Cinema e letteratura

Scritto da  Gianni Venturi

Da "Tra donne sole" di Pavese a "Le amiche" di Antonioni

La locandina del film di Michelangelo Antonioni Le amiche (1955)Tra la notte del 26 e il 27 agosto 1950 in una camera dell'albergo Roma di Torino moriva Cesare Pavese. Era nato il 9 settembre 1908. Oggi avrebbe cento anni. Michelangelo Antonioni nasce il 29 di settembre del 1912. Muore a Roma il 30 luglio 2007. Oggi avrebbe novantasei anni. Una linea carsica unisce i destini di due grandi protagonisti della cultura mondiale novecentesca; un film, forse tra i meno famosi del regista ferrarese, è tratto da un grande racconto di Pavese. Nulla farebbe credere a un incrocio di interessi e di vita; ma, come spesso accade, al di là dell'apparenza, è possibile ricostruire un percorso nascosto e segreto che si muove, accidentato e disagevole, in un momento storico tra i più appassionanti della storia italiana. Su Pavese è stato detto tutto: a cominciare dal suicidio che sembrava l'esatta copia di quello compiuto da Rosetta, una delle protagonista di Tra donne sole da cui Michelangelo Antonioni trarrà il film Le amiche.

La risonanza di quella morte, in un'Italia non abituata alla divulgazione mediatica delle vicende di persone divenute personaggi, fu enorme. Pavese, si diceva, si era ucciso per un amore finito; per una attrice, Constance Dowling, che veniva da Hollywood, bellissima. Ho appena inaugurato a Roma le celebrazioni per il centenario pavesiano; era presente, tra gli amici di Pavese, il regista Carlo Lizzani che conobbe lo scrittore piemontese sul set di Riso amaro. Lizzani racconta che all'epoca, il '49, era aiuto-regista di De Santis e nel sopralluogo delle locations venne interpellato lo scrittore che si recò sul set. Una scena tratta dal film Le amicheQui conobbe Raf Vallone, protagonista del film, che in quel momento era compagno della sorella di Constance, Doris; una relazione tempestosa, come problematici erano i rapporti delle due sorelle col cinema. Doris interpreterà il ruolo principale nel film, ma venne surclassata dalla presenza di Silvana Mangano. Di Constance si ricordava, invece, la scandalosa passione che la unì per un decennio al famoso regista Elia Kazan. A questa donna Pavese affida all'inizio del '50 la sua vita complessa, tormentata fino all'abbandono da parte dell'attrice e a quelle terribili righe che concludono il suo diario, Il mestiere di vivere: "Sembrava facile a pensarci. Eppure donnette l'hanno fatto. Ci vuole umiltà, non orgoglio. Tutto questo fa schifo. Non una parola. Un gesto. Non scriverò più." Quella esperienza, quell'ultimo scacco umano sono raccontati nell'ultima silloge delle poesie pavesiane, dieci - otto in italiano, due in inglese - trovate dopo la sua morte in una cartellina del suo ufficio all'Einaudi: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Antonioni controlla il bacio tra Ettore Manni ed Eleonora Rossi durante le riprese de Le amicheDoris e Costance Dowling, le due sorelle americane che Pavese aveva conosciuto a RomaSi fa presto ora a dire che non ci si uccide per una donna, ma per qualcosa di più profondo e di meno confessabile; forse il segreto di quella morte sta in una frase di Shakespeare messa ad apertura di La luna e i falò: "For C.": per Connie-Constance. "Ripeness is all": la maturità è tutto. A Constance, Pavese dedica e rivela la sua aspirazione più riposta. Per una vita e in tutta la sua opera il grande scrittore e il grande intellettuale ha inseguito il mito della maturità, lui che si sentiva ragazzo e adolescente dentro, e che si è affidato per raggiungere quella mèta alla politica, al lavoro intellettuale, alla scrittura, riscoprendo più di ogni altro scrittore del Novecento italiano quella eticità del vivere e dello scrivere che lo rende ora un classico, quella eticità di cui ora nella nostra Italia sbrindellata invano invochiamo il nome e la sostanza. L'opera di Pavese supportata da quella fine e da quella vita divenne presso un'intera generazione un esempio e un mito. Pavese tra il Cinquanta e il Sessanta è l'autore di culto a cui si riferiscono non solo gli addetti ai lavori, ma gran parte della gioventù di quel tempo. La pubblicazione del diario e delle lettere curate dal suo allievo e amico Italo Calvino renderanno più attuale la vicenda umana e critica del poeta. E sarà proprio Calvino, con Pasolini (la cui fine tragica, come quella di Pavese, ricorderà una specie di sacrificio mitico), a diventare l'autore di culto, a interpretare il mondo attraverso nuovi occhi che erano stati aperti al reale dal maestro Pavese.
