Alla riscoperta di Ferrara

Scritto da  Gaetano Tumiati

Piazza Ariostea gran rettangolo verde e piatto, non ancora scavato ad anfiteatro, coronato non da platani come oggi, ma da tanti lecci... Dopo sessant'anni di lontananza, vagabondaggi alla ricerca di tesori ignorati in gioventù

A me dà un leggero fastidio il fatto che sulla mia carta d'identità sia precisato il fatto che sono nato a Bologna. Il dato è esatto; effettivamente, molti e molti anni fa, ho visto la luce in una clinica bolognese. Il fastidio non nasce da diffidenza verso Bologna, che anzi considero sotto molti aspetti città ideale; ma perché, nonostante oltre mezzo secolo vissuto a Milano e tanti giri per il mondo, mi considero pienamente ferrarese, cittadino della città dei miei avi, luogo favoloso dell'infanzia, dell'adolescenza, della prima giovinezza; un 'paesaggio' che mi è rimasto dentro tanto che negli anni scorsi, durante il mio lavoro di inviato, mi appassionavo a descriverne poesia e caratteristiche ai colleghi stranieri che mi chiedevano se ero di Roma, di Firenze o di Napoli.


Evidenti gli stigmi ebraici a cominciare dal suggestivo palazzotto della Sinagoga di rito spagnolo con la grande lapide...Soltanto qualche anno fa, diciamo da quando, ormai in pensione, ho potuto fare più frequenti scappate da Milano a Ferrara-mi sono reso conto che quelle mie infervorate discussioni erano molto, molto parziali. Prendevo in considerazione soltanto una parte della città, quella rinascimentale dell'Addizione Erculea, sulla sinistra di corso Giovecca per chi va verso la Prospettiva: vie larghe e dritte che si intersecano ad angolo retto, come le aveva disegnate Biagio Rossetti nella seconda metà del Quattrocento. In confronto, perfino le immagini rituali del Castello e del Duomo, nel mio ricordo, risultavano meno commoventi, facevano 'cartolina'.
Per me Ferrara era via Palestro, dove c'era la nostra vecchia casa; piazza Ariostea che ricordo come quando, bambino, andavo alle scuole elementari delle suore di San Vincenzo a Palazzo Rondinelli: un gran rettangolo verde e piatto, non ancora scavato ad anfiteatro, coronato non da platani come oggi, ma da tanti lecci, dalle chiome sempreverdi e scurissime, scrupolosamente tosate a forma di sfere. O Via delle Volte, [...] uno dei simboli della città...via Borgoleoni, dove c'era il Ginnasio Liceo Ariosto degli indimenticabili, bravissimi professori Emilio Teglio, Ettore Campailla, Josef Colombo, Francesco Viviani, e dove soprattutto abitava quella che a me sembrava la più seducente ragazza della città, assolutamente inaccessibile perché aveva diciott'anni compiuti, due abbondanti più di me. E ancora: l'armonia di via Frescobaldi, l'ampio respiro di Montebello, di corso Porta Po, del luminoso piazzale della Certosa. Ma soprattutto ? simbolo stesso della Ferrara Rinascimentale ? corso Ercole I d'Este, lungo e dritto come una spada, pavimentato a ciottoli, con i suoi paracarri di marmo, i grandi palazzi patrizi, limitato là in fondo da una rustica costruzione imbevuta di un rosso estenuato, Porta degli Angeli. 'Guarda bene questa strada!' mi esortò nostro padre, sostando all'imbocco del corso, una delle sere in cui concedeva a me ragazzino di accompagnarlo nella rituale passeggiata prima di cena. E dopo qualche secondo, perentoria sentenza: 'È la più bella d'Europa.'
In questa parte di Ferrara abitavano del resto tutti i nostri parenti e anche i più cari compagni di classe al Liceo, tutti destinati a emergere: Franco Calzolari in via Montebello, Vincenzo Cavallari allora in piazza Combattenti, Enzo Veronesi in Borgoleoni, Luciano Fregnani in Mortara, Ignazio Magnani proprio in Ercole I, laggiù in fondo dove c'è la duplice fila di pioppi. Questi i percorsi abituali, le vie di cui conoscevamo tutte le irregolarità dell'acciottolato, quando si andava in bicicletta.
E il resto della città? Dopo tutto l'Addizione Erculea è soltanto un'aggiunta quattrocentesca alle altre parti di Ferrara: il centro storico e la città medievale con i suoi dintorni. Il centro storico ? Castello, Duomo, Palazzo comunale, piazza Trento e Trieste già delle Erbe, con il suo storico Listone ? noi di via Palestro lo conoscevamo bene, era lì a due passi, subito di là di Giovecca, ci andavamo ogni giorno per raggiungere il giornalaio di piazza Teatini o la posta centrale che allora era sull'angolo. O per partecipare allo 'struscio' quotidiano Duomo?corso Roma?angolo dei Quattro Esse. Ma quel centro era una specie di area pubblica, un grande palcoscenico comunale; non casa nostra, come l'Addizione. Quanto alla città medievale e ai suoi dintorni, dalla parte opposta, la ignoravamo quasi totalmente, tranne qualche puntata a Porta Reno o in San Romano per raggiungere il cinema Apollo o il Diana, in piazza Travaglio. Sapevamo che 'laggiù' correva una grande arteria?la direttiva Ripagrande? Carlo Mayr?che molti secoli prima, quando il grande Po lambiva ancora Ferrara, era stata la main street cittadina, la spina dorsale di suggestive vie minori.
Ma, più che da sopralluoghi, lo sapevamo da racconti di nostro padre o degli zii. Per noi erano paraggi lontani, quasi un'altra città. concetti e misure da anni Trenta, valutazioni di un ragazzo che, varcando corso Giovecca, più che dalle vestigia romane era attratto dallo stadio della Spal.
