Ecco allora la condizione moderna della vivibilità ferrarese, colta nel nauseabondo fetore che, da alcuni decenni, contrista talvolta i ferraresi, proveniente dalla zona industriale della città. Ecco la paura del Po, che riemerge nella sempre viva minaccia di una sua alluvione, ogni qualvolta le piogge a monte si facciano torrenziali. Ecco gli orologi, che suonano in disaccordo le stesse ore, quello di San Domenico, quello del Castello e quello più preciso di tutti, l'orologio dei morti alla Certosa. E il sogno infero di tornare in auto a Ferrara, incerto se prendere l'ingresso alla città da sud o da nord. E la meraviglia di riscoprire i nomi antichi delle vie, sotto quelli più recenti, come strati della memoria che un giorno porterà con sé anche noi...
A FerraraUn fetore nauseante ti risveglia
un mattino d'ottobre.
E' il nostro Tempo dove ti sei perduta
insieme a noi,
avvinta alla modernità
come una santa alla ruota
dentata del suo martirio.
Non ti salvano la tua musica,
la tua arte, la tua poesia,
né la pazienza di chi corre
senza speranza di gloria
alla sua catena,
i nuovi schiavi che vanno
e vengono ogni alba e tramonto
da fuori e dentro le tue mura
perché tu non li puoi accogliere.
Meste paiono le tue bellissime pietre
se non fosse per i disegni dei bambini
che le tentano a destarsi nelle scuole:
ascoltano le piccole teste il racconto
d'un'altra Ferrara
riflessa nelle acque dei canali
che non ci sono più.
Ecco, santa Caterina
vede dal suo convento cadere
trafitto dai Turchi
l'imperatore di Costantinopoli....
vede salire la minaccia del Po ....
sente che a Roma c'è un nuovo papa ....
Ed è là che riposa Lucrezia Borgia.
Ma non la donna più bella,
la città vi dorme.
Che nessuno derubi noi
e i nostri bambini
del sogno del suo risveglio.
Gli orologi di Ferrara
Due orologi battono dalle torri
le stesse ore a prudente distanza.
L'inutile ripetizione cerca
l'orecchio più duro
per convincerlo che il tempo
passa davvero
o è l'orecchio
che distorce il tempo e ripete
l'ora nella camera vuota della mente?
Tornare a Ferrara
Tornavo in sogno a Ferrara
incerto se entrare
da nord o da sud.
A nord mi minacciava un sonno
che si rompe per un mortale silenzio,
a sud un risveglio fra gente
che va e che viene.
E giravo giravo intorno
e la tiepida noia del nido
cedeva all'ansia di non entrare più,
chiedevo fosse l'ultima volta,
ma la bocca si apriva senza suoni,
dietro i vetri scuri dell'auto
la gente mi guardava e non capiva,
credeva stessi cantando,
ero già separato,
ma non avevo nessuna voglia
di partire, pregavo la noia:
anche tu mi deludi anche tu
che qui sembravi eterna...
I nomi
Metteva nome Stanley a fiumi
che nessuno conosceva.
E sulle carte vergini dell'Africa
città e cascate apparivano
evocate da quell'esperto di nomi.
L'esploratore non rivelò mai
la formula delle sue evocazioni,
ma a volte, alzando il capo
in città a leggere i nomi
delle vie, in me rivive
quell'amore per gli sconosciuti
prigionieri nel sonno delle pietre,
nell'incoerenza dell'acqua.
Al Po
Solo la paura della morte
riunisce i miei concittadini,
ne fiutano la minaccia
quando il fiume sale.
All'improvviso si cercano, si parlano
senza conoscersi
e la domanda è la stessa:
"Com'è il Po?"
Tutti vecchi amici
preoccupati della sorte
di uno di loro,
così riassaporano la verità
del loro nulla.
Uno strano piacere
di azzerare potere, età, titoli
e riscoprirsi compagni di scuola,
sale fra le mura della città
fra i visi amabili
di chi solo ieri ti soppesava
fra queste mura.
Sale il livello delle acque,
scende la superbia
di chi passa la vita
a riempirla come un sacco
solo suo e senza fondo.
Ora il nulla è dolce,
dona la tregua
alla fatica di portare
la maschera che ti finga
desiderabile ma da lontano,
lassù nelle prime file,
fra i posti riservati,
più ghiotto boccone della morte.
La comunanza del niente
guarisce da questa malattia.
Vieni pure a minacciarci,
mio caro fratello, mio grande fiume,
fammi sognare di un largo abbraccio
che tutti ci unisca per sempre,
ma amaci più di quanto
sappiamo noi,
mostra soltanto l'ombra
del tuo potere,
non farci male.