Michelangelo Antonioni (a destra) al Circolo del Tennis Marfisa a Ferrara negli anni Trenta.Pavese non s'intendeva di cinema. L'amore per Constance lo proietta in una dimensione non sua. Per lei, che lo ha già dimenticato sostituendolo con l'attore Andrea Checchi, suo partner nel dimenticabile film Gorghi nel fiume, e per la sorella Doris, scrive la sceneggiatura di un film, Le due sorelle, ipotizzando una grandiosa produzione con il regista Vittorio De Sica e con partner Jean Gabin. Non è un caso che si facesse il nome di De Sica. In un celebre intervento alla radio del 12 maggio 1950 sui narratori viventi, lo scrittore afferma: "Per Pavese [e sono le sue parole] il maggior narratore contemporaneo è Thomas Mann e, tra gli italiani, Vittorio De Sica." Una dichiarazione che pone sullo stesso piano romanzo e film, quasi che per Pavese il regista di Ladri di biciclette, corifeo della stagione italiana del neorealismo, fosse il maggior romanziere italiano, invece che l'iniziatore della più grande stagione del cinema italiano.
una rara foto in cui Pavese si è fatto ritrarre eccezionalmente senza occhiali.A cinque anni di distanza, nel 1955, Michelangelo Antonioni gira Le amiche che è tratto dal romanzo breve Tra donne sole, del 1949, parte di un trittico che confluirà nel libro La bella estate e che comprende, oltre al romanzo breve scritto nel 1940 e che dà il titolo al volume, il Diavolo sulle colline, del 1948. Nel giugno del 1950, La bella estate riceve il Premio Strega. A due mesi dalla morte, Pavese vi partecipa con il vestito della festa accanto alla bellissima e mondana Maria Bellonci patronne del premio. La vicenda del romanzo è narrata in prima persona dalla protagonista Clelia, una affermata stilista che torna da Roma nella Torino della sua infanzia per impiantarvi una succursale di una casa di moda. All'arrivo nel lussuoso albergo del centro s'imbatte in una barella che trasporta il corpo di una ragazza, Rosetta, vestita di un abito di tulle celeste che ha provato a uccidersi. Un segno inquietante di quel ritorno a un passato non recuperato che si svolge tra i fatui e mortuari giochi di una classe borghese che recita i suoi riti nell'irrealtà sospesa di una continua festa, alla ricerca disperata di quel nulla in cui precipiterà Rosetta che alla fine si ucciderà con il veronal in uno studio di pittore davanti alla finestra spalancata sulla collina di Superga. Il ritorno di Clelia, che cerca di ritrovare le sue radici popolari, è un fallimento. Nel suo quartiere nessuno ha il ricordo di lei ragazza. Solo un giovane operaio, Beccuccio, che lavora all'impianto dell'atelier, le ricorda la forza e la speranza dei suoi giovani anni; a lui concederà una notte d'amore, ma nulla di più. E attorno alla sua ricerca, si svolge, come scrive Lorenzo Mondo nella sua bella e recente biografia di Pavese, Quell'antico ragazzo, "la noia trafelata di quella gente" intenta a progettare diversivi a una vita inutile. Ecco le "amiche" di Doris e Connie Dowling sul set di Riso Amaro di Giuseppe De SantisRosetta: l'ambigua Momina, che nella sua delusa esperienza di vita spinge la giovane verso il suicidio, o la fatua Nene, e gli uomini, deboli, incerti prototipi di una generazione da "Grande fratello".
Antonioni, dunque, a sei anni di distanza dal romanzo, ne trae un film dal lussuoso impianto. Protagonista Eleonora Rossi Drago nella parte di Clelia; Valentina Cortese in quella di Momina; Madeleine Fischer è Rosetta, mentre Gabriele Ferzetti è Lorenzo; amante prima di Nene e poi di Clelia; Cesare, il frivolo compagno di Momina, è Franco Fabrizi. Direttore della fotografia, Gianni di Venanzo; montaggio, Eraldo da Roma. La casa di mode delle sorelle Fontana, la più famosa a quel tempo, allestisce i costumi, e le musiche sono di Giovanni Fusco, suonate al piano da Armando Trovajoli. Infine, la sceneggiatura dello stesso Antonioni, ma affidata al trattamento di Suso Cecchi D'Amico e Alba De Céspedes. Il film vincerà a Venezia un Leone d'argento e altri premi minori.
