No, non è questa la storia della foto scattata chissà da chi. È una foto–ricordo di un certo interesse storico : le tre persone che appaiono sulla destra sono personaggi importanti nella storia del dissesto di una banca ferrarese, quella del Piccolo Credito: la “banca dei popolari” nata nel 1916, derivazione autonoma del Piccolo Credito romagnolo operante a Ferrara dal 1897. Si tratta di mio padre, avvocato Luigi Franceschini, commissario giudiziale nominato dal Tribunale di Ferrara, alla sua destra il cav. Enrico Biucchi funzionario della Banca d’Italia, calato nella città estense per sovrintendere al dissesto della banca, e il professor Ugo Obici, rappresentante del comitato dei creditori. Poi, alla sinistra di Biucchi, ci sono mia madre Angiolina con un bel cappellino bianco, mio cugino Renzo Laurenti, la figlia del cav. Biucchi e, infine, due bambinetti: la figliola di Obici e il sottoscritto, sette anni, in calzoncini corti e un bel “purillo”. La foto è stata scattata certamente nei primi giorni della primavera del 1928; fatta nelle poche ore di svago concesse ai principali curatori del dissesto della “banchina dei preti”, dissesto causato da una dolorosa crisi, specie sotto l’aspetto politico, con la quale da alcuni mesi si era iniziato il penoso cammino di elencazione dei creditori, dei debitori, delle risorse patrimoniali, delle insolvenze, delle operazioni bancarie troppo coraggiose e dei “fidi“ poco affidabili, insomma di tutti gli aspetti di un bilancio di una gestione indebolita e che rese inevitabile la conclusione drammatica della chiusura della banca. Riandiamo, quindi, all’inizio della storia del Piccolo Credito: dal 1897 al 1916 nella nostra città ebbe una florida esistenza la banca del Piccolo Credito Romagnolo, con filiale in via Cairoli 24, presieduta dal conte Giovanni Grosoli, affiancato dal consigliere segretario Giuseppe Vicentini. Il 1° maggio 1916, venne deciso di rendere autonoma questa filiale trasformandola in un nuovo istituto di credito che ebbe un inizio vivace e promettente. Nei primissimi anni di vita propria, "l’Istituto organizzò un’opera sana e fattiva, specie fra le popolazioni rurali, aiutando l’agricoltura e la piccola industria, sovvenendo iniziative private che qualche volta erano però troppo spinte od avevano uno sfondo religioso..." Il 1916 si era chiuso con il notevole deposito di 29 milioni che , nel 1917, si era quasi raddoppiato giungendo a 50 milioni. Lo sviluppo post bellico dell’economia locale aveva stimolato l’affluenza della clientela che portò, nel 1922, la massa dei depositi a 91 milioni e, due anni dopo, a 135 milioni. Grande merito di questa situazione andava alla sua diffusa rete di filiali nel territorio provinciale, all’adesione delle categorie produttive, gli agricoltori ferraresi in testa, e all’elevato tasso di interesse, non ancora vincolato al cartello bancario, offerto alla fiduciosa clientela in costante aumento. Un dato che ancora oggi appare straordinario è quello del numero delle dipendenze: alla data della sua chiusura il Piccolo Credito aveva ben 42 tra agenzie e succursali, anche fuori provincia, a Finale Emilia, Lavezzola e Pieve di Cento. La nuova versione della banca dei popolari ferraresi ebbe, però, una vita breve e agitata. Negli undici anni e mezzo della sua vita aumentarono, sì, il volume dei depositi e l’interesse dei ferraresi per la banca che viveva, con una buona dose di coraggio, lo sviluppo economico generale del dopoguerra, ma l’esperienza e la capacità professionale degli amministratori non furono sempre all’altezza della situazione. Scrisse Romeo Sgarbanti nel suo noto e pregevole saggio del 1954 sul movimento cattolico ferrarese che "l’urgenza di ricavare il massimo profitto dalla disponibilità dettò agli amministratori la ricerca di investimenti ad alto reddito onde far fronte alla imponente somma degli oneri dei depositi e furono appunto gli errori commessi nella collocazione dei fondi disponibili che minarono la floridezza della banca ." L’inevitabile procedura prevista per il dissesto si aprì con una istanza datata 17 novembre 1928 di Giovanni Grosoli, presidente della banca, che chiedeva al Tribunale di Ferrara il concordato preventivo giustificato specialmente dalle "gravi perdite subite nel dissesto di altro istituto di credito col quale il Piccolo Credito aveva rapporti di affari e di alcune aziende commerciali di cui la banca era l’unica proprietaria, sicchè non era possibile pagare i creditori al cento per cento". Naturalmente quanto detto sommariamente nell’istanza aveva un valore ben limitato, poiché le cause del dissesto erano più complesse e le giustificazioni, quindi, insufficienti e tutto doveva essere ben più