Un martire centese del Risorgimento

Scritto da  Guido Vancini

L'inaugurazione del monumento a Ugo Bassi, a Cento.Ugo Bassi fu amico di Garibaldi e combattè al suo fianco, anche se solo con la fede e con le parole.

«Come nacqui, così vivo e morrò centese, vostro Ugo Bassi»: così sta scritto in un foglio incorniciato che campeggia nel Gabinetto del Sindaco di Cento. Sono le parole autografe del grande martire risorgimentale, accanto a cui si trova il crocifisso d'argento indossato l'8 agosto 1849, alle tredici, quando pallottole sacrileghe e assassine ridussero al silenzio la bocca e il cuore di questo amante di Cristo e della patria.

Chi era Ugo Bassi? Possiamo capirlo dalla descrizione che di lui fece Giuseppe Garibaldi: «Ugo Bassi, colui che nei giorni di battaglia esercitava il ministero di sacerdote colla generosa pietà che eguaglia a Dio, possedeva nel tempo stesso l'ingenuità del fanciullo, la fede di un martire, la scienza di un letterato, il coraggio di un eroe.

 

Aveva capelli bruni e inanellati, gli occhi brillanti al pari del sole, la bocca sorridente, il collo bianco e lungo, le membra agili e robuste, il cuore di fuoco per la gloria e pel pericolo, gli istinti leali, lo spirito elevato, balenante, rapido, fatto nel tempo stesso per la contemplazione dell'anacoreta e gli ardori dell'apostolo.»

 

Altra testimonianza dell'epoca è la lettera scritta a Giuseppe Mazzini, uno dei tre grandi del Risorgimento, esule a Londra, nell'aprile 1839, dalla madre, stupefatta e affascinata dalle parole del centese ascoltato nella Cattedrale: «... ieri, Venerdì Santo, in cui va la predica alle ore otto, ebbene alle tre dopo mezzanotte la piazza era piena di folla ad aspettare s'aprisse il Duomo.

Infatti si aprì alle ore quattro e molti non vi poterono entrare. Ieri sera fu da me il Prof. Canale che ebbe ad avvicinarlo [Ugo Bassi] e mi disse che sia uomo versato in ogni lettura, e che più abbia un'anima bella e pura e sublime; il celebre predicatore ha finito col far piangere di tenerezza tutto l'uditorio.»

Il giovane Ugo Bassi cominciò a manifestare tutto il proprio ardore di patria nel 1815: si offrì volontario all'esercito di Murat, che aveva lanciato un proclama agli italiani affinchè collaborassero alla creazione di uno stato unitario e indipendente.

I tempi, però, non erano ancora maturi. Sei anni dopo, Ugo ubbidì alla chiamata del Signore, pronunciando i voti monastici presso l'Ordine dei Barnabiti che, con intuito felicissimo, lo destinarono alla predicazione. Nel 1828 debuttò a Vercelli con la sua prima predica, e continuò per vent'anni ad affascinare, commuovere, conquistare, persuadere le folle che, in tutte le cattedrali d'Italia, si assiepavano davanti al pulpito per ascoltarlo e venerarlo. 

E' interessante leggere quanto scrisse di lui Quirico Filopanti, docente di meccanica all'università di Bologna, patriota, segretario dell'Assemblea Costituente Romana, ed estensore, il 9 febbraio 1849, del Decreto di Proclamazione della Repubblica: «Io fui personale amico di Ugo Bassi; ma egli era altresì amato e quasi idolatrato da molte migliaia di uomini e di donne, che ascoltarono per vari anni nelle principali città d'Italia la sua eloquente, anzi affascinante parola. Bello era il suo volto come quello di Garibaldi, il quale pure teneramente lo amava. Nobilissima intanto in entrambi la regolarità dei lineamenti, non poco simili a quelli del Nazareno. Più maschi nell'eroe nizzardo, più dolci nel martire centese. Sonora e singolarmente simpatica era la voce; eguale il coraggio in battaglia, e l'amore della patria. Mancava ad Ugo il genio del Duce del popolo, ma era più poeta e artista...»


L'arresto di Ugo Bassi in una cartolina d'epoca.La sua vita di predicatore non fu facile. Già nel 1835, precisamente il 2 maggio, papa Gregorio XVI lo invitò a Roma ed ebbe con lui un lungo colloquio, durante il quale lo consigliò di essere più prudente, meno infiammato ed esuberante nelle prediche. Quattro anni dopo, il Segretario di Stato, cardinale Lambruschini, lo accusò di essere affiliato alla massoneria e nel successivo 1840, nel corso di un ciclo di prediche a Piacenza, venne esonerato dall'incarico e gli fu proibito di predicare negli Stati Pontifici.

Per un breve periodo, potè continuare la predicazione soltanto a Napoli e in Sicilia. Visse con grande entusiasmo l'elezione al soglio pontificio di Pio IX, partecipando alle manifestazioni popolari del 1846 a sostegno di questo papa che, in un primo tempo, si schierò apertamente a favore dell'indipendenza italiana. Nel 1848, anno di grandi passioni e grandi attese, Ugo Bassi si recò a Roma, ove fu ricevuto e ascoltato dal pontefice in cui erano riposte tutte le speranze degli italiani.