Come si può immaginare, la polemica scoppia intensa e senza esclusione di colpi. Si accusa Antonioni di avere tradito lo spirito del romanzo e di averne fatto una specie di ritratto del taedium vitae della borghesia e della sua insicurezzae disperazione. In questa angolazione avrebbe affrontato il tema del suicidio che il regista aveva già toccato nell'episodio di Tentato suicidio del film Amore in città (1953), immediatamente precedente alle Amiche. Sappiamo ormai dalla filmografia del regista ferrarese che le donne e l'amore rappresentano il momento centrale della ricerca antonioniana: un amore, però, che non dà gioia, ma procede per strappi continui, dove i protagonisti, insicuri e tormentati, procedono alla distruzione stessa di quel sentimento, di ogni sentimento; dove, come per Tentato suicidio e per le Amiche, il vuoto esistenziale precipita nel gorgo della morte. Il trattamento è affidato a Suso Cecchi D'Amico, che ha collaborato con Visconti e Fellini. Per la parte letteraria, Antonioni sceglie una scrittrice allora di grande successo, Alba De Céspedes. Figlia di un diplomatico cubano, la De Céspedes riempirà le cronache dei tardi anni Trenta non solo per le sue indubbie capacità letterarie, ma per una serie di amori assai discussi a cominciare da quello con Arnoldo Mondadori. Ovviamente la sceneggiatura non funziona. All'intensissimo e rarefatto racconto pavesiano si sostituisce una "interpretazione" che tenta di rendere visibile una scrittura difficile, fatta di stati psicologici e molto spesso legata alla tecnica del monologo interiore. Di questo, Antonioni è ben consapevole. E di questo si difende con una serie di interviste che rivelano un pensiero, quasi una necessità, nell'aver scelto non un racconto, ma la cronaca che stava sotto quel racconto e di cui qualsiasi artista attraverso mezzi differenti e tecniche differenti può appropriarsi. In una intervista di Cecilia Mangini pubblicata sulla rivista "Cinema nuovo", Antonioni ricordava che suo compito era stato mettere in luce il dramma di una classe sociale, la borghesia, che anche Pavese aveva descritto. Non è un caso, ricorda, che a Torino fosse stato trovato il corpo di una ragazza che si era suicidata: teneva in mano una copia della Bella estate. E prosegue: "Il romanzo non è che un punto di partenza. Non vedo nessuna differenza tra un testo letterario o teatrale e un fatto di cronaca." Sembrerebbe, dunque, che per Antonioni un testo letterario fosse niente di più che una cronaca con una suggestione letteraria. In questo modo, ogni diritto a disporre di ciò che vien ridotto all'osso è legittimo, ma fatalmente diverso. E per fortuna, vorrei aggiungere. Affidando il trattamento del racconto alla De Céspedes, dallo stesso regista poi avallato, l'incomunicabilità tra scrittura pavesiana e scrittura antonioniana diventa irreversibile perché un altro stile letterario si sovrappone a quello originale. Se un'idea comune rimane salva da questo complesso scambio di scritture letterarie e filmiche, consiste nello stile, nella capacità, cioè, di affidare allo stile un destino e una vicenda. Ci sono pagine straordinarie di Pavese sulla struttura dello stile che impronta un racconto o un romanzo o una poesia; ci sono esempi fulgidi dalla capacità antonioniana di tramare la vicenda attraverso la luce e la tecnica di montaggio in modo superbo. Resta però la incapacità di "capire" Pavese da parte del regista. Occorrerà un poeta come Tonino Guerra perché la scrittura letteraria di Antonioni abbia una sua autonomia e capacità di vibrazione diversa. Noi sappiamo che è rarissimo il caso di un regista che sappia trasporre in film un racconto che conservi la dignità letteraria al di là della perfezione filmica. Ha fallito De Sica con Il giardino dei Finzi-Contini, ma non certo Visconti: dalla straordinaria trasposizione di Il postino suona sempre due volte di Cain, in Ossessione, al Gattopardo, al meraviglioso Senso, forse il suo capolavoro, tratto da una mediocre novella di Boito. Anche una critica negativa può rilevare la complessità di un autore come Antonioni. La sua capacità di avere colto il senso del lavoro di Pavese nel momento storico in cui lo scrittore ancora rappresentava i valori della Sinistra, indicandolo come lo scrittore del vuoto esistenziale della borghesia, come l'amatissimo da Pavese Thomas Mann, dimostra l'acuta intelligenza di un intellettuale che sa già, in anticipo sui tempi, riconoscere che Pavese si avviava a diventare un classico del Novecento.