La luce del Giudizio

Scritto da  Ottorino Nonfarmale

Un particolare del Giudizio durante il restauro.Un accurato restauro restituisce a Ferrara le pitture del catino absidale del Duomo.

Il complesso lavoro di intervento sul catino absidale è iniziato dall'analisi dei materiali eseguita insieme al dottor Rattazzi, chimico del Centro Cesare Gnudi. Si sono eseguiti diversi prelievi di colore estratti dall'intonaco affrescato del catino. I risultati delle sezioni e delle analisi fatte in laboratorio sono stati controllati e valutati in concomitanza alle informazioni forniteci dai documenti storici.

Non era chiaro come Bastianino avesse operato con le finiture a secco descritte nel contratto; infatti, le zone con il colore sollevato erano le finiture a olio magro. Il rilievo fatto ai restauratori che operarono nel 1748 era di avere dedotto, durante l'intervento, che il dipinto fosse stato eseguito tutto a olio. Da questa interpretazione errata derivano i danni subiti dall'affresco. A questi danni, poi, andavano aggiunte infiltrazioni dal tetto che, in diverse zone, dovevano averlo dilavato e, in parte, ossidato.


Le deduzioni del Boari, che eseguì l'intervento del 1852, sono che il dipinto, già nell'accordo che il Bastianino aveva contrattato con la Curia, contemplava l'esecuzione di un affresco finito a secco.
Bastianino, infatti, aveva eseguito il suo dipinto abbozzandolo tutto ad affresco con finiture a tempera, guazzo, e le ultime, in buona parte, a olio di lino molto diluito, come confermato dalle analisi di laboratorio. Oggi, questa tecnica sarebbe indicata semplicemente come pittura mista.

Altre rivelazioni vengono prodotte sui metodi di esecuzione e sulle scelte dei precedenti interventi di restauro. Questi risultati confermati e confrontati con le analisi di laboratorio, ci chiariscono tanti lati oscuri sulla struttura e sul degrado di questo grande complesso pittorico.
In passato, durante gli interventi di restauro, la pulitura era stata fatta sempre e solo in superficie. Si pensi che l'ultimo intervento fatto nel Novecento (1957) dal restauratore Gregoretti, durò solo quaranta giorni compresi anche i festivi. Come fissativo o vernice finale fu steso un beverone (miscela di uovo con olio di lino cotto) su tutta la superficie del dipinto, visibile alla fluorescenza ultravioletta; per aumentare l'effetto finale dell'intervento, Gregoretti completò l'intervento con abbondanti e pesanti rifacimenti che contornavano le figure e che sono riconoscibili con l'aiuto di una normale e forte illuminazione laterale che ne evidenzia l'opacità e lo spessore.

L'invecchiamento dell'olio di lino cotto, mescolato all'uovo del fissativo finale, con la presenza della luce dei raggi UV, si è alterato scurendo il tono su tutta la superficie pittorica, offuscandone la trasparenza e l'intensità dei colori originali. Si aggiungano, poi, la polvere appoggiata sulla superficie e il bitume provocato dai fumi delle candele. In molte zone, vi è una presenza di contorni o finiture delle figure eseguite con grafite. Si è pensato a interventi di restauro, perché in certi momenti il tratto è abbastanza incerto, però questi segni, anche se leggeri, sono irreversibili.

Non si è potuto stabilire se sono coevi o più tardi. Non essendo molto visibili, si è deciso di non eliminarli, per evitare gli eventuali guai che potrebbero verificarsi durante questa operazione. Dopo le prove di pulitura, i confronti e la presentazione definitiva dei risultati alla direzione dei lavori, viene approvato il proseguimento, dando così inizio all'intervento.

La pulitura si rivela molto impegnativa e delicata, per la presenza del materiale molto differenziato adoperato in origine, e per le complicanze derivate dai precedenti interventi non omogenei che non hanno mai eliminato completamente i bitumi in superficie e specialmente in profondità. Questi ultimi, assorbiti dall'intonaco magro e molto poroso, era assolutamente necessario eliminarli per ottenere una luminosità finale del dipinto.
Il nostro intervento, eseguito con una serie di impacchi solventi ed estraenti, ha risolto buona parte di questo problema. Dopo la pulitura che, insieme ai bitumi, ha eliminato i molti rifacimenti, si è evidenziata una limpidezza delle immagini nascosta in questi ultimi secoli.