documentato e chiarito nel corso della procedura che stava per iniziare. Così la prima relazione del comitato dei creditori, indirizzata al Tribunale di Ferrara il 9 febbraio 1929 e cioè tre mesi dopo la citata istanza presentata dal conte Grosoli, già delinea il quadro drammatico nel quale era andato a dibattersi l’istituto: "sempre, forse, con l’intendimento di raggiungere utili rilevanti, gli amministratori della banca del Piccolo Credito gettarono a piene mani denari disponibili in alcune industrie, rilevando aziende che si trovavano sull’orlo del fallimento, accollandosi, perciò, passività non indifferenti ed acquistando immobili a prezzi onerosi. Tutta questa perniciosa attività doveva, naturalmente, riuscire fatale per la banca". I ferraresi accolsero con soddisfazione la nomina a commissario giudiziale dell’avvocato Franceschini: il giovane professionista , aveva quarant’anni quando assunse il gravoso incarico, poteva vantare una indipendenza da legami politici perché non era iscritto all’imperante partito fascista né era reduce da militanza nello scomparso partito popolare; era già ampiamente conosciuto e apprezzato e il Corriere padano poté associarsi a questo consenso di stima dando atto che il curatore del dissesto era completamente estraneo a tutte le vicende politicobancarie del giorno, e "adempirà certo la sua delicata e grave missione con quella rigida severità e con quella scrupolosa sollecitudine che la gravità del caso e la vastità degli interessi colpiti richiedono". Il giovane curatore del grosso e complesso dissesto svolse la sua attività d’intesa col comitato di liquidazione, che si riunì per una trentina di sedute, con una scadenza settimanale e il lavoro svolto fu rapido e proficuo, tanto che nei sei mesi giusti di lavoro i liquidatori poterono iniziare il pagamento dei creditori nella misura prevista dalle norme di legge e, così, il 40 per cento in tre semestralità. Quando la sentenza di omologazione del concordato passò in giudicato e la procedura poté avviarsi alla conclusione, il curatore concluse il suo lavoro con una dettagliata relazione al comitato di liquidazione della banca sulle responsabilità degli amministratori del Piccolo Credito. Apparve dalle vicende descritte dal curatore quanto peraltro già si sapeva e, cioè, che non vi fu una vera e propria persecuzione politica nei confronti di costoro, anche se cinque di essi erano stati
inviati per alcuni anni al confino, secondo le pesanti regole dell’epoca. "Mancato e irregolare versamento del capitale sociale, operazione speculativa in borsa da parte di amministratori e loro congiunti, fidi e finanziamenti concessi in misura eccessiva e senza le debite cautele, mancata veridicità dei bilanci ": questi i principali aspetti negativi della gestione della banca descritti del curatore nella sua relazione del 16 maggio 1929. Terminato quel faticoso e increscioso lavoro, l’avvocato Franceschini poté riprendere la sua attività di civilista curando l’assistenza ad una ottima e qualificata clientela, ricoprendo anche incarichi nelle commissioni tributarie, nel Consiglio Provinciale di Sanità, nella Consulta Municipale per il settore del Credito bancario, nella Giunta Provinciale Amministrativa e in numerose procedure fallimentari. Tra i suoi ricordi professionali più preziosi amava porre quello della sua partecipazione, con Carlo e Luigi Sega, su mandato di Gaetano, fratello del pittore, alle cerimonie per la morte di Giovanni Boldini, avvenuta in Parigi l’11 gennaio 1931, e all’apertura del testamento. Poiché l’Artista aveva espresso la volontà di essere sepolto nella sua città natale così, qui a Ferrara, furono celebrati il 17 gennaio i solenni funerali. Sorsero, in seguito, tra la vedova Emilia Cardona e il podestà di Ferrara avv. Renzo Ravenna, non facili discussioni sul testamento dell’artista, che si conclusero con il felice esito dell’acquisizione di opere destinate a divenire il primo nucleo del futuro Museo Boldini. Nel secondo dopoguerra l’avvocato Franceschini ricoprì, per diversi anni, la carica di consigliere della Cassa di Risparmio di Ferrara sino a quando fu costretto, a causa di disturbi cardiaci, a rallentare e poi a cessare del tutto la sua attività professionale. Ma il ricordo di mio padre si associa, oltre che alla figura del prestigioso professionista, ad altri aspetti, a lui carissimi, della sua gioventù e della sua maturità: fu alpinista affascinato dalle Alpi e dalle meraviglie dolomitiche, cacciatore di valle nelle parti più suggestive della Penisola, automobilista tra i primi , amante dei motori e delle carrozzerie dell’Itala e della Lancia Lambda e, qualche volta, anche pittore ad olio di suggestivi e delicati paesaggi.