Recchi, nato a Ferrara il 13 dicembre 1798, operò intensamente come uomo politico, pubblico amministratore, studioso e scrittore, in tutto quel lungo periodo di travaglio europeo, italiano e risorgimentale che dai rivolgimenti francesi del 1830 e dai moti dell'anno successivo nelle Legazioni si svolse sino alla seconda guerra di indipendenza.
Il trentetreenne Recchi fu tra gli animatori di quei moti e poi, nella piena maturità, fedele alla "patria pontificia", fu uno dei maggiori protagonisti delle vicende e delle novità politiche successive all'elezione al pontificato di Pio IX.
Non visse, purtroppo, le esaltanti conclusioni del 1859, né ebbe la buona ventura - come capitò a Luigi Borsari, a Francesco e a Carlo Mayr, a Carlo Grillenzoni e a tanti altri, di trasferire nelle istituzioni parlamentari e governative del neonato Regno d'Italia l'esercizio di capacità e il frutto di esperienze particolarmente maturate nella breve stagione delle libertà concesse dal Pio IX. A centoquaranta anni dalla morte Recchi, che Pietro Niccolini definì «l'uomo politico più eminente che Ferrara abbia avuto nel secolo scorso» va doverosamente ricordato e penso che ci si possa compiacere del fatto che c'è chi pensa di organizzare un convegno di studi su di lui, nel 1998, in occasione del secondo centenario della nascita. Recchi, figlio di Luigi e Chiara Bonaccioli vedova Scutellari, rimasto orfano di padre quando era ancora fanciullo, in gioventù frequentò il Liceo di Ferrara e i collegi di Bologna e Siena.
Fu anche studente dell'Università di Ferrara ma abbandonò presto gli studi di giurisprudenza ai quali la madre voleva si indirizzasse; si dedicò invece con grande passione allo studio di una infinità di materie, dalla letteratura alla storia, dalla geografia all'economia, dalla lingua francese alla tedesca, all'inglese. Con saggezza amministrò le sostanze ereditate dal padre, che erano gravate di debiti, riuscendo a riassestare il patrimonio familiare. Intanto, stimolato da una madre intelligente e accorta, cominciò a viaggiare per visitare Roma e le principali città italiane.
È del 1829 una sua prima pubblicazione nella quale si occupa del pubblico insegnamento a Ferrara; in questa opera, che possiamo definire giovanile, rileva come la gioventù arrivi impreparata alle professioni, a causa di uno squilibrio nei programmi scolastici nei quali l'abbondante studio del latino e della retorica andava a scapito delle materie storiche e scientifiche, con la conseguenza - anche in quell'epoca - che i giovani falliti nelle professioni, per vivere «si gettavano alla domanda di impiego con grave iattura per la cosa pubblica».
Da questo derivava, secondo il Recchi, la necessità di istituire scuole tecniche, commerciali e agrarie, iniziativa che - all'epoca - secondo Minghetti si ispirava a idee ancora abbastanza peregrine.
Due anni dopo Recchi pubblica un breve studio sull'utilità di un canale navigabile che collegasse Ferrara all'Adriatico e nel 1830 un saggio sui «pozzi modonesi detti artesiani», rivendicando a un italiano del Seicento, tale Giandomenico Cassini, il primo progetto di utilizzo dei pozzi che poi trassero il nome dalla provincia francese dell'Artois che li sfruttò largamente.
Si succederanno poi, negli anni, altri saggi sull'agricoltura (Esperienze sulla coltivazione del grano gigante del 1841, Effetti dei rigidi inverni sulla agricoltura e sui vegetabili del ferrarese del 1842) e una cospicua serie di articoli sui problemi e le tecniche agrarie, pubblicati in quattro fascicoli dell'Almanacco georgico, periodico da lui stesso concepito e compilato dal 1841 al 1844.