In quello stesso anno, l'attività di Ugo Bassi fu frenetica: tenne novene, quaresimali, appelli patriottici, prediche affascinanti a Piacenza, Perugia, Alessandria, Torino, Genova, Bologna, Palermo, Ancona, Roma e in tutte le città ove folle osannanti ed entusiastiche ne reclamassero la presenza.

Non dimenticò nemmeno la propria terra natale, ove, il 30 aprile 1848, Domenica in Albis, parlò da una tribuna eretta in piazza del Guercino, eccitando i giovani e il popolo a offrirsi ai bisogni della guerra d'indipendenza e raccogliendo copiosissime offerte. Il suo entusiasmo per il papa che aveva benedetto l'Italia era tale che, sotto i portici del Palazzo Comunale di Cento, fece affiggere un cartello in cui proponeva di ribattezzare Cento "Piopoli": la città di Pio.


Un francobollo commemorativo.Lo storico Arrigo Petacco, autore di una collana sulla storia d'Italia, ha intitolato il volume dedicato all'eroe centese W Gesù, W Maria, W l'Italia. In quest'opera si trova il resoconto dell'episodio che, certamente, condizionò gli ultimi mesi di vita del centese: l'incontro con Garibaldi, avvenuto la mattina del 3 marzo 1849, alla periferia di Rieti, dove era alloggiata la legione garibaldina accorsa in aiuto alla Repubblica Romana.
A causa del potere temporale della Chiesa, che ostacolava il suo piano unitario, Garibaldi era poco amico delle tonache e dei religiosi. Ciò nonostante, simpatizzò subito con il Bassi. Pur non avendolo mai conosciuto, sapeva già delle sue idee e dei successi della sua oratoria. Lo nominò immediatamente cappellano e, durante gli spostamenti della legione, lo faceva cavalcare al proprio fianco, ironizzando spesso sulla sua veste nera di padre barnabita.

Questa neonata amicizia fu suggellata ad Agnano, il 24 aprile 1849. Dopo una predica durata due ore e mezza che scatenò la commozione e l'entusiasmo del popolo, il Bassi venne portato in trionfo dai legionari. Garibaldi si commosse fino al pianto, lo abbracciò e gli fece dono della sua bellissima uniforme di comandante, usata in due sole occasioni, a testimonianza della sua stima e del suo affetto.

A Ugo Bassi, oggi, sono dedicate vie e piazze in moltissime città italiane, simbolo della gratitudine del nostro popolo per questo eroe risorgimentale. Cento, però, non ha fatto molto per lui: un monumento, eretto con un secolo di ritardo, e un libro, dedicatogli dal medico centese Didaco Facchini.
Fra due anni, nel 2001, si festeggerà il secondo centenario della nascita; già da ora lanciamo da queste colonne un appello affinchè venga finalmente organizzato un seminario di studi su Ugo Bassi, onde chiarire alcuni aspetti ancora insondati o controversi della sua vita e della sua azione di patriota e di sacerdote.

Duecento anni dovrebbero bastare per fare chiarezza, per correggere giudizi affrettati e luoghi comuni, al riparo da stati d'animo emotivi, legati a una storiografia ancora fresca di cronaca, facendo emergere giudizi più accettabili e veritieri. Ciò che, comunque, non verrà mai messa in discussione è l'eroica morte di questo apostolo di Cristo.

Dopo la fuga da Roma, sbarcato nel comacchiese insieme al capitano Livraghi, fu consigliato da Garibaldi di separarsi dal suo seguito, per cercare rifugio in uno dei tanti villaggi isolati del delta padano. Ubbidì, ma ebbe la malaugurata idea di chiedere alloggio in un'osteria di Comacchio. Una spiata segnalò la sua presenza, e quella di una decina di garibaldini, agli austriaci che lo fecero prigioniero nella cittadina lagunare. Nonostante fosse sacerdote e suddito dello Stato Pontificio, non fu consegnato al governo papale, presso cui avrebbe potuto far valere l'immunità ecclesiastica, bensì nelle mani del generale austriaco Gorzkowsky, che lo odiava.

Senza un regolare processo, in mancanza di una sentenza, con la sola falsa accusa di aver portato armi - mentre la sua unica arma fu sempre e solo il crocifisso - venne condannato a morte e rinchiuso nel carcere della Carità, a Bologna, in via San Felice. Alle ore 12 dell'8 agosto 1849, fu condotto a Villa Spada e, un'ora dopo, venne fucilato in corrispondenza degli archi sessantasei e sessantasette del porticato che, da via Saragozza, conduce alla Basilica di San Luca.

Sul luogo dell'esecuzione, che fu anche la sua sepoltura, i bolognesi si recarono in pellegrinaggio e sostarono in preghiera; montagne di fiori e di corone coprirono i luoghi insanguinati del martirio. Tanto fu il concorso di popolo che, nella notte del 18 agosto, il cadavere fu segretamente dissotterrato dagli austriaci per essere collocato entro la Certosa, in un luogo appartato e ignorato da tutti. Dopo la fucilazione, mani pietose raccolsero il crocifisso d'argento che mai si era separato dal petto dell'eroe.
Oggi, quel crocifìsso è conservato nel Gabinetto del Sindaco, a Cento.