La turca era sopravveste importante per gli adulti, lunga, aperta davanti, con maniche ampie; per i piccolini diventava turchetta ed era indossata da maschi e femmine nei primi mesi o anni di vita. Ma Isabella viene adeguata presto al suo ruolo di dama perché ha da poco compiuto un anno che gli stessi conti di guardaroba descrivono tessuti e decorazioni lussuose per le sue «camorette» e i suoi «monzili»: camora e monzile - veste chiusa con sopra il manto - rappresentavano appunto, sul finire del Quattrocento, abbigliamento elegante femminile, caratterizzato dall'influenza spagnola per l'uso del mantello «monzile» evidentemente caro a Eleonora che nel suo corredo ne contava una quarantina.
La pompa di corte avvolgeva i piccoli come una bambagia, scomoda anche se preziosa delle luminosità dell'oro e dell'argento; ma le esigenze di una infanzia spensierata non sono certo state negate a Isabella se nel 1475, suo secondo anno di vita, sono trentatré paia - di cui quattro «cun due sole» - le scarpette pagate al calzolaio di corte, segnale evidente di vivacità esuberante e corse sfrenate.
Contemporaneamente, la piccola viene avviata a quel livello di cultura umanistica e conoscenza delle arti che rientrava nelle ambizioni della coppia ducale non solo per una qualità della vita più intensa e raffinata, ma anche come simbolo e rappresentazione di autorità e di potere, come ricetta per governare con successo. Maestri importanti, da Battista Guarini, Jacopo Gallino e Sebastiano da Lugo fino al più amato, Mario Equicola.
La determinazione di Isabella di conformarsi all'immagine di "principe" colto secondo la tradizione umanistica deve essersi mostrata fino dall'infanzia; in età più matura, forse confrontandosi con alcune deficienze nella sua educazione classica (il Pontano la definì addirittura «senza lettere»), amò proporsi come "decima musa" e patrona delle arti costruendo il suo monumento attraverso un interesse e un entusiasmo collezionistico già mitico alla sua epoca. Il lusso vestimentario fa parte di questa immagine di cui tese sempre, evidentemente, a sottolineare il lato femminile. Dovendo confrontarsi con molte altre "signore" di corti splendide e raffinate, l'obiettivo era risultare superlativa anche in fatto di eleganza: se il fasto non sempre lo consentiva - la ricchezza dei marchesi di Mantova non fu mai eccessiva - dovevano supplire sorpresa e novità.
Per questo, ogni volta che le sembrò di avvertire una rivale sul palcoscenico delle apparenze, sua prima cura fu quella di informarsi, con metodo e costanza attraverso corrispondenti, su tutti i particolari dell'abbigliamento di queste supposte concorrenti. Fu così con Lucrezia Borgia quando le divenne cognata, e con Renata d'Este; ma lo stesso era accaduto con la sorella minore Beatrice.
Andata a nozze un anno dopo di lei con Ludovico Sforza, poi duca di Milano, la sorellina si era trovata al centro di una delle corti italiane più ricche e sfarzose, con cui per i Gonzaga non era facile competere. Perfino nel dolore in cui la gettò la morte della madre, non mancò di farsi descrivere nei dettagli le vesti a lutto di Beatrice. Avvertita della toilette «a bruno» con veli bianchi di questa, scrive in Francia alla cognata, Clara Gonzaga Montpensier, per farsi inviare panno fino nero per un abito con strascico, dato che il panno francese è di qualità superiore a quello che si può trovare in Italia.
Sono, infatti, poche le cose che compra a Mantova per rifornire il guardaroba: i suoi centri di approvvigionamento sono soprattutto Venezia e Ferrara. A Girolamo Ziliolo, che acquista per lei nella città natale ed evidentemente conosce bene i gusti e le smanie di lusso della sua principessina, raccomanda che si tratti sempre di «cosa gallante et nova», e insiste «non guardare a dinari... pur che sia tutta excellentia». Difficile stabilire la qualità particolare di un'eleganza di cui perfino Francesco I di Francia vuole i dettagli; ben esposti su una bambola manichino «una pupa vestita a la fogia che va lei» per proporli alle dame della sua corte.