Scrisse il Niccolini a proposito di questi studi: «Recchi fu, tra noi, il precursore di quella che noi oggi chiamiamo organizzazione agraria, quale la si esplica nelle associazioni dei proprietari e conduttori dei fondi e dall'insegnamento pratico dell'agricoltura» e osservò che Recchi «aveva dell'agricoltura questo concetto quasi filosofico: l'agricoltura è la sola che dia moralità e quiete alle popolazioni, stabilità ai governi, presidio alle libertà».
Nel 1843 Recchi pubblicherà i Cenni sul progetto di una lega doganale italiana, sviluppando un tema largamente trattato in quegli anni, specie per l'interesse che avevano i ceti agricoli a una maggiore valorizzazione dei loro prodotti, che poteva avvenire solo attraverso il libero scambio delle merci. Sempre in materia economica, sono di Recchi due libri di rilievo: uno del 1842 sulla libertà degli scambi e i Pensieri economici sulle strade ferrate pontificie del 1846.
I moti che nel febbraio 1831 infuocarono Emilia, Romagna e Marche impegnarono Recchi non più tra studi, libri e giornali, ma nell'azione politica più genuinamente rivoluzionaria.
Assunse l'incarico di segretario del governo provvisorio insurrezionale che si sostituì al potere pontificio, decretando riforme e preparandosi alla formazione di uno Stato delle Province Unite. Al congresso degli insorti, che si tenne a Bologna il 26 febbraio, Recchi partecipò con Antonio Delfini in rappresentanza dei ferraresi.
Purtroppo, il 6 marzo l'illusione liberale svanì con il ritorno del potere pontificio e Gaetano Recchi fu costretto a fuggire in esilio in Francia, dove rimase fino al provvedimento di perdono concesso da Gregorio XVI. Anche dopo il suo ritorno in Italia, per diversi anni Recchi visse ritirato, dedicandosi - come abbiamo visto - agli studi, specie a quelli di agricoltura. Abitava in via Ripagrande (la attuale via Carlo Mayr) al numero 167, nel bel palazzo sull'angolo con via Cammello che fu dei Rondinelli e dei Dalla Pellegrina e sarà poi dei Mayr, caratterizzato dalla ricca facciata in mattoni impreziosita da un ampio ed elegante balcone.
Ed ecco, nel maggio 1838, Recchi affiancarsi al conte Alessandro Masi per fondare una Cassa di Risparmio - una delle prime dello Stato Pontificio e d'Italia - che inizierà la sua attività il 5 febbraio 1839.
Masi ne fu il primo presidente e rimase in carica per breve tempo, sino alla fine del 1839. Recchi fu il suo più prezioso e stretto collaboratore; gli venne affidato l'incarico di consigliere-segretario, che mantenne sino al 1843, quando era presidente il conte Pier Gentile Varano.
Giorgio Bissi, nel suo saggio pubblicato nel 1938 in occasione del centenario della costituzione della Cassa di Risparmio di Ferrara, si occupa diffusamente dell'azione meritoria del Recchi che «occupandosi del funzionamento pratico della Cassa, approfondiva i suoi studi sul risparmio e sul credito, ricavandone alcune idee meritevoli di alta considerazione, perché anticipavano i tempi ed erano testimonianza di un'acuta penetrazione dei possibili sviluppi della Cassa di Risparmio in rapporto ai bisogni non esclusivamente delle classi povere, ma dell'intera società ferrarese [...].
Gli va quindi ascritto il grande merito di avere aperto la strada verso quella evoluzione che ha per punto di partenza una iniziativa ispirata a un sentimento filantropico e dal desiderio di giovare alle classi più povere e per punto di arrivo la raccolta del risparmio e l'esercizio del credito a vantaggio di tutte le categorie sociali».
