Il 1910 fu un anno importantissimo per Ferrara, l'anno delle Feste di Maggio e Giugno, con la grande mostra agricola industriale, nella quale furono inserite varie cerimonie, aperte dal re Vittorio Emanuele, attorniato dagli onorevoli Niccolini, Chiozzi, Turbiglio, Marangoni.
Niccolini si è imposto presto nella vita pubblica e culturale della città, nonché all'attenzione dei cittadini e dei giornali. Occupò per anni le pagine dei giornali ferraresi e spesso anche di quelle nazionali, per confe- renze, per interventi alla Camera, per altre iniziative. In qualità di sindaco diede il via a una stagione unica nella promozione dell'economia di Ferrara, dalla realtà agraria e latifondista a quella industriale con connessioni nazionali ed europee.
Promosse opere pubbliche quali l'edilizia popolare fuori della mura, quella scolastica in città e nel forese, con una straordinaria crescita della popolazione scolastica, l'istituzione della Scuola superiore femminile, l'ampliamento della Biblioteca Ariostea, il restauro di Palazzo Schifanoia, e della Palazzina Marfisa, la costruzione dell'Acquedotto cittadino, per indicare solo alcuni degli interventi pubblici di Niccolini quale sindaco. Quando egli divenne deputato, nel 1904, la città esultò e i giornali, ancora una volta, diedero grande risalto all'evento. Come parlamentare riprese, nei suoi interventi, i temi che gli erano stati cari, quando ricopriva la carica di sindaco: i temi agrari innanzi tutto.
Invocò una legislazione del lavoro a favore dei diritti dei più umili e una legislazione sociale che "consentisse l'armonia di tutte le classi". Liberale, interpretò le ansie di una maggiore giustizia sociale. Nel 1921, insieme a Giuseppe Agnelli fu promotore del Comitato per le celebrazioni del VI centenario della morte di Dante Alighieri, del quale facevano parte le maggiori autorità cittadine. Le celebrazioni iniziarono con il "prologo" Dante nel sesto centenario, di Antonio Fradeletto, consigliere centrale della "Dante". Sempre nel 1921, Niccolini scrisse il saggio L'amore e l'arte di Dante, recensito sulla "Gazzetta Ferrarese" da Eugenio Righini.
Con l'affermarsi del fascismo, Niccolini sembra defilarsi dall'impegno politico, anche se è molto presente sul piano culturale. Tiene, fra l'altro, a Roma, per l'Associazione Romagnoli-Emiliani, l'importante relazione La preistoria di Roma, riportata su quattro colonne dalla "Gazzetta Ferrarese" del 1924.
Altro grande risalto riceve in una lunga intervista, dopo un convegno a Tripoli, Tunisi, Malta. Ma sul piano politico è alquanto attaccato. Nel 1925, dovette giustificarsi con una lettera alla "Gazzetta", quale presidente dello Stabilimento Hirsh-Odorati, per non aver fatto esporre la bandiera e aver considerato giorno lavorativo il 28 ottobre, giorno della celebrazione della marcia su Roma del 1922.
Niccolini, eletto presidente della Cassa di Risparmio nel 1928, ottiene negli anni a venire il riconoscimento di tutti, per la probità e lo zelo nel potenziare la Cassa. Il 16 giugno del 1938 celebrò il centenario dell'Istituto, di fronte alle massime autorità nazionali - tra cui Edmondo Rossoni, in rappresentanza del Governo, Italo Balbo, il Governatore della Banca d'Italia - scegliendo come sede della celebrazione la rinnovata Sala del Consiglio dell'Istituto dove erano custoditi gli atti che dimostravano come per un secolo quei risparmi siano stati con grande scrupolo amministrati. Niccolini morì l'anno successivo, all'improvviso, a settantatre anni. Le immagini indelebili del suo funerale sono riportate nel "Corriere Padano" del 18 ottobre: il corteo lunghissimo, partendo dalla chiesetta di San Gregorio, restaurata per sua benemerenza, e snodandosi per via Cammello, via Saraceno, corso Giovecca - dove il carro sostò dinanzi alla Cassa di Risparmio, dove era esposto un vessillo abbrunato- e poi per via Palestro, piazza Ariostea, via Borso, raggiunse la Certosa "tra il riverente omaggio della popolazione, che si accalcava in tutte le strade con manifesta commozione". Sul carro, di seconda classe, per sua volontà, una sola corona di fiori, quella della vedova, Vittoria Bevilacqua, che seguì il corteo fino alla Certosa.