Con il recupero, le straordinarie immagini mettono in luce la forza di un grande maestro anticipatore dei tempi e di incredibili interpretazioni pittoriche.
Già Francesco Arcangeli, nel suo saggio, avvicinava la pittura del Bastianino a quella di Goya, ma, specialmente nel groviglio delle figure dell'inferno, è visibile anche una suggestione di Rubens che, da Mantova, ove lavorava per i Gonzaga, deve essere venuto a Ferrara e avere visto l'affresco. È presente l'ultimo Tiziano, specialmente quello del Marsia, della Deposizione dell'Accademia di Venezia e dei due dipinti di San Salvador, l'Annunciazione e la Trasfigurazione. Bastianino ammirava e imitava questo tardo periodo del Tiziano maturo.

Un particolare del Giudizio a restauro ultimato.Dopo la lettura dei documenti, il controllo e la riflessione sui risultati delle analisi di laboratorio ricavate dai prelievi fatti sul dipinto, viene condotta l'osservazione del dipinto eseguita con luce frontale e radente, e il controllo alla fuorescenza ultravioletta e infrarossa. Per l'alterazione dei materiali dovuta ad agenti esterni, infiltrazioni e conseguenze dovute a vecchi interventi, la metodologia di intervento saggiata in diversi punti per valutarne i risultati, confrontandoli con le relazioni dei prelievi e dei vecchi documenti, ci ha permesso il chiarimento della complessa situazione di alterazione e di degrado dell'intera parete dipinta.


Si potrebbe anche dire affrescata: tante, infatti, sono le finiture a secco che nei precedenti interventi sono state perse, che la maggior parte di quanto rimasto è la prima stesura fatta da Bastianino eseguita ad affresco.
Si è proceduto con il consolidamento e con la pulitura a settori; si è dato inizio dal basso verso l'alto, per evitare che colature di solvente o di acqua invadessero le zone dipinte sottostanti, in quanto, dopo essere stati assorbiti dall'intonaco, molto poroso come già detto, sarebbe stato difficile eliminare i bitumi completamente in un secondo passaggio, lasciandone visibile il residuo.
La presenza di finiture a secco eseguite a tempera rendeva l'operazione molto delicata. Infatti, gli impacchi, eseguiti con fogli di carta molto spessa (Scott Wypall, cm 30x37) hanno permesso il rigonfiamento dei rifacimenti e l'estrazione dei bitumi presenti in superficie e in profondità.

In presenza di finiture a tempera, si è operato con sola acqua, tamponando sul foglio dell'impacco, aggiungendo solo al termine poco solvente che aiutava l'estrazione dei bitumi.
Gli impacchi sono stati eseguiti: primo, con un controllo a luce radente dove erano presenti sollevamenti di pellicola pittorica, con carta giapponese applicata alla superficie con Gelvatol, (resina polivinilica reversibile); secondo, con una spugna morbida, pennello e spruzzino, facendo penetrare sempre prima acqua calda, nell'intonaco; per evitare poi la caduta anticipata dell'impacco, si stendeva sul muro la spessa carta molto compatta e satura d'acqua.

Si continuava ad alimentare da sopra l'impacco con pennello, aggiungendovi una soluzione di carbonato di ammonio che variava dal 5 al 15%, scelta la concentrazione da zona a zona, a seconda della presenza o meno di rifacimenti in parete e della densità dei bitumi nella zona ove si operava.
Dopo 10-15 minuti, l'operazione continuava asportando dalla parete i fogli, levandone uno per volta, eliminando subito i rifacimenti con l'aiuto di una piccola spugna di mare molto morbida. Nelle zone dipinte a tempera, selezionandole da sopra la carta, si completava il potere solvente con poche pennellate, a carta ormai satura d'acqua, stendendo la soluzione di carbonato di ammonio e di conseguenza molto diluito. Tamponando, poi, da sopra, la carta, si evitava di danneggiare le pennellate a tempera sottostanti.