A sedici anni dalla sua partecipazione alla rivoluzione contro il potere temporale del papa, Gaetano Recchi venne chiamato a rappresentare Ferrara nella Consulta di Stato, un organismo aperto anche ai laici, istituito da Pio IX con un editto dell'ottobre 1847, composto da ventisei membri e incaricato di coadiuvare la pubblica amministrazione, per tradizione gestita esclusivamente da religiosi, in un ambito relativamente ampio di affari di governo, soprattutto in quelli della finanza pubblica.
A Recchi venne appunto affidata la presidenza della sezione finanze.
La Consulta che il Rodolico definisce «una prima breccia nella muraglia che chiudeva il monopolio ecclesiastico nel potere pontificio» ebbe vita breve perché i grandi eventi "rivoluzionari" del 1848 erano ormai prossimi a travolgere istituzioni e programmi, che erano stati accolti dal favore popolare sebbene fossero ispirati al massimo della moderazione, della cautela e della prudenza.
La crisi politiche si succedettero senza soluzione di continuità in questo periodo, durante il quale il governo pontificio dovette affrontare sia il problema costituzionale, sia quello della guerra contro l'Austria.
Il 12 febbraio 1848 si formò un nuovo ministero presieduto dal cardinale Bofondi con Pasolini e Sturbinetti ministri. Ma la proclamazione della seconda Repubblica francese provocò nuove agitazioni nello stato romano e la conseguente caduta del governo.
Il 10 marzo toccò al cardinale Antonelli l'incarico di formare il nuovo ministero con un maggior numero di laici tra i componenti. A Gaetano Recchi fu affidato il ministero degli Interni e, nella sostanza se non nella forma, la direzione del governo. Quattro giorni dopo fu pubblicato lo Statuto degli Stati della Chiesa, sino ad allora formulato e tenuto segreto nell'ambito della Curia romana.
Ma mentre Recchi e il suo governo premevano perché lo Stato romano si decidesse a entrare in guerra a fianco del Piemonte, diversa era la volontà di Pio IX, che non intendeva che le sue truppe regolari e volontarie varcassero il confine. La drammatica situazione venne chiarita con l'allocuzione concistoriale di Pio IX del 29 aprile («la guerra contro i germani [...] essere cosa lontana dal nostro pensiero») che fece crollare ogni illusione di partecipazione dell'esercito pontificio a una guerra il cui obiettivo primario era la costituzione di uno stato nazionale italiano. Il governo si dimise immediatamente. Gli succedette quello guidato da Terenzio Mamiani.
Nel mese successivo Gaetano Recchi venne nominato membro della Camera Alta del Parlamento dello Stato romano, ma il dolore provato per la decisione del Papa lo indusse a ritirarsi a vita privata e a non prendere più parte ai lavori del Consiglio - nonostante fosse, in effetti, lo strumento che poteva promuovere l'avvento di più libere istituzioni - e a non accettare la nomina a ministro offertagli qualche mese dopo da Pellegrino Rossi.
Questa è la vicenda di un uomo di cui così scrisse Andrea Casazza, un ferrarese che fu membro per pochi mesi del Consiglio dei deputati dello Stato romano: «La schiettezza dell'animo traspariva nella limpida serenità del volto, nell'affettuosa gaiezza dei modi. La sua vita somiglia a un'acqua limpida che giunge alla foce senza intorbidarsi».
Un uomo poco ricordato dai ferraresi, come ebbe a rilevare il Niccolini. E fu lo stesso Niccolini a osservare per primo come, per un ironico scherzo del destino, complice la disattenzione di qualche commissione, «è avvenuto che per deplorevole equivoco sulla casa già è stata murata un'epigrafe che ricorda un altro patriota suo contemporaneo e certo non maggiore di lui».
E, aggiungo io, un uomo la cui tomba, nella nostra Certosa, non è individuabile se non si ricorre all'archivio del cimitero - come ho dovuto fare io stesso - perché nell'arco sotto il quale fu posta la cassetta con i resti non c'è alcuna indicazione del sepolto. Non mi resta che concludere col Niccolini che «ricordare con onore Gaetano Recchi è riparare a una grande ingiustizia».