Voghiera e Voghenza, l'una a destra e l'altra alla sinistra orografica dell'antico ramo principale del Po-Eridano, erano situate in corrispondenza della grande isola fluviale che oggi è identificabile nel parco Massari-Mazzoni, nei tempi in cui il ramo principale padano era quello più a sud, che sfociava all'altezza della mitica Spina e che stava a significare vita, commerci e risorse per queste terre che ospitavano ricchi saltus imperiali.
Il saltus potrebbe essere oggi definito un latifondo, una grande fattoria con vaste aree boschive da cui si ricavava il legname per le costruzioni e per alimentare le numerose fornaci della zona, che potevano contare su quantità praticamente inesauribili di argilla prelevata dalle sponde del Po.
Fondamentale per il saltus era poi l'abbondanza d'acqua, fornita da numerosi collegamenti con il grande fiume e anche raccolta artificialmente in vasche e bassure, derivate dalle bonifiche, in cui si poteva sviluppare l'itticoltura, uno degli elementi portanti dell'economia romana.
Uno dei principali alimenti del mondo antico, infatti, era il garum, una salsa per condimento, derivata dalle interiora di pesce fermentate, di cui i romani erano ghiotti e che veniva mescolata a vari cibi.
Elementi caratterizzanti del saltus - e che ne andavano a completare la preziosa valenza economica e produttiva - erano poi le vaste aree riservate all'agricoltura e ad allevamenti di bestiame.
L'agricoltura interessava a quei tempi principalmente campi di cereali, come il farro (termine dal quale c'è chi ha ipotizzato l'origine stessa del nome di Ferrara), ma è documentata anche la presenza di ampie coltivazioni di vite alberata, chiamata allora Arbustum Gallicum, in riferimento alle genti transalpine che si erano insediate nella zona prima dell'arrivo dei romani, popolazioni che peraltro si fusero a loro volta con gli etruschi, i quali già coltivavano comunque la vite nel delta padano.
Strabone, vissuto all'inizio della nostra era, parla di terre nelle zone padane strappate alle acque per specifici scopi agricoli, affiancate da rami fluviali navigabili che potevano portare rapidamente le merci verso le grandi strade consolari per la loro commercializzazione nell'impero, strade che correvano poco distante da Voghenza come la via Popilia, la via Emilia e la via Annia, sicuramente collegate a Voghenza da vie minori, come testimoniano le centinaia di basole stradali in trachite disseminate per le campagne ferrraresi.
Oltre ai prodotti agricoli, naturalmente queste vie erano intraprese anche dalle grandi quantità di carne qui prodotte, basti pensare che gran parte della carne di suino destinata all'esercito romano veniva proprio dalla zona padana, dove nei grandi boschi dei saltus l'essenza principale era costituita dalla quercia, sotto le cui fronde decine di migliaia i suini semiselvatici trovavano nutrimento in abbondanza, così come anche bovini e ovini.
Le testimonianze archeologiche recenti e passate dell'antica Voghenza, confermano il ruolo predominante che questo centro ebbe per il delta padano, sino almeno al VII secolo dopo Cristo, caratterizzandosi come centro amministrativo imperiale, sede dei funzionari del fisco e degli amministratori dei saltus.
Voghenza era in definitiva una sorta di dogana, da cui transitavano attraverso il Po le merci destinate al nord-est dell'impero, verso gli empori di Adria e Aquileia, oppure verso sud, con facili collegamenti endolagunari e stradali, con il porto di Ravenna, sede della flotta pretoria per tutto l'est dell'impero.
Gli scavi archeologici hanno restituito una necropoli integra, alla periferia di Voghenza, databile tra il primo e il terzo secolo della nostra era, cioè dall'apice della fortuna imperiale romana.
Dal 1976, infatti, sono in corso le ricerche archeologiche di Voghenza, ma siamo ancora ben lontani dall'aver perfettamente identificato la dimensione e la vera natura di questo antico vicus, nemmeno citato dalle fonti come municipio, ma che ebbe l'onore di essere la prima diocesi del ferrarese, con quindici vescovi che si succedettero sulla sua cattedra, sino alla nascita di Ferrara.