Ma dopo più di mezzo secolo vissuto a Milano, bisognava pur approfittare della maggiore libertà per prendere finalmente contatto con la 'Ferrara trascurata', per vedere non tanto i grandi monumenti che, bene o male, nel corso di qualche cerimonia pubblica avevamo visitato, quanto i tesori minori che la superficialità della nostra giovinezza aveva addirittura ignorato.
Questo 'pellegrinaggio espiatorio' è cominciato qualche anno fa, da via Bersaglieri del Po, percorsa centinaia di volte, da giovane, in tutta fretta, e che da 'pellegrino' ho invece centellinato deliberatamente passo passo, naso all'aria, scorgendo così per la prima volta le grandi guglie piramidali che, lassù in alto, coronano la 'Ca' di Dio', palazzo voluto da Barbara d'Austria, poi adibita a scuole statali; così come negli anni Trenta non avevo mai 'registrato' il magnifico portale di Palazzo Saracco Riminaldi, all'angolo con via Cairoli. E via Contrari, poco più in là? La ricordavo solo per la Sala Pepoli dove mio fratello Francesco si rivelò nei suoi primi exploit recitativi con la regia del giovane Michelangelo Antonioni; senza apprezzare il trecentesco Palazzo Aldrovandi nel suo complesso, e trascurando perfino le ciclopiche inferriate del palazzo dei Conti Montecatini, all'angolo con via Romei. Dopo quella prima tappa, altre ne sono seguite, una ogni tre o quattro mesi, in occasione delle mie periodiche trasferte da Milano a Ferrara: tutto un girovagare, un infilarsi quasi furtivo sotto archi marmorei a contemplar peristili e cortili, una catena di sorprese di fronte a scenari che non conoscevo o che magari conoscevo, ma che si presentavano diversi da come li avevo in memoria. Via delle Volte, per esempio, uno dei simboli della città. Sessant'anni fa ignorata e disprezzata per miseria e trascuratezza, credo di non averla mai percorsa per intero, allora; un'occhiata alla fuga delle volte e via! l'ho ritrovata pulita e linda, felice connubio fra strutture medievali e accurati restauri; quasi 'alla moda' con quei localini che ravvivano le anche troppo silenziose notti di Ferrara. Ma la tappa più sorprendente, almeno fino a oggi, è stata quella dedicata alla zona dell'ex Ghetto e dintorni, che ho scoperto e perlustrato con la guida dell'amico Poldo Santini.
La spina dorsale, via Mazzini, già via dei Sabbioni, per me, matricola universitaria, era una via commerciale come tante altre, che percorrevo quasi di corsa per raggiungere Palazzo Paradiso, allora sede centrale dell'Università, senza neppur accorgermi della Sinagoga principale, nascosta com'era dietro un'anonima facciata, ovviamente non ancora contraddistinta dalla grande, tragica lapide con i nomi dei novantasette ebrei ferraresi sterminati nei lager nazisti. E neppur mi era mai venuto in mente di imboccare, sulla destra, via Vignatagliata e via Vittoria, cuore del quartiere ebraico. Nell'affrontarle oggi, è inevitabile un accenno di emozione. Bene, le strutture non sono molto diverse da quelle, altrettanto e forse anche più antiche, della zona confinante a sud-est: strade strette, case prevalentemente basse, confortante la presenza del cotto, determinante anche nei raffinati portali delle case intonacate; acciottolato, assoluta assenza di traffico.
Dappertutto, insolito, riposante silenzio.
Evidenti gli stigmi ebraici a cominciare dal suggestivo palazzotto della Sinagoga di rito spagnolo con la grande lapide che ricorda come nel Quattrocento Ercole I, forse il più aperto dei duchi d'Este, nell'intento di ravvivare scambi e commerci, accolse a Ferrara gli ebrei sefarditi in fuga dalla Spagna, dov'erano perseguitati; o quello della Scuola ebraica, commovente simbolo di persecuzioni meno antiche, che, dopo le leggi razziali del 1938, accolse gli studenti ebrei espulsi dalla scuole ferraresi. Insomma, un volto semplice, austero, ingentilito da un nuovo arredo urbano: lampioni caratteristici, marciapiedi lillipuziani ma levigati, intonaci dai colori sapientemente dosati.
Su tutto, nella buona stagione, la sorprendente abbondanza di balconi fioriti e, sempre, la vitalità di tre o quattro sobri ristorantini.
Comprensibile, dunque, l'attrazione che questo quartiere, ridotta al minimo la comunità ebraica, è venuto via via esercitando su molte famiglie di ogni categoria sociale, desiderose di cambiare casa.
Al piccolo ceto medio doveva probabilmente appartenere la donna su i quaranta, non so se ebrea o meno, che mi è capitato di osservare alla fine del pellegrinaggio. Per quanto vestita correttamente come se stesse per uscire, stava spazzando con grande scrupolo il breve spazio davanti alla porta di casa?che a me, peraltro, sembrava già pulito?quando è stata interrotta bruscamente da una ragazza, evidentemente sua figlia, che dalla finestra del primo piano aveva preso a tempestarla di domande.
Al che lei, la madre, dopo un ultimo colpo di scopa, voltandosi in su: 'An sat brisa fàr a druvàr al computer? Guarda su Internet!' Sfondo limpido alla Vermeer, tradizioni antichissime, ombre di Olocausto, nuove tecnologie, espressività popolare: non siamo forse al centro dell'Europa?