomio tutti quelli che vedono ancora oggi piangere Madonne e diavoli sogghignare, dovremmo ricostruire enormemente ampliati questi stabilimenti di pena e tortura che, malgré tout, Basaglia ha giustamente demolito. [...]
Se è vero poi che la più bella delle liriche dolorose scritta al S. Anna comincia col gran verso: "Dal mio carcer profondo", se ne può tranquillamente dedurre che non poteva trattarsi che dell'attuale sotterraneo, mentre un carcere - se non "profondo" pur sempre un carcere - sono da considerarsi le "stanze" a lui assegnate, se è vero altresì che carcere è la costrizione in un luogo che ci priva, anche se comodo, della nostra libertà a cui di scarso conforto potevano essere le poche concessioni di libera uscita, dovute all'umana pietà di Marfisa o di Lucrezia d'Este.»
Con i quattrini della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, tra non molto il restauro del "carcer profondo" dovrebbe avere inizio. Quando il "sacro luogo" verrà, per così dire, inaugurato, Roffi non sarà presente. O non sarà invece che tu, vecchio Roffi miscredente e autoproclamatissimo ateo, ma anima naturaliter christiana, appassionato frequentatore di conventi e di abati, tu sia presente tra noi, magari dopo un vivacissimo colloquio con messer Torquato?