Del resto si ignora anche il contenuto di quei magnifici tredici cassoni dipinti da Ercole de' Roberti che l'avevano seguita a Mantova dove era arrivata sposa di Francesco II Gonzaga; si sa solo che i suoi l'avevano mandata nel nuovi palazzo «da regina» con vestiti, gioielli e oggetti preziosi per un valore di 9000 ducati d'oro.
Si può, semmai, constatare dalle registrazioni dei conti di guardaroba e nelle descrizioni dei contemporanei una certa propensione per i colori scuri: sicuramente il «beretino» - un grigio cenere con tonalità violacee - scelto anche per voto che però, secondo una sua damigella, Beatrice de' Contari, la abbelliva e le conferiva grazia. A questo si aggiungeva il morello, o viola, e il velluto nero, indossato alle cerimonie per il matrimonio del fratello Alfonso con Lucrezia Borgia, in una veste foderata di raso rosso, con stringhe d'oro e bottoni di rubini.
Il gusto per i colori oscuri doveva venirle dalla madre: alla corte di Napoli le tinte cupe - in particolare il nero - erano le preferite di Alfonso I. La sua snella figura ammantata di bruno probabilmente richiamava l'immagine di Filippo il Buono, duca di Borgogna, perennemente vestito di nero dopo l'uccisione del padre nel 1419; e forti legami politici e culturali univano i signori di Ferrara alla splendida corte borgognona.
E' un fatto che anche tra le vestine preziose della piccola Isabella, scelte dalla madre, non erano infrequenti i colori gravi, rinforzati dall'applicazione di balze o liste di velluto nero. Una tinta, questa, la cui moda coinvolgerà molto il XVI secolo, indubbiamente dopo essere stata assunta a colore signorile tra le corti di Ferrara e Mantova. Isabella, appena ventenne, non ancora in grado di calcolare le terribili conseguenze politiche legate a certi avvenimenti, avrà sicuramente letto avidamente la lettera in cui, nel febbraio 1494, Niccolò Strozzi le descriveva l'ingresso a Firenze di Carlo VIII: a fianco del re cavalcava uno dei suoi fratelli, Ferrante, bello e armato come un San Giorgio (sono parole dello Strozzi) vestito di broccato e velluto nero, la coperta e i finimenti del cavallo dello stesso velluto.
L'inventiva maggiore di Isabella, in fatto di moda, sembra essersi rivolta principalmente alle acconciature, dove era più possibile muoversi con libertà rispetto alla foggia di un abito, in un'epoca in cui le conoscenze sartoriali dovevano ancora codificarsi in un metodo.
Già Francesco I, nella sua richiesta di «puva», aveva specificato di desiderare esempio non solo delle vesti della marchesina, ma «de li abiliamenti et aconciatura di testa et de li capilli», e Lucrezia Borgia, ora duchessa di Ferrara, non manca mai, quando ha occasione di incontrare amiche o parenti di Isabella di interrogarle «maxime de la conciatura de la testa».
Deve essere stata iniziatrice della pettinatura a capelli lunghi, raccolti entro sottile reticella di seta, con cui è raffigurata nel disegno di Leonardo datato 1500, visto che prima di questa data l'invisibile reticella non è mai stata documentata.
E sicuramente sua è quella particolare forma di acconciatura a turbante con cui è ritratta da Tiziano, la «capigliara» che, nascondendo i capelli, fu particolarmente gradita da certe dame la cui capigliatura non poteva dirsi folta.
Con Isabella d'Este scompare l'ultima presenza significativa per l'apparire delle corti italiane, in grado non solo di stupire per la ricchezza e l'intelligenza del suo modo di rappresentarsi attraverso gli abiti, ma anche di influenzare con il suo esempio il più vasto palcoscenico cortigiano europeo.