A superficie quasi asciutta, era possibile localizzare i rifacimenti, operando sempre con piccole spugne umide, bastoncini e cotone, o con piccoli pennelli. Identificandone e localizzandone i punti, con queste precauzioni era possibile eliminare i piccoli residui, recuperando tutto il colore originale sottostante.
Ove i rifacimenti erano ancora presenti, si ripeteva l'operazione il giorno dopo o dopo qualche ora.
Le lumeggiature delle nubi eseguite a olio magro e bianco di titanio, le finiture eseguite con colori a olio molto diluito con acquaragia e originali, erano molto delicate e facili allo scioglimento, perciò venivano riprese dopo qualche giorno.

Se l'intervento di pulitura di queste zone molto delicate fosse stato pesante e veloce, poteva compromettere queste ultime finiture a secco, assottigliandole.
In alto, a destra, c'è l'intonachino finale ove il pittore inizia a dipingere ad affresco: questa zona era molto crettata e separata dall'arriccio. Il Bastianino è subito intervenuto "restaurando" l'intonachino in superficie, pennellando con spesso colore a olio, che gli è pure servito come ancoraggio all'arriccio sottostante, spingendo il materiale nei tagli della crettatura. Il consolidamento degli intonaci da noi eseguito è stato condotto con iniezioni di resina acrilica emulsionata (Primal AC 33 diluito al 40%, caricato con carbonato di calcio o con Ledan), proteggendo prima l'affresco con piccoli fogli di carta giapponese applicati come protettivi in superficie (Paraloid B72, diluito al 5% con diluente nitro).

 

Un particolare del Giudizio durante il restauro.Nella zona al centro della volta, durante l'ultimo intervento fatto dal Gregoretti, i fissaggi erano stati eseguiti con iniezioni di colletta. In queste zone i sollevamenti erano abbastanza estesi. Risultava troppo pericoloso estrarre la colletta. Si è, così, deciso di eseguire questo intervento, proteggendo prima la superficie con due o tre strati di carta giapponese, iniettando poi resina epossidica espansa che, nel momento della catalizzazione, la reazione riscalda, spingendo la colletta esternamente. Al momento delle iniezioni, la superficie è stata protetta con spessi fogli di polistirolo da 4 cm puntellati all'impalcatura di cui ammortizzano l'oscillazione, favorendo così la penetrazione in profondità del consolidante che fissava saldamente all'arriccio sottostante di preparazione dell'affresco.

La pittura di Bastianino, molto veloce, impressionista, se vogliamo esprimerci in termini pittorici, è, però, tecnicamente non troppo corretta per l'esecuzione di un affresco. A mio parere, credo che il suggerimento all'uso di questo tipo di pittura mista sia stato dato a Bastianino perché non era abbastanza preparato per la tecnica dell'affresco, molto difficile e complessa, e che, inoltre, non andava d'accordo con la sua pittura condotta con  molte riflessioni, per poter esprimersi e raccontare con immagini a volte sofferte.
In quel periodo, molti erano i pittori che lavoravano ad olio su muro. Anche Sebastiano del Piombo si era proposto per il Giudizio Universale della Cappella Sistina in Vaticano, ma non venne accettato. Molti altri usavano questa tecnica che era meno impegnativa.

Negli interventi di restauro precedenti vi sono stati diversi danni, specialmente sulle zone a secco. Il primo intervento, del 1773 o 1778, ove si parla di ritocco, può essere il momento in cui si perdono finiture a olio, spinte da umidità residua interna o scendente da infiltrazioni che favorivano questo tipo di degrado. Sollevamenti che venivano asportati con molta leggerezza. I danni subiti dall'affresco, quali siano stati gli operatori che hanno sbagliato, non è possibile identificarli: il guaio è che hanno sempre mal interpretato l'esecuzione del Bastianino.