I reperti archeologici di Voghenza e del suo territorio documentano ampiamente gli scambi commerciali e i contatti con il resto del mondo romano, e le iscrizioni sepolcrali ci parlano anche di funzionari addetti al settore amministrativo dei saltus.
Un saltuarius, di nome Halus, è documentato nell'urna-ossuario contenente le sue ceneri; la sepoltura è databile al 14 d.C. e si tratta di una specie di sorvegliante-ispettore dei fondi, il cui monumento funerario fu trovato a Voghiera.
Quindi, dalla zona della necropoli romana di Voghenza, provengono le iscrizioni relative a un dispensator, di nome Herma, che oggi potrebbe svolgere il ruolo di fattore generale di una grande azienda agricola e quella di un librarius, di nome Clemens, cioè l'archivista, il ragioniere, quello che teneva i registri contabili da presentare poi agli ispettori imperiali per i controlli.
In un'altra epigrafe viene poi ricordato un dispensator di nome Herma, citando la regione delle Vercelle Ravennati come sua giuristizione di servizio, identificata dagli storici come la biforcazione (forcella) del Po - Eridano situata poco a sud dell'odierna Ferrara. Questa biforcazione andava a delimitare il territorio compreso tra il Po di Volano (Olana, dalle fonti) e il Po Spinetico (Padusa), appunto il ramo principale antico sulle cui sponde era il centro amministrativo e produttivo di Voghenza, in posizione strategica quindi per il controllo di tutte le merci che andavano o provenivano dal mare.
La qualità e la quantità delle documentazioni archeologiche di età romana del voghierese, trovano concordi gli studiosi nell'attribuire dunque ai centri di Voghenza-Voghiera uno status particolare di affermazione sociale ed economica sul resto del territorio deltizio.
A riscontro ulteriore e determinante di questa tesi, va considerata l'istituzione della prima diocesi ferrarese proprio a Voghenza, avvenuta pochi anni dopo l'editto di Costantino del 313 d.C., tale istituzione avvenne qui e non altrove proprio perché il centro era già evidentemente dotato di tutte quelle strutture politico amministrative necessarie a iniziare una inedita fase storica come quella del cristianesimo, con i rappresentanti della Chiesa, i vescovi, a dirigere quei territori che prima erano sotto il diretto ed esclusivo controllo della casa imperiale.
Ecco, quindi, che Voghenza prosegue nel suo ruolo di centro-guida per l'economia di un vasto teritorio anche dopo la caduta dell'impero romano.
Gli scavi archeologici relativi al periodo bizantino testimoniano per Voghenza scambi commerciali con le Marche e la Sicilia ancora attivi nel VI secolo, segno evidente che i floridi canali di commercializzazione che erano stati aperti quattro secoli prima non erano ancora del tutto interrotti nell'alto medioevo.
Nel VII secolo, con il trasferimento della diocesi e la conseguente nascita di Ferrara, l'esperienza di questi territori sembrò terminata, ma è importante rilevare che sino all'anno 1000 i vescovi ferraresi continuarono a titolarsi nei documenti ufficiali anche Episcopus Vicoaventiniensis, segno che le prerogative giuridiche (e forse non solo) di Voghenza andarono ben oltre il trasferimento materiale della diocesi.
Al termine dell'esperienza altomedievale furono infine gli Estensi, i signori di Ferrara, a rilanciare questo territorio a partire dal XV secolo, quando il marchese Niccolò III decise di costruirea Voghiera il castello di Belriguardo, la prima delizia fuori dalle mura cittadine che, in breve, divenne la reggia estiva estense, per la sontuosità dei suoi ambienti e la bellezza degli spazi, conferendo ai signori estensi la fama di eccezionali ospiti e protettori delle arti e delle scienze.
Belriguardo era un complesso di oltre trecento stanze, moltissime affrescate dai grandi maestri dell'Officina Ferrarese, di cui molte purtroppo sono scomparse per le offese del tempo e degli uomini, ma di cui oggi rimane ancora una forte testimonianza architettonica e artistica che ospita le sezioni del Museo Civico di Voghiera il quale documenta e rende onore a un illustre passato.