Ora, durante l'intervento, abbiamo trovato asportazioni di finiture a tempera, una di queste molto evidente su uno degli angeli o nudi che sono sopra al Padre Eterno nella volta; con molta probabilità si tratta di un pentimento che in parte era stato eliminato, lasciando sulle carni dipinte ad affresco tracce di questo antico pentimento, poi ricoperto con un rifacimento. Noi, in accordo con la direzione dei lavori, abbiamo asportato il rifacimento e tutte le piccole tracce del pentimento rimaste.

Queste si presentavano solo come macchie insignificanti. Si è recuperata la superficie del nudo della prima stesura ad affresco, lasciando intatte le rimanenti tracce del pentimento complete e marginali (braccio e parte del viso), che sono dipinte fuori da questa figura, sopra il cielo, e che non disturbano la composizione densa di personaggi.
Nel cielo, vi sono rimaste tracce originali di cherubini. Tutto, o quasi, il cielo era stato ripassato con spesso colore a tempera per mascherare giunte di giornata e altre zone perse.
Selezionando come sopra detto, è stato possibile recuperare quanto di originale era rimasto.

Per l'intervento del 16 luglio 1766 si fa accenno che un certo Lazzari, imbianchino, oltre che imbiancare il coro, viene incaricato di pulire dalla polvere e dalla ragnatele il Giudizio Universale soprastante. È in questo momento che vengono fatti tutti quei graffi che arrivano fino a 4-5 metri di altezza sopra la cornice di base del catino. Con molta probabilità, questa operazione venne eseguita servendosi di una scala: penso che questa sia stata la sola possibilità di avvicinamento per la presenza del coro ligneo sottostante e perché il costo di una impalcatura forse era troppo oneroso per una semplice spolveratura.
Da questa scala, con lunghe pertiche e spolverino, è possibile sia stata eseguita questa operazione che ha causato graffi evidenti, orizzontalmente, e inoltre ha anche provocato quelle piccole cadute di intonaco menzionate dal Boari.
Tutti i danni meccanici sono visibili sul dipinto dopo la pulitura e prima dell'intervento pittorico.
Sempre nelle parte bassa centrale, sono state ritrovate tracce molto labili graffiate sul muro che testimoniano, forse, epoche di intervento o spolverature: sulla testa di un risorto, 1856 F B oppure O 713; sotto un risorto steso, 1891 - 21 agosto - con sopra una piccola scritta non decifrabile.
Dopo la completa pulitura e le iniezioni per saldare l'intonaco staccato, la pulitura finale in molte zone del dipinto è stata completata con acqua distillata.
Si è dato un leggerissimo fissativo con Paraloid B72 diluito con acetone e clorothene allo 0,015 nelle zone fragili e "magre" di superficie, specialmente ove erano presenti le finiture a olio magro.

L'intervento di consolidamento è stato, così, condotto con stuccature nelle zone graffiate, nelle fenditure, nei moltissimi buchi in superficie e cadute di colore. Al lato destro della volta vi sono perdite in zone figurative, provocate da infiltrazioni d'acqua, quelle zone già individuate dal Boari. Due fenditure di assestamento della volta sono state tamponate prima con calce e sabbia, poi finite con polvere di calcare addizionato a Primal AC 33 al 40%. Le iniezioni sono state eseguite sempre con Primal AC 33 al 40%, mescolato a carbonato di calcio o a Ledan. Nelle grandi "vesciche" ove era presente la colletta, è stato eseguito l'intervento consolidante, iniettando resina epossidica della Ciba Geigy Tipo M con espanso DY 5054 e catalizzatore HY 5162.

L'intervento pittorico condotto con il criterio della selezione cromatica, è stato eseguito con colori a tempera Maimeri ove erano necessari interventi coprenti e con velature ad acquarello della Winsor & Newton per velare le zone abrase.
Hanno collaborato all'intervento: Silvia Cesco Maiani, Antonio D'Alessandro, Giovanni Giannelli,  Rossana Gondolini, Cinzia Morini, Elena Regazzi,  Roberta Ricci, Oreste Roffia, Miriam Stocco e Giorgio Tagliani.